Disagio complesso e assenza di famiglia / punti di riferimento

Gentili dottori. Cercherò di essere breve ed esaustiva nel porre la mia domanda. Ho quasi 22 anni, vivo da sola, sono seguita da una psicologa dai 18 (esplosione della crisi) e tendo alla positività, ma sono in preda ad un crollo fortissimo durante il quale anche il mio corpo si è ribellato e dunque ho febbre e sintomi vari da stress. Non li elenco perché il punto è un altro. Mi è stato diagnosticato un disturbo di personalità borderline, prima tramite test MMPI effettuato da psicologi, e in seguito da psichiatra. Adesso la "diagnosi ufficiale", nel senso che sta scritta su un foglio ma io avrei delle riserve in merito è di dp del gruppo B, misto. Non so quale sia la verità, non so se diagnosticare sia importante, il fatto davvero grosso e importante è che mi trovo ad essere sola, senza famiglia a causa del mio abbandono di un'organizzazione religiosa della quale mia madre fa ancora parte (testimoni di Geova). Ho sviluppato da diversi anni ormai un disturbo del comportamento alimentare del quale non riesco mai, non so perché, a parlare nemmeno con la mia psicologa e a proposito della mia psicologa, so che per voi è un fatto comune (ma per me un dramma): le voglio bene. Mi pare gravissimo e mi sento in colpa, ma è l'unica "adulta" che c'è da quando sono scomparsi tutti, e crede alle mie parole, non trova io sia un rifiuto o una bestia pazza. Mio padre è irascibile e ignora cosa sia il "mettersi nei panni dell'altro". Se le mie parole possono suonare vittimistiche, mi spiace. Però è un essere distruttore, davvero. Si è appena licenziato da lavoro stabile al nord, ha diversi debiti, cause in tribunale e adesso anche la mia stabilità concreta mi sembra minacciata. Io non so disperarmi, non so piangere, non so scalciare. Ma non so a chi rivolgermi. Mi sento vecchia e non me la sento di compiere 22 anni, mi sembrano troppi. Aspetto ancora che qualcuno venga e mi adotti. Ovviamente questi sono tutti pensieri inconfessati, mi concedo di rivelarli dato l'anonimato. Nella vita studio (psicologia) e cerco di resistere ogni giorno, e sorrido tanto. Ma non ce la faccio più. Ho bisogno di esseri umani adulti. Non so nemmeno, e questa è più o meno la domanda, se sia possibile intraprendere un percorso specifico per i DCA senza nessun supporto emotivo esterno. Credo di sì, è giusto? Sicuramente questo stato di solitudine è in gran parte causa mia. Credo inoltre di dover interrompere il rapporto terapeutico con la mia psicologa e ci ho provato mesi fa, ma non riesco. Mi sento inadeguata nei miei sentimenti per lei e soffro più di ogni altra cosa al mondo all'idea di non essere, e non potere essere parte della sua vita. Dite che invece ha senso continuare con lei? Inoltre: quali alternative ho per ricevere supporto in questo stato esistenziale attuale? Non dico che non avrò mai nessuno accanto, ma al momento la situazione è questa, e ho sottinteso che desidero andare via. So bene di non aver espresso una richiesta esatta e chiara, e mi scuso.
Distinti saluti.
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Cara Utente,

se prova affetto per la sua psicologa non c'è nessun dramma, ma semplicemente un buon rapporto con chi si sta curando di lei e non la abbandonerà nè ripudierà.
Non vedo quindi perchè mai dovrebbe interrompere un percorso che le è d'aiuto: sarebbe un auto-sabotaggio, un gesto con il quale si farebbe del male come altri prima d'ora gliene hanno fatto.
E' invece importante che inizi a volersi bene e ad accettare di poter ricevere dell'affetto e dell'aiuto dagli altri, senza sentirsene minacciata.

L'allontanamento che ha compiuto da quel gruppo religioso è stato un gesto molto coraggioso e la dice lunga sul suo conto: sapeva che sarebbe stata ripudiata e allontanata da tutti, ma l'ha deciso e l'ha fatto ugualmente.
Si è trattato di un passo importantissimo per arrivare a creare finalmente una sua identità, separata e "ripulita" da tutte le pesanti influenze che ha subito durante la crescita.

Non so se lei abbia una personalità borderline o meno, forse è solo una tardo-adolescente che non ha avuto modo di crescere del tutto e maturare perchè l'ambiente non glielo ha consentito: sarà (anche) il tempo a dirlo, ma non scarterei questa ipotesi perchè diversi tratti del DBP coincidono con aspetti della normale personalità adolescenziale (come l'impulsività e la tendenza a idealizzare e poi svalutare le persone).

Non posso che consigliarle di dire tutto quello che pensa e che prova alla sua psicologa, perchè possa aiutarla al meglio.
Magari potrebbe farle leggere il suo post, se è imbarazzata dal parlarne direttamente, e poi ne discuterete insieme.

Le faccio tanti auguri,

Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it

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dopo
Utente
Utente
Grazie per questa sua risposta, di cuore. Credevo di non essere riuscita a porre alcuna richiesta e non speravo in una risposta a della confusione messa per iscritto. Sono perfettamente d'accordo sul suo discorso circa la mia ipotetica adolescenza traslata di qualche anno, e che crisi d'identità e scoppi di rabbia siano parzialmente comprensibili data la situazione. Per quanto riguarda la mia psicologa, il pensiero di lasciarla sa molto anche a me di auto sabotaggio. Il problema è che ho difficoltà anche a guardarla negli occhi. Direi che mi emoziono, e sono felice quando la vedo, ma il dovermi contenere, il sentirmi nel posto sbagliato coi sentimenti sbagliati, mi rende costantemente malinconica. E' l'unica persona che c'è concretamente stata, che mi conosce oserei dire, ed è come se ci tenesse a me. Mi ha persino detto, parlando dell'ipotesi che io andassi, che avrebbe voluto sapere come me la sarei cavata qui fuori con le mie gambe. Non so spiegare. Non credo vera l'ipotesi di un contatto fuori da quella circostanza, e temo potrebbe risultare imbarazzante. Soffro molto a causa di questo, ho provato a parlarne con lei ma inevitabilmente l'avrò fatto male. Forse è semplicemente una cosa bella, la sua esistenza e il nostro incontro, che dovrei lasciare andare? Mi sembra tutto sbagliato. In ogni caso "lasciar andare" è il destino di questa faccenda. L'incontro col terapeuta nasce per concludersi, mi hanno detto
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Penso che lei abbia una gran paura di affezionarsi e di essere poi abbandonata.
Nessuno vieta che anche quando il percorso sarà concluso restiate in contatto e la mia collega le ha chiesto esplicitamente di non sparire, se mai volesse interromperlo così precocemente. Immagino che tenga a lei come paziente e come persona, anche considerando quanto è dura la sua storia e quanto è stato grande il suo coraggio nell'allontanarsi da quell'ambiente.

Ribadisco che non vedo alcun motivo per interrompere la terapia e neanche per "contenersi": cosa pensa che succeda se dirà alla collega che è contenta di vederla e che si sente capita solo da lei? Questo indica la presenza di un transfert positivo e il fatto che lo abbia sviluppato significa che sta sperimentando un tipo di relazione umana positiva e nuova per lei, che la spaventa perchè è abituata ad altro.

Penso che si stia creando da sola delle difficoltà che non esistono, come se dicesse "la mollo io prima che sia lei a mollarmi".
Non ha però nessun motivo di pensare che verrà "mollata", non trova?
Se questo le è stato fatto da altre persone non significa che debba succedere in questo frangente e sono sicura che non succederà.
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