Isolamento sociale, tristezza

Buonasera, vi scrivo per una situazione che mi è diventata difficile gestire.
Sono un ragazzo di 21 anni e da un po' di tempo mi sento solo dal momento che non ho grosse amicizie (l'unico amico che ho è molto preso con gli studi, ne avevo anche un altro, ma ora pare ignorare i miei messaggi su Instagram, Whatsapp, Facebook e chiamate da un po') e non sono mai stato fidanzato (il che incomincia ad avere un certo peso).
Ho passato la mia adolescenza praticamente senza amici o quasi e circa un anno e mezzo fa verso febbraio (quando facevo un tirocinio in un'azienda) credo di essere andato molto vicino a una depressione di un qualche tipo: per 1/2/3 settimane non ricordo bene il numero esatto quando andavo a tirocinio mi veniva continuamente da piangere poi la sera tornavo a casa sempre con il mal di testa (tutte le sere), mi mettevo a letto e piangevo a dirotto senza neanche mangiare talvolta.
Era un vero travaglio andare a tirocinio perché il dipendente con cui lavoravo non era molto socievole anzi non riuscivo proprio a parlarci neanche cose del tipo: "Come è andato il fine settimana" perché mi rispondeva a monosillabi.
Fatto sta che sono riuscito a uscirne, il tirocinio non si è trasformato in lavoro (per fortuna), ma poi questo è risuccesso a novembre (senso di vuoto, tristezza, pianto facile, mal di testa e via dicendo).
Da febbraio di quest'anno ho fatto un tirocinio (durante il quale per il primo mese ho sperimentato ancora le sensazioni delle altre due volte eccetto forse il mal di testa) che mi è stato confermato da poco in lavoro a tempo indeterminato e io ovviamente sono felice perché a lavoro con i colleghi mi trovo bene e comunque ho un'autonomia economica, ma continuo a domandarmi se questo lavoro faccia veramente per me e ora temo che con l'inverno e la pandemia in corso le cose peggiorino come è successo in passato.
Nonostante sia in terapia con uno psicologo con cui mi trovo bene e abbia fatto diverse cose che volevo fare da un po' come iscrivermi all'AVIS e a un corso di nuoto mi risulta molto difficile vedere una via d'uscita da questo stato di solitudine.
Allo psicologo però non ho mai fatto accenno di pensieri suicidari avuti durante i momenti sopra descritti per paura che parta una segnalazione di qualche tipo nei miei confronti (è possibile?) e vorrei anche sapere quale potrebbe essere un numero "consigliato" di sedute.
Grazie
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.7k 180
Gentile utente,
si rassereni intanto nei confronti del suo psicologo: quale "segnalazione" teme che possa partire, e verso chi? Il segreto professionale è sacro.
Da parte sua, però, cerchi di usare fino in fondo la fiducia che dovrebbe legare il paziente al suo curante, esternandogli tutti i suoi stati d'animo e i suoi timori. Una reticenza come quella che lei dimostra nel setting terapeutico, che dovrebbe essere sentito come il luogo in cui aprirsi senza alcuna remora, ci dice anche perché soffre di solitudine: se si chiude col suo curante, quanto più sarà reticente con i conoscenti, con gli amici?
Avrà ben visto che le persone che hanno buone relazioni con gli altri comunicano intensamente con tutti, a partire dallo sguardo; sorridono, parlano senza timidezze e ascoltano con sincero interesse, facendo anche domande all'interlocutore.
Se ci chiudiamo nel silenzio, gli altri non verranno a cercarci, per timore di violare il nostro riserbo.
Ne parli al curante e cominciate degli esercizi di apertura agli altri.
Complimenti per aver conquistato un lavoro. Che sia quello definitivo non si può dire alla sua età, ma intanto rappresenta esperienza e stipendio, le basi da cui tutte le scelte future possono partire.
Auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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Utente
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Buonasera,
la ringrazio per la risposta, quando mi riferivo ad una "segnalazione" mi riferivo verso l'ASL o simili, ma forse questa è una mia paura ingiustificata, ad ogni modo tra poco ho una seduta con lui e gliene parlerò.