Ansia sociale e diarrea

Salve,
scrivo per una situazione che oramai si è cronicizzata. Prima mi capitava raramente, ora sempre. Se devo fare qualcosa, ho un appuntamento, devo incontrare qualcuno, insomma una qualsiasi occasione SOCIALE, mi viene la diarrea. Cioè non la "paura" di avere la diarrea ma proprio la diarrea direttamente. Il che vuol dire ritardare l'appuntamento perché sto a casa a cercare di espellere tutto il possibile e poi vivere con l'ansia che nel posto in cui vado non ci sia un bagno. Nel tragitto ho comunque sempre il mal di pancia, spesso mi capita di dover ricorrere a bagni in situazioni d'emergenza. Se devo prendere un treno, uguale. Sono terrorizzato dall'idea che prima o poi me la farò addosso, cosa che potrebbe succedere perché quando arrivo al gabinetto ce la faccio giusto giusto a defecare e sempre in extremis.
Mi è stato diagnosticato un colon irritabile e non ho più la cistifellea, cosa che credo influisca perché la bile va direttamente nello stomaco e nell'intestino e secondo me accelera il transito intestinale. Il punto è che qualunque sia il motivo, io non posso vivere così. Anche se è irritabile, l'irritazione viene chiaramente dal cervello, visto che coincide sempre con eventi in cui devo incontrare qualcuno o fare qualcosa. Inoltre più in generale soffro di ansia quando devo fare qualcosa di nuovo, come discutere un contratto di lavoro, fare un incontro (sempre di lavoro), conoscere nuove persone, fare qualcosa per la prima volta. Questa cosa sta distruggendo la mia voglia di vivere. Non so davvero come sbloccarmi visto che anche se provo a stare calmo e razionalmente so che non c'è alcun pericolo... mi scatta questa sensazione che evidentemente tradisce una "fifa" di fondo. E' come se avessi paura del mondo e delle altre persone, paura di vivere, di non essere accettato, di essere deriso, di essere vulnerabile. Più in generale, da sempre, ho paura che le cose vadano male. Che possa essere giudicato o rovinarmi per una parola o un gesto di troppo, per esempio sul lavoro. Mi sembra sempre di essere sotto esame, mi sembra che tutti si comportino con me ingiustamente e non mi riconoscano quello che merito, il che inevitabilmente fa sì che se li devo incontrare e fronteggiarmi con loro io parta da una situazione di svantaggio. Il tutto è strano perché poi, nella vita reale familiare, con amici, io sono un "ariete" in tutto e per tutto, dinamico, con gioia di vivere e tutt'altro che timido. Anzi, proprio questo mi fa stare male secondo me. Perché se mi rassegnassi a essere vulnerabile e accettassi di essere piccolo e indifeso forse mi sentirei più "lasciato in pace". Il fatto invece di essere un omone grande e grosso che incute anche timore con l'aspetto... ma dentro un fifone, un codardo, un cacasotto (nel vero senso del termine) mi crea questo cortocircuito. Cosa fare?
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Psicologo attivo dal 2018 al 2024
Psicologo
Gentile Utente,
dalle sue parole evinco un forte senso di ambivalenza che lei sente verso se stesso. Sente una paura che la blocca nell'affrontare diverse situazioni nuove e questa paura, che le genera ansia, la scarica in maniera automatica sul suo apparato digerente, ma questa emozione è completamente assente in contesti più "sicuri".

Mi colpisce molto la sua capacità di autoanalisi, segno di una forte tendenza introspettiva che le può essere senza dubbio di grande aiuto. Lei infatti è consapevole che le sue reazioni emotive sono legate da tre componenti:

1) come mi percepisco quando incontro gente che non mi conosce?
2) come percepisco le persone attorno a me?
3) come mi percepisco quando interagisco con persone di cui mi fido (parenti e amici)?

Da questa analisi, mi sembra che ciò che la impaurisce maggiormente sia l'idea che, quando non conosce ciò che vivrà nel prossimo futuro, allora è probabile che possa succedere qualcosa di spiacevole.
A questa previsione, che poi le genera dunque paura, ne associa un'altra che mi suona nel seguente modo: "se accadrà qualcosa di brutto io non saprò reagire".

Queste due previsioni pessimistiche le hanno quindi generato la sensazione che in certi specifici contesti lei sia un "debole", un uomo che malgrado la sua stazza e la forza che ha con le persone fidate, dovrà necessariamente soccombere alle intemperie della vita.

Sembra che tutto questo nasca anche da una mancanza di fiducia verso le persone che non conosce, questo potrebbe in qualche modo alimentarle la percezione da lei scritta e che incollo di seguito: "mi sembra che tutti si comportino con me ingiustamente e non mi riconoscano quello che merito".

Lei ha la sensazione di essere meritevole, ma teme che questo non venga riconosciuto all'esterno, proprio per quella paura di cui ha parlato.

Le ho riportato il precendete virgolettato perchè è a mio parere importante sottolineare in quali circostanze lei, sentendosi realmente libero e non giudicato (con amici e parenti), riesce ad essere pienamente se stesso e ad esprimersi per come sente.

Sulla base di quanto detto credo che affrontare tali tematiche con uno Psicologo le potrà servire per lavorare sulle sue paure e sui relativi significati, aiutandola quindi a liberarsi dal peso di dover cercare costantemente di recuperare quella sensazione di svantaggio che sente in certi contesti, ed essere un "ariete" in qualsiasi contesto lei senta di volerlo essere.
[#2]
dopo
Utente
Utente
Purtroppo molte cose non dipendono da noi. Le faccio un esempio. Ho ripreso a lavorare da una settimana, il contratto che doveva essermi spedito la settimana prima a quella in cui avrei iniziato non mi è ancora arrivato. Ho sollecitato più volte l'amministrazione ma nulla. Mi dicono "stiamo per mandartelo" e non me lo mandano. Questa situazione non dipende da me.
Le situazioni che non dipendono da me generalmente vanno male. Non so se sia un problema italiano o delle persone che conosco io ma generalmente quando qualcuno mi dice che farà qualcosa... non lo farà. Per pigrizia, per convenienza, per noia, perché semplicemente non gliene frega niente. Questo ha generato nel corso del tempo una forte sfiducia in tutto ciò che non posso controllare, perché inevitabilmente non è sicuro. E' come se andassi per strada in macchina sapendo che tutti quelli che mi circondano non sono realmente in possesso di una patente o comunque guidano distratti. La fiducia nel prossimo è un elemento che tiene in piedi la società, cosa che nel mio mondo, sarò sfortunato, sta venendo completamente meno. Questo mi genera questi forti disagi ma non so come fare ad affrontarli. Non posso chiudermi in una fortezza e lasciare il mondo fuori. Non ne ho la possibilità. Ma questo mondo mi sta uccidendo.
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Psicologo attivo dal 2018 al 2024
Psicologo
In riferimento all'episodio del contratto che non le è stato inviato le vorrei chiedere: cosa immagina che possa succedere a seguito di questo ritardo?

"La fiducia nel prossimo è un elemento che tiene in piedi la società, cosa che nel mio mondo, sarò sfortunato, sta venendo completamente meno."

E' come se sentisse che la sfiducia le stia inquinando tutta la vita, ma le chiedo, con parenti e amici sente si sente di poter controllare tutto ciò che può accadere?

La mia sensazione è che lei percepisca il mondo con il binomio tutto/nulla, ossia: o riesco a controllare le cose che mi riguardano, oppure la gente se ne fregherà e tutto andrà male.
[#4]
dopo
Utente
Utente
Sì è vero, lo percepisco un po' così. Tutto o nulla. Il che so bene che è sbagliato ma come uscirne? Ho come l'impressione di essere perseguitato dalla sfortuna in determinati momenti (quindi "nulla") e di essere fortunato in altri. Questo si rispecchia anche a livello fisico, il che è straordinario per quanto è assurdo. Ci sono stati periodi della mia vita in cui ero considerato "bellissimo" (è il più bello dei fratelli, guarda quanto è bello, ragazze che venivano a citofonare fino a sotto casa) e momenti in cui invece mi sono ritrovato (come adesso) sovrappeso di 30 kg e brutto e assolutamente ignorato da qualsiasi sguardo femminile. E' un binomio su cui si è incistata la mia intera vita.
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Psicologo attivo dal 2018 al 2024
Psicologo
Da questo costante vissuto dicotomico ne può uscire lavorando, magari anche con l'ausilio di uno psicologo (meglio se psicoterapeuta), sulle motivazioni che si celano dietro la percezione del tutto e del nulla. Anche perchè da quel che dice sembra che questo oscillare da un estremo all'altro è qualcosa di radicato nella sua storia personale.

In sostanza, si tratta di due due estremi che non contribuiscono a far si che la sua vita sia equilibrata.

Un buon percorso psicologico o meglio ancora di psicoterapia le può consentire di integrare il "tutto" ed il "nulla" scoprendo cosa li collega e di conseguenza, portandola alla conoscenza di parti di se stesso di cui al momento non ne è consapevole.

Se accadrà quanto detto, è possibile che questi due estremi perderanno la loro componente dominante perchè lei si sentirà maggiormente protagonista della sua vita e meno vittima di ciò su cui non ha controllo.
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