Avere un figlio, come capire quando è il momento?

Sono una ragazza di 31 anni, fidanzata da 8 e convivente da 7 con un ragazzo di 3 anni in più.

Circa un anno fa, dopo due contratti a tempo indeterminato e dopo aver comprato casa, con il mio compagno abbiamo deciso di avere un bambino.

Piccoli problemi del mio ciclo hanno "evitato" la gravidanza.
Parallelamente però con il passare del mio problema fisico ho avuto una piccola crisi esistenziale che mi ha portato in terapia, che svolgo tutt'ora.

Tra i vari aspetti, è emerso che non ero davvero pronta ad avere un bambino, che non volevo, in questo momento della mia vita, diventare madre.
Ad oggi, dopo 6 mesi di terapia e mentre sto cercando di risolvere (con successo) alcuni miei malesseri sono fortemente convinta di non volere avere un bambino.
Di non volerlo Adesso, ma di aver ancora bisogno di scoprire me stessa.
Ho capito che uno dei motivi della mia crisi è stato proprio il non voler entrare "nel mondo degli adulti", che la scelta di un anno fa era solo derivata dal percorrimento di una vita definita (lavoro, casa, figli) ma di non essere pronta a rinunciare alla mia vita adesso.
Non sono pronta a rinunciare alla mia libertà e alla mia scoperta.
Sicuramente so di essere influenzata dall'essere circondata da persone senza figli.
Sono tanti i miei amici e in generale i ragazzi della mia età ancora lontani dall'aver un bambino, ancora alla ricerca di sè stessi.

Contestualmente ho visto nascere i miei nipoti acquisiti e in ultima mia nipote, figlia di mio fratello maggiore, e ho visto quanto la vita cambi, quando l'universo diventa tutto concentrato su un unico meraviglioso esserino, quanto è inevitabilmente totalizzante.

Il mio compagno, meraviglioso, non ha mai nascosto il suo desiderio di diventare padre anche adesso.
Ha sempre detto di sentirsi già pronto, di avere voglia e curiosità, per usare le sue stesse parole.
Ha detto anche di accettare la mia scelta adesso ma nello stesso tempo di essere preoccupato che io possa non arrivare mai a sentirmi pronta.
Mi ha chiesto: "ma cosa deve accadere per sentirti pronta?
", ovviamente io non ho una risposta a questa domanda.

Io sono certa di volere un bambino, lo so e l'ho sempre saputo.
Così come so di essere una persona fortemente ansiosa, riflessiva, programmatrice e maniaca del controllo e ci sto lavorando tanto su questo.

Non ho sensi di colpa nei suoi confronti.
La terapia mi sta insegnando che ho il diritto, o meglio il dovere, di mettere me al primo posto.
Ma a volte mi chiedo anche io cosa dovrà accadere per sentirmi pronta, quanto dovrà passare, come me ne accorgerò.
Ovviamente mi dispiace moltissimo per il compagno.

Scrivo quì solo per avere un ennesimo parere.
La mia psicologa dice di rimanere nel quì ed ora.
Sì, ci rimango.
Ma a volte mi chiedo ancora dove mi porterà...
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.9k 187
Gentile utente,
in genere il rivolgere domande a noi quando si ha già un proprio curante è indice di imperfetta alleanza terapeutica, per cui la prima risposta opportuna ci sembra quella di incoraggiare il dialogo esclusivo tra l'utente e la persona che lo segue.
Nel suo caso, però, il quesito che pone ha caratteri non solo individuali, ma sociologici, storici, esistenziali che forse richiedono approfondimenti e ampliamenti utili ad altri utenti, e possono avere il fine di rendere più proficuo il suo colloquio terapeutico con chi la segue.
Lei non si sente pronta ad affrontare la maternità e si chiede se lo sarà mai. Pensa alla delusione del partner, ma riflette giustamente al suo buon diritto di scegliere in un campo così delicato. Aggiungo che accettare un figlio è una responsabilità verso il figlio stesso, prima di tutto.
Teniamo conto del fatto che il concepimento, un tempo conseguenza inevitabile del rapporto sessuale, non ha più questo carattere ineluttabile, e le modifiche in campo medico hanno per forza inciso profondamente anche sul costume.
Non più "dono" o "colpa", il concepimento è oggi profondamente avvertito come scelta volontaria, al punto da far gravare sulla coppia -soprattutto sulla madre- delle responsabilità moltiplicate, spesso percepite come soverchianti.
Quando i figli venivano naturalmente, non ci si preoccupava di averli messi al mondo in condizioni di malattia o di precarietà sociale ed economica; oggi si è andati fin troppo sul versante opposto, fino a poter scegliere su catalogo le loro caratteristiche genetiche.
In questa situazione di scelta apparentemente illimitata, e di biasimo sociale circa la riproduzione in condizioni penose per il figlio, non è strano che le donne si sentano gravate del peso di una scelta spesso troppo al di là, non solo delle modifiche prevedibili della loro vita, ma delle moltissime incognite che possono naturalmente sorgere e di cui ci si sente responsabili.
Lei sa bene che nonostante tutto questo ci sono donne che procreano a tutti i costi, anche con sussidi medici di tutti i tipi. Talvolta ci si chiede se il desiderio di alcuni di avere un figlio non adombri più una forma di consumismo che un vero desiderio di riprodursi.
Nel suo caso, al momento il dubbio sembra essere più marcato del desiderio di dedicarsi ad una o più nuove vite.
Lei stessa si descrive così: "so di essere una persona fortemente ansiosa, riflessiva, programmatrice e maniaca del controllo e ci sto lavorando tanto su questo".
Ci sta lavorando, è vero, ma al momento lei come la vede, una madre con queste caratteristiche?
Forse gran parte della risposta che sta cercando è qui.
Buone cose.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com