Ansia eccessiva e paura dopo un lutto

Salve dottori,vi scrivo perché vorrei ho bisogno di aiuto. Sei anni fa ho perso mio zio, che più che uno zio per me era un padre.Mio zio era stato un periodo ricoverato all'ospedale, per poi tornare a casa perché era li che lui voleva morire,a casa sua.Appena tornò a casa io non lo lasciai un attimo da solo.Ero sempre con lui,giorno e notte, per aiutarlo in tutto, dal vestirsi al mangiare, imboccandolo anche specialmente gli ultimi giorni della sua vita.Mio zio aveva una dottoressa,che veniva da una clinica per malati terminali, gli aveva dato una cura, le cosiddette "cure palliative" per affrontare meglio gli ultimi giorni, veniva da lui una volta a settimana per misurare i valori pressori e vedere la situazione,e ogni volta che mi vedeva mi diceva dolcemente di tornare a casa mia, di venire a trovare mio zio ogni giorno qualche ora e poi andare via, di staccare, di non stare sempre li, perché avevo soltanto 15 anni e tante cose non avrei dovuto vederle, ma io non l'ascoltai e non ascoltai nemmeno mia madre che mi ripeteva le stesse cose, voleva proteggermi da tutta quella sofferenza che vedevo, e che era diventata anche mia, non mi sono pentita di non averla ascoltata perché in quel momento era ciò che volevo fare, e se potessi ritornare indietro probabilmente farei uguale.Prima della morte di mio zio, ero una ragazza serena, soffrivo anche prima di ansia, e mi facevo carico di ogni sofferenza e problema della mia famiglia, aiutando a risolverlo, e soltanto finché sapevo che era tutto apposto ed erano tutti tranquilli ero felice anche io. Prima della morte di mio zio la mia ansia era gestibile direi quasi "normale"; dopo è diventato un problema, che è peggiorato ancora di più quando si è ammalata mia madre, precisamente dopo un anno dal lutto di mio zio. Anche per lei ero sempre pronta ad aiutarla, ero sempre la prima fuori le porte del reparto dell'ospedale ad aspettare l'orario di visita,e quando si sentì meglio e tornò a casa da me,la controllavo a vista d'occhio e le ricordavo le medicine, di notte quando mi svegliavo passavo sempre vicino alla porta della sua camera per vedere se dorme bene, se respira, e lo faccio tutt'ora, sono comportamenti che non riesco ad abbandonare perché solo dopo che ho controllato e ho visto con i miei occhi che è tutto ok mi sento tranquilla e serena.Negli anni a seguire le cose andarono meglio, nel senso che mia madre si riprese, io crebbi, trovai lavoro e mi fidanzai, con lo stesso uomo con il quale sto tutt'ora, tutto migliorò, tranne la mia ansia, che invece peggiorò tanto da diventare un problema ingestibile, che condiziona la mia vita in maniera troppo troppo significativa.C'è sempre in me questa paura (immotivata) che deve succedere qualcosa, paura che io possa perdere qualcuno a me caro.Quando il mio compagno va al lavoro ogni giorno, ho bisogno del suo sms quando arriva e quando torna a casa sua la sera, senza di quello io sto male ed inizio a pensare a tutto.Basta un suo ritardo per pensare al peggio.Ho paura che possa succedergli qualcosa di brutto e questo pensiero non mi abbandona.A volte mi vergogno di chiedergli di avvertirmi quando arriva a casa, ma io senza quella conferma non vivo.Lui non mi ha fatto mai pesare questo,ma secondo lui tutta questa ansia è immotivata,sorride dolcemente e mi dice di stare tranquilla e che forse sarebbe meglio parlarne con qualcuno,ma io mi sono sempre rifiutata,perchè so che se ne parlassi dovrei tirare fuori tutto,i ricordi del passato,di mio zio, della sofferenza.. ma so anche però che non voglio più vivere così, vivere nella paura. Cosa posso fare? Grazie in anticipo.
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Dr. Carla Maria Brunialti Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 17.7k 579 66
Gentile utente,

Lei anzitempo ha affrontato la malattia e la morte,
e ne è rimasta ferita.
Probabilmente se ne sarà anche arricchita,
come spesso succede quando si fa dono dell' "accompagnare":
ha accompagnato lo zio al trapasso,
sta accompagnado mamma nella malattia.

Eppure anche chi accompagna ha bisogno:
di sostegno,
di comprensione,
di condivisione.
Chi di noi se ne occupa, lo sa bene:
il burnout del caregiver è dietro l'angolo.

E dunque è oltremodo centrato il consiglio del Suo compagno che corrisponde anche all'orientamento che Le forniamo:
"..e che forse sarebbe meglio parlarne con qualcuno,ma io mi sono sempre rifiutata,perchè so che se ne parlassi dovrei tirare fuori tutto,i ricordi del passato,di mio zio, della sofferenza.. ". Sì, certo, ma come vivere bene e gioiosamente tenendo dentro tutto?

Lei stessa è consapevole che ".. non voglio più vivere così, vivere nella paura. .."

Saluti cordiali.
Dott. Brunialti

Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/

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