Mia madre sta per morire, ma non riesco a piangere

Avevo finito la terza liceo scientifico con la media del nove, mi godevo le vacanze con i miei amici e facevo le mie prime esperienze sessuali, poi all'improvviso la mia vita si è bloccata.
Mio padre è morto in un incidente d'auto.
Ero molto legato a lui, sognavo di seguire le sue orme e affermarmi come medico, ma sono rimasto solo con mia madre.

Lei non lavorava più e per andare avanti ha pensato di aprire un ristorante e da lì ha cambiato la mia vita.

Mi ha iscritto a una scuola alberghiera, perché un professionale mi poteva dare una possibilità di lavorare prima e aiutarla con il locale.

Io ero totalmente sconvolto dalla morte di mio padre e lo studio era il mio ultimo pensiero e ho acconsentito.
Le cose non sono cominciate bene perché prima di iniziare il quarto anno ho dovuto fare un esame per le materie che al liceo non avevo fatto.
Poiché non avevo aperto un libro ho fatto scena muta e alla scuola hanno consigliato a mia madre di ripetere la terza.
Quando ho cominciato la scuola non riuscivo ad accettare di essermi ritrovato in una vita che non avevo scelto ed ero umiliato di ripetere l'anno.
Non riuscivo a studiare e a concentrarmi.
Alla fine sono stato bocciato.
L'anno successivo avevo deciso di impegnarmi per togliermi da quella scuola il prima possibile.
Ogni mattina però mi facevo una violenza ad andare lí.
Ho resistito un quadrimestre, poi ho cominciato a soffrire di attacchi di panico.
Stavo male, non potevo studiare e ho ancora perso molti giorni e così sono stato bocciato ancora.
Mia madre non ci voleva sentire, mi ripeteva che avrei finito la scuola ad ogni costo.
Grazie alla terapia ho imparato a gestire l'ansia.
Il medico di allora aveva suggerito a mia madre di farmi tornare al liceo, ma lei niente.

L'anno successivo è stato buttato via per mia scelta, 3 in tutte le materie e 10 i matematica, non sono riuscito a lasciare in bianco anche matematica.

A questo punto mia madre si è arresa, mi ha fatto lasciare la scuola, ma non per il liceo, ma per il ristorante.
Nessuna ragazza era mai all'altezza delle sue aspettative, ero sempre senza soldi perché vivendo con lei non mi pagava uno stipendio e poi ero sempre a lavorare nei fine settimana e nelle vacanze e le ragazze si allontanavano.
Così succede che mi sono sempre trovato più solo.
Oggi lavoro al ristorante senza stipendio e vivo con lei.
Sono diversi anni che non ho un rapporto sessuale.
A novembre mia madre si è ammalata gravemente, le avevano dato circa sei mesi.
Io dedico a lei l'intera giornata, forse potrei dire l'intera mia vita.
Qualche giorno fa mi ha fatto un di discorso di addio, in cui le cose che mi hanno ferito di più sono che dovrò pensare a come fare per il ristorante perché secondo lei non sono in grado di gestirlo e che per lei sono stato una grande delusione perché non mi sono sposato e non le ho dato dei nipoti.

Non riesco a piangere per lei, ho dentro così tanta rabbia e forse odio che mi fa paura...sono un mostro?
Se solo mio padre non fosse morto
[#1]
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 182
Gentile utente,
quello che ci racconta giustifica la sua attuale freddezza verso sua madre, ma la sua passività negli anni?
Perché divenuto maggiorenne non si è allontanato da una situazione mutilante?
All'epoca della morte di suo padre non avevate nessun parente che potesse, se non opporsi alle scelte di sua madre, aprire gli occhi a lei, figlio, sul fatto che stava imboccando una strada sbagliata?
Negli anni, niente stipendio e niente relazioni d'amore o d'amicizia... perché non se n'è andato?
Lei avrà avuto delle crisi, avrà visto uno psichiatra o uno psicologo, immagino. Perché qui non ne parla?
Le dico questo, e tuttavia ho visto delle situazioni simili alla sua.
In quei casi la madre rimasta vedova o lasciata dal marito era preda di un miscuglio pericoloso di paura morbosa della vita e volontà di dominio sui figli, per cui toglierli alla scuola e metterli a lavorare le sembrava la soluzione, non per loro, ma per sé.
Si tratta di madri che non hanno mai riconosciuto il figlio come Altro, come Persona.
Al momento, io cercherei di capire quali erano i veri sentimenti di sua madre verso suo padre. A volte un oscuro sentimento di vendetta si sviluppa verso chi, morendo, ha compiuto un atto di "abbandono". Peggio ancora se c'era già del risentimento: un'altra donna, qualche atteggiamento che faceva sentire la moglie non amata o addirittura derisa, disprezzata.
Va da sé che questa indagine sarebbe meglio condotta se lei avesse alle spalle un supporto psicologico.
Le faccio tanti auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#2]
dopo
Attivo dal 2020 al 2020
Ex utente
C'era la nonna, era la madre di mio padre. Ha provato ad opporsi e a lottare per me, ma era distrutta dalla perdita di un figlio e non ne ha avuto la forza. Tuttavia è stata per me una figura fondamentale. Mi è stata molto vicina quando ho lasciato la scuola e ho cominciato a fare dei tic con la faccia, che faccio ancora adesso.
È l'unica persona con cui sono riuscito ad aprirmi completamente. Intorno ai 28 anni mi aveva anche convinto a finire la scuola, avevo creduto che il futuro che avevo immaginato fosse ancora possibile. In effetti a 30 anni ho preso il diploma, malgrado la strenua opposizione di mia madre, che non voleva sottraessi tempo al ristorante. Mi sono iscritto al primo anno di medicina, mia nonna mi pagava l'università...poi è morta. È stato un dolore enorme, ancora una volta sul più bello qualcuno mi abbandonava. Sono piombato in una depressione profondissima. Un incubo che è durato circa dieci anni, tra terapia e farmaci ne sono uscito, anche se assumo a ora qualcosa. A quel punto però non ho più avuto la forza di studiare e sono rimasto prigioniero dei sensi di colpa nei confronti di mia madre che in tutti quegli anni in cui lavoravo poco mi ha mantenuto. Non ho più avuto il coraggio di lasciare il ristorante e neanche di chiedere uno stipendio. Ho ricominciato ad avere un po' di interesse per la vita e per le donne intorno ai 45 anni. Ho avuto qualche breve storia, ma anche problemi a letto. Ho preso molti chili e ho il diabete e assumo ancora psicofarmaci, che insieme hanno determinato problemi di erezione non superabili.
E quindi sono rimasto qui a vivere con mia madre.
Non credo ci fossero problemi con papà, ma da quando è morto non sono mai riuscito a parlare di lui con mia madre.
Lei ha fatto in modo che fossi psicologicamente dipendente da lei, ha fatto in modo che la mia vita fosse dedicata a lei. Di fatto non ho avuto una vita mia.
Come dicevo adesso ho tanta rabbia, ma in un certo senso ho anche paura di non farcela da solo, mi ha sempre fatto credere questo, forse era lei così, che aveva bisogno di me.
Il fatto è che questo mi ha reso fragile e lei si vergogna di me, dei miei tic, della depressione, ma è stata lei a rendermi così e questo non glielo perdono.

Non riesco a piangere per lei.
Quando la sera sono più stanco e faccio i tic in modo più evidente vedo il suo sguardo che mi fa male.
Quando prendo i farmaci o il sonnifero vedo il suo sguardo che mi fa male.
Quando mi peso e mi accorgo di avere preso un altro chilo vedo il suo sguardo che mi fa male.

Forse avrei solo avuto bisogno di una parola, di dolcezza, di conforto, di una madre.

Non riesco a piangere per lei.
Faccio le cose come un automa, più per non sentirmi in colpa che per amore. Mi vergogno di questo, ma non riesco a piangere per lei.
[#3]
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 182
Caro utente,
l'unica cosa che non deve dire è: "Mi vergogno di questo, ma non riesco a piangere per lei", e non perché sua madre sia stata cattiva o non lo meriti (questo fa parte del giudizio morale, che è una cosa estranea al suo problema) ma perché mettersi a piangere sarebbe ancora una volta far risorgere il quindicenne cui non è stato consentito di crescere.
Sarei curiosa di capire quale genere di terapia ha fatto per dieci anni. Se è stata sempre con lo stesso terapeuta, avrebbe dovuto dare una svolta alla situazione.
Adesso si tratta di nuovo di una perdita, ma stavolta è bene che lei ne faccia lo strumento della crescita e dell'autonomia. Ancora una volta, questa non è una scelta morale, ma di sopravvivenza.
Parlando di farmaci, il diabete è sotto controllo? Prende anche altri farmaci?
Il fatto che non abbia mai parlato con sua madre di papà, fa temere che ci siano molti punti oscuri e interpretazioni distorte nel vostro nucleo familiare. Quando sua madre non ci sarà più, sarà difficile per lei ricostruire da solo. Per questo insisto che lei trovi modo, con calma, di farsi raccontare come i due si sono conosciuti e così via. Potrebbe dirle che vuole dei ricordi di famiglia, e registrare i suoi racconti. Molti figli lo fanno Ci provi.
Troverei molto utile l'appoggio di uno psicologo, se non ne ha già uno.
Ancora auguri.
[#4]
dopo
Attivo dal 2020 al 2020
Ex utente
Nei dieci anni ho cambiato tre terapeuti, perché le cose andavano male e non riuscivo a uscirne. C'è stato un periodo in cui stavo sempre a letto, non ce la facevo a uscire di casa e a lavorare. Non avevo interesse per niente. Dormivo pochissimo e male. Quando mi svegliavo avevo una paura incredibile che non sapevo spiegare. Avevo solo voglia di stare a letto, tutto rannicchiato. Non so che terapia abbia fatto, ma poi è passata. Certo che partendo da un baratro così profondo non potevo poi fare grandi cose. Mia madre mi continuava a dire che non ce la facevo e io sono rimasto in casa con lei, senza capire che invece di essere la mia salvezza era la mia croce.
Il diabete è sotto controllo.
Ho contatti con uno psichiatra che però non vedo più con regolarità. Lo sento per i farmaci che ancora prendo.
Perché dice che piangere è da quindicenni? Se c'è una cosa che non ho mai avuto paura di fare è mostrare le mie emozioni. La mia sfortuna è stata che intorno a me non c'erano persone con la sensibilità necessaria per capirle e affrontarle, tolta mia nonna fino a che è vissuta.
L'idea di registrare i racconti di mia madre mi terrorizza, ho paura di scoprire mie vecchie ferite, ora che non sto così male. Da un altro lato, come dice lei, quando non ci sarà più sarà difficile ricostruire. A dire il vero, quando non ci sarà più il mio desiderio più grande non è di capire quello che è stato, ma di liberarmi di tutto, casa, ristorante, vestiti...qualsiasi cosa che mi possa legare a questa vita.
Cambierò sicuramente anche città...non so ancora che cosa vorrò fare e che cosa saprò fare, ma ho il desiderio di andare lontano da qui.
Mi sento come se avessi vissuto fino alla morte di mio padre e potessi ora ricominciare a vivere quando mia madre morirà. Peccato che ho lasciato un ragazzino con tante potenzialità e ritrovo un uomo di cinquanta anni, con il diabete, in sovrappeso, con i tic, pieno di antidepressivi, con pochi soldi e un diploma mai usato, senza famiglia e probabilmente poca fiducia in se stesso.
Non posso sicuramente recuperare il tempo che ho lasciato scappare via, ma forse posso provare a godermi il pezzo di vita che mi rimane.
Di questo mi vergogno: sto aspettando che mia madre muoia per ricominciare. Per questo ho paura di parlare con lei, forse più per quello che io potrei dire, piuttosto che ascoltare da lei.
Anche se da un lato mi piacerebbe proprio sbatterglielo in faccia, ma mi sentirei crudele a farlo sapendo che è in punto di morte.
Come mi devo comportare?
[#5]
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 182
Caro utente,
tutto quello che lei ha scritto mi conferma l'ipotesi diagnostica che ho in mente.
E' stato molto sfortunato coi suoi tre terapeuti, se nessuno ha saputo "agganciare" il suo disturbo.
Ritengo che sia necessario per lei procedere con estrema cautela (sotto la superficie, la ferita è aperta) ma partendo dall'accettare i fatti, che vuol dire anche non costruire interpretazioni in qualunque maniera artefatte, e piano piano smontare quelle del passato.
Cominciamo da un equivoco nell'interpretare le mie parole (che può ascriversi a me, naturalmente: nella scrittura si può essere oscuri per sintesi).
Del suo bisogno/desiderio di piangere avevo scritto: "mettersi a piangere sarebbe ancora una volta far risorgere il quindicenne cui non è stato consentito di crescere".
Frase che ora mi rendo conto non fosse facile da capire, infatti lei la equivoca e replica: "Perché dice che piangere è da quindicenni?".
Nessuno psicologo nega al paziente di piangere. Io mi riferivo ad un'altra cosa: dentro di lei è bloccato il ragazzino che ha perso il papà. Lei in parte lo sa, infatti scrive: "Mi sento come se avessi vissuto fino alla morte di mio padre" Giusto, ma aggiunge: "e potessi ora ricominciare a vivere quando mia madre morirà".
Il problema è proprio quel blocco traumatico, mai risolto, riaperto con la morte della nonna; tutte le cose che scrive rimandano ad una situazione clinicamente nota.
Io direi che lei deve cercare un bravo psicologo e farsi supportare finché la mamma è viva. Non è detto che alla sua morte segua la liberazione.
Nella sua città conosco uno psicologo che si occupa di stress traumatico, ma certamente ci sono anche altri specialisti, anche online. Tenga con sé le email che ci ha mandato, con le date in cui le ha scritte. Ci sono terapie basate proprio sulla scrittura, e in ogni caso leggo nelle sue parole che qualcosa si sta muovendo.
Le faccio i più vivi auguri.
[#6]
dopo
Attivo dal 2020 al 2020
Ex utente
Posso chiederle quale è l'ipotesi diagnostica che ha in mente?
Una cosa nelle sue parole mi ha completamente destabilizzato. Sono ore che ci penso...

"farsi supportare finché la mamma è viva. Non è detto che alla sua morte segua la liberazione"

Nella mia testa è sempre stato così, lei è la mia prigione e ora invece potrebbe continuare anche dopo...è terribile solo pensarci.

Non so se per questo motivo o per la curiosità di vedere la sua reazione, ho chiesto a mia madre di papà.
Ho fatto questa domanda a bruciapelo: "mi parli di papà?".
É rimasta senza parole...ma non mi ha chiesto nulla e ha cominciato a parlare.
Mi ha raccontato tante cose, ma tre su tutte mi hanno colpito estremamente:
1. Mi ha detto che si sono sposati per grande amore
2. Mi ha detto che l'amore per la medicina e per aiutare gli altri aveva superato il loro amore
3. Mi ha confessato che quando io ho cominciato a dire di voler fare il medico aveva il terrore di perdere anche me...

Sono rimasto talmente sconvolto che me ne sono dovuto andare. Sono confuso e rabbioso allo stesso tempo, tutto questo cambia tutto, ma adesso non so come gestirlo.
Mi viene da piangere e ho il fiato corto. Perché fa così male?
Forse ha ragione, questa è la strada, ma adesso ho paura di non avere più tempo
[#7]
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 182
Caro utente,
il tempo per ora c'è. Però, se le dico di farsi supportare da un esperto in questa ricerca, non sto né scherzando né facendo il gioco degli psicologi o chissà cos'altro.
Non possiamo sapere se le cose che ci dice una persona molto vicina a noi, coinvolta con i nostri sentimenti e le nostre scelte di vita, sono tutte vere e sincere, non orientate a giustificarsi e ad influenzarci.
Altro da qui non posso fare. Il quindicenne di un tempo continua a gridare dentro di lei, continua a voler forzare le mura di una prigione costruita soprattutto con la forza delle parole.
Fin dalle prime righe della mia prima risposta le chiedevo: "Perché divenuto maggiorenne non si è allontanato da una situazione mutilante?".
Era una domanda retorica: volevo farla riflettere sulla sua "strana" passività.
Lei conclude una sua risposta, la #2, con le parole: "Forse avrei solo avuto bisogno di una parola, di dolcezza, di conforto, di una madre".
Forse questo, nella veste di una terapia di sostegno, potrebbe trovarlo in uno psicologo. Perché precluderselo?
Diabete

Il diabete (o diabete mellito) è una malattia cronica dovuta a un eccesso di glucosio nel sangue e carenza di insulina: tipologie, fattori di rischio, cura e prevenzione.

Leggi tutto