Rapporto psicoterapeuta/paziente

Ho 36 anni e per circa un anno e mezzo ho seguito una psicoterapia, che solo in un secondo momento si è rivelata essere di tipo psicoanalitico (non conoscendo le varie scuole non avevo colto il carattere specifico dell'approccio che con la mia terapeuta stavamo seguendo) per un disturbo di insonnia/attacchi di panico. Una volta risolti i problemi "contingenti" e avendo cominciato a dormire normalmente e a gestire l'ansia ho cominciato a notare nella mia psicoterapeuta una certa propensione alla continua riaffermazione del ruolo della terapia in ciò che accadeva dentro e fuori di me, nelle mie emozioni e nel modo in cui le gestivo, tutto veniva letto in forma di "collegamenti", riconduzioni, talvolta un po' forzate, di ogni dato a un certo tipo di personalità nella quale non mi riconoscevo bene. Ho provato a sollevare delle obiezioni rispetto a certe interpretazioni, ma ne ricevevo risposte confuse, il cui succo era "l'importanza della terapia". Ho fatto anche presente alla dottoressa che mi sembrava di aver sviluppato nei suoi confronti un rapporto di forte dipendenza, di aver cominciato a chiedermi, prima di ogni minimo gesto, anche semplice e quotidiano, cosa ne avrebbe pensato o immaginarmi che mi stesse guardando. Le ho presentato il dubbio che si trattasse di un'ossessione poco salutare, ma lei mi ha confermato che è naturale che il rapporto si sviluppi in tal senso, che anche lei ama visceralmente il suo analista, e che al momento giusto avremmo lavorato sul distacco. Il momento giusto, però, sembrava non venire mai, le mie richieste di una maggiore autonomia venivano ignorate e, anzi, si ribadiva continuamente l'importanza della terapia, il ruolo che essa gioca nella mia vita di ogni giorno. Non era questo il mio obiettivo e gliel'ho chiarito, le ho chiesto di fornirmi gli strumenti e le risorse per camminare sulle mie gambe, soprattutto dopo che molti miei punti di riferimento, affettivi e "rituali", erano stati sezionati e distrutti e che mi pareva di mancare di punti di riferimento. Ogni volta mi veniva risposto che il punto di riferimento doveva essere la terapia. Di fronte a un'ostinazione nel voler scavare sempre più a fondo alla ricerca di conflitti che probabilmente ho, ma che non avverto, mi sono spaventata e ho chiesto ieri di interrompere la terapia. Mi è stato ribadito l'importanza di seguire un percorso di distacco, ma che non era il momento, quindi l'alternativa che mi è stata offerta è stata quella di attendere questo ipotetico momento o interrompere immediatamente. Non trovando corretto un ricatto del genere ho optato per la seconda opzione. Ovviamente oggi mi sento totalmente abbandonata, spiazzata e priva di riferimenti. Vorrei capire se è normale che si crei questo rapporto morboso tra paziente e terapeuta e se, anziché lavorarci solo alla fine, non sarebbe dovere del terapeuta impedire che ciò accada, fin dall'inizio.
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Dr. Armando De Vincentiis Psicologo, Psicoterapeuta 7.2k 220 123
Gentrile ragazza un percorso terapeutico deve avere degli obiettivi stabiliti fin dal principio. Può succedere che alcune cose possano emergere strada facendo, ma se si ha il vissuto di aver raggiunto lo scopo per il quale ci si è rivolti alla terapia allora non c'è motivo di metterlo in discussione.
qual'era il motivo di richiesta della terapia?

(..)insonnia/attacchi di panico (..)
sono stati risolti? sono gestibili? si ripresentano?

questi devono essere i parametri per decidere se la terapia deve concludersi oppure no.

Dr. Armando De Vincentiis
Psicologo-Psicoterapeuta
www.psicoterapiataranto.it
https://www.facebook.com/groups/316311005059257/?ref=bookmarks

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Psicologo, Psicoterapeuta attivo dal 2010 al 2016
Psicologo, Psicoterapeuta
Gentile signora, esprimersi su una terapia cui non si è partecipato non è possibile.
Certamente, se lei oggi si sente spiazzata, abbandonata e priva di riferimenti e se si è sviluppato un rapporto di forte dipendenza irrisolto "qualcosa è andato storto". Cosa sia quel "qualcosa" non lo so.

Non tutti gli approcci psicoterapeutici lavorano allo stesso modo: in alcuni la relazione terapeutica diviene il principale strumento ed ambito della terapia, in altri è solo uno degli strumenti, e neppure il principale.

In generale, però, nei principali modelli teorico-tecnici di intervento l'alleanza terapeutica è ritenuto un requisito importante ed un predittore di esito della terapia. Mi sembra che in questo caso, più che lavorare fianco a fianco, foste impegnate in una specie di "tiro alla fune" in cui l'obiettivo della terapia non era adeguatamente condiviso; e questo, in genere, implica che non si va nella stessa direzione.

Cordialmente
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dopo
Utente
Utente
Gentile Dr De Vincentiis
Prima di tutto, La ringrazio.
Come ho scritto inizialmente, sì, fin da dopo la prima seduta gli attacchi di panico non si sono più manifestati, l'insonnia è diventata gradualmente più gestibile e infine è scomparsa (salvo rari casi, del resto ognuno ha un po' il suo modo di somatizzare). Preciso che, nel corso di questo anno e mezzo di terapia, sono stata operata di cancro due volte, quindi credo sia abbastanza fisiologico che un fondo d'ansia, in chi deve sottoporsi a stadiazioni trimestrali, rimanga. Avevo raggiunto un certo equilibrio, ma non sapevo se far presente alla terapeuta che non avevo altre esigenze, soprattutto non sapendo se doveva essere lei a proporre una sospensione o io, non ho la competenza professionale per dichiararmi guarita e a rischio di ricadute pari a zero. Del resto, il continuo ribadire della psicoterapeuta che bisognava avere molta pazienza, mi riportava all'ordine, mi diceva spesso che era necessario andare più a fondo e che, non facendolo, rischiavo di avere ricadute. Io nella vita faccio l'impiegata, come posso sapere se è vero? Dopo la penultima seduta, l'ennesima in cui aveva attribuito una valenza nevrotica a una cosa che personalmente mi sembrava una sciocchezza (una discussione con il mio compagno, credo, o il fatto che mi sono recentemente tagliata i capelli e non mi stanno molto bene, non ricordo) mi sono sentita un po' presa in giro, mi ha dato l'idea che tutto questo "scavare" non avesse la valenza di consolidare i risultati ottenuti, ma che servisse più a lei che a me, quindi nel corso della settimana passata ho maturato la decisione di sospendere. Ovviamente da quando l'ho deciso mi si sono ripresentati gli antichi problemi di ansia e insonnia e non capisco quanto attribuirli al nervosismo per la situazione e considerare, quindi, il problema sostanzialmente risolto (quando mi passerà la rabbia per quanto è accaduto) e quanto, invece, questo lungo periodo di equilibrio non sia stato, in realtà, solo apparente e non poggiasse totalmente sulla presenza rassicurante della terapeuta, soprattutto in virtù di questo legame morboso, che lei mi ha detto essere normale...
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Dr. Alessandro Raggi Psicologo, Psicoterapeuta 479 13 31
Gentile Signora, come già hanno commentato i miei colleghi è ovviamente possibile solo riferirci alla sua percezione di realtà e al suo vissuto così come emerge dal racconto che ha voluto condividere. In quest'ottica, è evidente che la terapia che ha seguito le ha permesso se non altro di risolvere o attenuare i suoi sintomi e questo mi sembra già un ottimo risultato. Peraltro nel corso della terapia è emerso che lei non aveva una reale motivazione a proseguire una terapia psicodinamica (un' analisi), aspetto che, non importa se in fase iniziale o successivamente, avreste dovuto concordare assieme lei e la sua analista. Non ha specificato quale fosse il patto iniziale con la terapeuta, ma se ne deduce che riguardasse il problema dei sintomi. Risolti e/o attenuati i sintomi, dal suo racconto, pare che lei sia stata effettivamente forzata a lavorare su aspetti della sua personalità e su dinamiche relazionali di transfert e controtransfert del tutto naturali in una terapia (in particolare psicodinamica) alle quali dinamiche però, lei non solo non era pronta, ma neppure motivata ad elaborare. Se è andata così ha fatto bene ad interrompere la terapia. In generale comunque, si possono serenamente ridefinire gli obiettivi in corso di terapia, l'importante, ripeto, è che questa ridefinizione sia esplicita e condivisa tra paziente e terapeuta. L'attaccamento che lei definisce "morboso" verso la sua terapeuta è una delle tante possibili manifestazioni di un transfert (chiaramente forte) del tutto naturale in psicoterapia. In particolare nelle terapie psicoanalitiche il transfert è un elemento centrale del processo terapeutico, poiché queste basano molto del trattamento proprio sull'analisi e la rielaborazione di questo transfert. A tale proposito, un'altra cosa che mi suona stridente, è che lei racconta di aver "colto" il carattere specifico della terapia che stava seguendo solo in un momento molto successivo all'inizio della terapia. Questa è veramente una cosa strana a mio avviso, che meriterebbe un approfondimento, poiché in una terapia psicodinamica, come pare quella che lei ha fatto, parte integrante della terapia è la consapevolezza del tipo di trattamento che si dovrà affrontare, per il quale sono richieste motivazioni e capacità personali al paziente, che non necessariamente tutti possiedono, e in tali casi il terapeuta/psicoanalista non avvia nemmeno il trattamento e non prende in carico il paziente.
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dopo
Utente
Utente
Gentile Dr Calì
Io quali fossero i miei obiettivi lo avevo chiarito: volevo dormire, smettere di svegliarmi in piena notte con la tachicardia e smettere di farmi prendere dal panico a ogni pie' sospinto. Avevo chiarito che la mia necessità era fare una vita normale. Onestamente, da persona non competente in materia, non avevo la più vaga idea del fatto che una terapia potesse mirare a una sorta di speleologia dell'inconscio, quindi, fino a un certo punto, ho creduto che la psicoterapeuta stesse lavorando per il raggiungimento degli obiettivi e che anche certi "approfondimenti" che mi sembravano un po' oziosi fossero necessari. Come dicevo al suo collega, io sono un'impiegata, non ho una preparazione in questo campo e se mi si dice che un aspetto della terapia è necessario mi fido, esattamente come quando mi hanno detto che dovevo operarmi di cancro per la seconda volta in tre mesi mi sono fidata, come posso saperlo, non sono un medico, posso solo sperare che il chirurgo sia onesto e che non mi operi per fare pratica... Io ero stata abbastanza onesta in quelli che erano i miei obiettivi e mi risultava che la dottoressa li avesse accettati, non pensavo proprio che potesse decidere di prenderla così larga
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dopo
Utente
Utente
Gentile Dr Raggi
Quello che ha sottolineato è verissimo, del resto voi potete ascoltare soltanto la mia versione, quella della mia psicoterapeuta, ieri, è stata molto diversa, al punto che è arrivata a dirmi che avevamo già concordato di proseguire fino all'estate e, dopo le vacanze, lavorare sul distacco. Io sinceramente questa cosa non la ricordo affatto, è pur vero che mi è stato abbondantemente chiarito nel corso di questa terapia che il mio inconscio vive di vita propria, ma che l'abbia rimossa mi pare davvero strano. La possibilità che questa sia stata una mia percezione personale non la escludo, rimane il fatto che una psicooncologa del centro tumori che frequento (non per hobby, ovviamente) e con la quale scambio occasionalmente due chiacchiere relative strettamente alla mia patologia, mi ha fatto notare che avevo cominciato ad esprimermi in termini psicoanalitici anche parlando delle cose più normali, cosa che mi ha spaventato non poco. Alla faccia del transfert. No, sinceramente non avevo la minima idea che avessimo adottato un approccio psicoanalitico, mi può spiegare da cosa avrei dovuto capirlo? Premetto che non ho una formazione psicoterapeutica né filosofica, non avevo nozioni di nessun tipo a riguardo, ci sono elementi universalmente noti che per qualunque "uomo della strada" indicano che ci stiamo inoltrando in una psicoanalisi?
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
Come le stanno facendo notare i colleghi, i vari indirizzi psicoterapeutici possono differire anche di parecchio, tanto da apparire come cose del tutto diverse.

Non tutte le psicoterapie usano la relazione allo stesso modo. E non tutte si occupano di concordare e definire obiettivi che rispondano, fin dall'inizio, alla domanda: come sapremo quando la terapia sarà terminata?

L'espressione "camminare sulle proprie gambe" è una delle mie preferite e le confesso che a leggere il suo racconto viene un po' la pelle d'oca. Sembra quasi che invece che di una terapia si sia trattato di un progressivo indottrinamento a qualche setta.

Però probabilmente le cose non saranno andate proprio così. Probabilmente, se si è creato un legame così forte e addirittura morboso con la terapeuta, anche lei (che ci scrive) ci avrà messo inconsapevolmente qualcosa di suo. Intendo dire che una certa predisposizione alla dipendenza può dar luogo a fenomeni come questi. Anche la preoccupazione causata dalla malattia può aver contribuito.

Non si può però essere del tutto obiettivi nel criticare o commentare una terapia condotta da qualcun'altro. Perciò dobbiamo dare per scontato che la terapeuta, seguendo gli insegnamenti nei quali è stata formata, avrà agito nel suo interesse.

Legga questi articoli, per farsi un'idea su alcuni dei principali approcci psicoterapeutici e su cosa aspettarsi da una terapia, così la prossima volta avrà più informazioni per decidere:

https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html

https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/233-la-psicoterapia-che-cos-e-e-come-funziona.html

Cordiali saluti

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

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Dr. Alessandro Raggi Psicologo, Psicoterapeuta 479 13 31
Doveva assolutamente chiarirglielo la sua terapeuta.
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Psicologo, Psicoterapeuta attivo dal 2010 al 2016
Psicologo, Psicoterapeuta
>>Io quali fossero i miei obiettivi lo avevo chiarito: volevo dormire, smettere di svegliarmi in piena notte con la tachicardia e smettere di farmi prendere dal panico a ogni pie' sospinto. Avevo chiarito che la mia necessità era fare una vita normale

Comprendo il suo disorientamento. Mi sembra molto probabile che ci fosse un'intesa di massima iniziale che si è poi "diluita", e che "scavare" nel suo inconscio non fosse un obiettivo che lei aveva accettato in piena consapevolezza, forse anche perchè non ne vedeva la finalità.

Se un giorno dovesse decidere di rivolgersi nuovamente ad uno psicologo, sappia che è suo diritto sapere di cosa vi occuperete, e come lo farete.

Cordialmente
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dopo
Utente
Utente
Gentile Dr Santonocito. Innanzitutto La ringrazio per i link, che sicuramente consulterò dopo aver concesso alla mia psiche una lunga vacanza, sempre che ne sia capace.
Indubbiamente sono una persona profondamente portata alle dipendenze, non mi riferisco a sostanze illegali, ma a rituali e gestualità nelle quali ricerco la sicurezza che non mi è stata data attraverso i modelli affettivi primari. Ma proprio perché questo mio problema era stato espresso sin dall'inizio, in quanto gli attacchi di panico si erano generati dall'interruzione forzata di uno di queste mie sciocche cerimonie (non sto a entrare nei dettagli), a mio parere lo scopo della terapia doveva essere quello di liberarmi delle dipendenze, non di crearmene un'altra da sostituire a quelle più annose. Purtroppo, sapendo che la mia psicoterapeuta sta prendendo l'abilitazione per praticare la psicoanalisi e che allo stato attuale prevalentemente si occupa di problematiche dell'infanzia, mi riesce un po' difficile credere che questo scivolone nel campo psicoanalitico sia stato fatto esclusivamente per il mio bene.
[#11]
dopo
Utente
Utente
Dr Raggi, Dr Calì
Ringrazio entrambi per i chiarimenti, cercherò di affrontare la mia prossima terapia, sicuramente necessaria per liberarmi di questa ulteriore dipendenza, con un minimo di consapevolezza in più
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
>>> a mio parere lo scopo della terapia doveva essere quello di liberarmi delle dipendenze
>>>

Posso essere d'accordo con lei, ma bisogna vedere com'è stata condotta la fase di valutazione iniziale e se tale predisposizione alla dipendenza fosse stata esplicitata in primo luogo, e poi definita e concordata come parte del problema da trattare.

L'ingrato lavoro del terapeuta è (dovrebbe essere) quello di aiutare il paziente a fare a meno di lui.

Le suggerisco anche un altro link:

https://areariservata.psy.it/cgi-bin/areariservata/albo_nazionale.cgi

tramite il quale è possibile verificare che il professionista a cui ci si rivolge sia innanzitutto psicologo, e poi abilitato alla professione della psicoterapia. Lo tenga presente per il futuro.

Cordiali saluti
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Dr.ssa Federica Meriggioli Psicologo, Psicoterapeuta 354 3 9
Gentile utente,
pur con la difficoltà di comprendere appieno lo svolgimento del suo percorso terapeutico conoscendo solo il suo vissuto, sembra che con la sua terapeuta si sia creata una forte incomprensione e una sorta di non detto sul senso della terapia stessa.

Se avevate chiarito all'inizio l'obiettivo della terapia e questo era poi stato raggiunto, era opportuno ridefinire il corso che si intendeva dare, come coppia paziente-terapeuta, al percorso iniziato, nel senso o di ridefinire gli obiettivi o di procedere verso una conclusione della terapia stessa.

E' infatti possibile che in un tempo così lungo emergano problematiche o si vivano esperienze che richiedono un approfondimento psicoterapeutico; questo in parte sembra essere accaduto anche a lei con le due operazioni subite, ma bisognerebbe capire se e quanto questo è entrato a far parte della terapia in corso.
Secondariamente anche per la fase di conclusione, di solito, è necessario un certo periodo di tempo sia in modo che si stabilizzino le nuove acquisizioni fatte in terapia, sia che si elabori il distacco dal terapeuta stesso.

Per quanto riguarda poi la sua sensazione di parlare anche quotidianamente un linguaggio psicoanalitico, è esperienza abbastanza comune, fa parte dell'aver appreso quasi per osmosi un certo modo di considerare le cose, e non necessariamente è un dato negativo.

Concludo incoraggiandola a considerare gli elementi positivi del percorso che ha svolto con la sua terapeuta, in quanto sembra che comunque una parte positiva ci sia anche nella sua percezione, e che forse ora è mascherata dalla delusione con cui avete concluso il rapporto terapeutico.


Cordiali saluti

Dr.ssa Federica Meriggioli - Psicologa Psicoterapeuta
Via Roma 131, Spinea Ve
Tel. 3498534295 www.federicameriggioli.com

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Utente
Utente
Gentile Dr Santonocito
Assolutamente, le avevo posto fin dalla prima seduta il problema di come non riuscissi più a condurre una vita normale senza il mio *rito* (scusi, è una storia di proporzioni epiche e non è questa la sede per parlarne), l'esigenza di riuscire a dormire ugualmente senza poterlo più "officiare" prima di dormire etc. Ovviamente messa così sembra che fossi più che altro da ricovero e in effetti era l'unica alternativa che avevo valutato rispetto alla terapia, comunque sono seguita, per motivi che mi sembrano evidenti da quello che scrivo, anche in un centro di salute mentale, assumo un blando ansiolitco prima di dormire, sotto controllo della psichiatra. Comunque, avevo bisogno di ricominciare a dormire la notte e anche molto in fretta, perché erano 3 mesi che dormivo al massimo due ore. Ok, ho ricominciato a dormire, ma la dipendenza da questa scemenza di rito continua, l'ho semplicemente variata cambiando l'oggetto di riferimento. A parte la prima seduta ho fatto presente più volte, nel corso della terapia, come il problema delle dipendenze fosse rimasto, ma ogni volta la terapeuta mi ha risposto che non era importante soffermarsi sul rito, ma sulle sue motivazioni, il che non significava che una volta individuate avrei cessato di praticarlo, perché non era questo lo scopo dei nostri incontri e che se davvero tenevo solo a quello potevo andarmene e farmi una "bella terapia comportamentale" che mi avrebbe lasciata senza rito, ma con tutti i miei conflitti interiori totalmente irrisolti.
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Utente
Utente
Gentile D.ssa Meriggioli
La ringrazio per le Sue parole. Come ho spiegato ai suoi colleghi, gli obiettivi da parte mia erano stati specificati fin dall'inizio e più volte ribaditi e mi è stato ogni volta ribadito che tali obiettivi non si potevano realizzare e stabilizzare senza "scavare" più a fondo. Io non so se questo sia vero o no, so solo che non mi ha fatto bene. Forse non sono pronta, forse lo sarò tra 10 anni, forse mai e morirò nella beata inconsapevolezza dei miei problemi irrisolti.
Per quanto riguarda l'interrelazione della mia esperienza oncologica con quella psicoterapeutica, sinceramente, in entrambe le occasioni in cui sono stata operata, ho sempre dato ottimisticamente per scontato che sarebbe andato tutto bene (ovviamente fino a quando non sono entrata nella sala preoperatoria, lì un po' di paura l'avevo), quindi non so quanto la cosa possa aver influito. So che dall'esterno sembra impossibile, ma le assicuro che quando ti dicono che hai una malattia grave, a parte un primo momento, viene naturale fare appello alle proprie risorse e dirsi che si ha bisogno di tutto l'ottimismo e la fiducia possibili per guarire. Ecco, forse riguardo a questo, la psicoterapeuta mi fece notare che avevo un atteggiamento sbagliato perché negavo la parte di me che sicuramente era dilaniata dall'ansia. Io però questa parte non l'ho sentita un granché, sarò superficiale, non so che dirle...
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
>>> se davvero tenevo solo a quello potevo andarmene e farmi una "bella terapia comportamentale" che mi avrebbe lasciata senza rito, ma con tutti i miei conflitti interiori totalmente irrisolti.
>>>

Oppure, avrebbe risolto il suo problema.

Comunque mi pare che lei usi la parola "dipendenza" in relazione a quello che sembrerebbe un rituale di tipo ossessivo-compulsivo. Io invece intendevo dipendenza interpersonale. Esiste un tipo di personalità, la personalità dipendente, che ha facilità ad attaccarsi a qualunque persona lui percepisca come di riferimento, dalla quale perciò essere orientata, consigliata, diretta ecc.

In ogni caso, alcuni orientamenti psicoterapeutici (ormai l'ha capito) alimentano il legame con il paziente, sulla premessa che ciò sia curativo, mentre altri arrivano solo fino a un certo punto. A un punto cioè che permetta l'instaurazione di una fiducia reciproca e il sentirsi a proprio agio, ma non al punto da instaurare una dipendenza.

Senza entrare in dettagli, il suo problema riguardava un rituale ossessivo?

Cordiali saluti
[#17]
dopo
Utente
Utente
Dunque, no, decisamente non ho alcuna tendenza a dipendere dalle persone, come le accennavo sopra i miei modelli affettivi primari sono stati pressoché assenti e, almeno da quanto è emerso in terapia, sarei, anzi, totalmente incapace di affidarmi a un altro essere umano, sarei abituata a cavarmela totalmente da sola e dove non arrivo traggo sicurezza da oggetti e gestualità. Persino il mio cagnolino è stato vivisezionato in questo senso, come mia valvola di sfogo per l'incapacità di amare le persone (cosa peraltro non vera, amo il mio compagno, amo il mio cane e amo anche i miei genitori, malgrado tutto). Quindi, quando ieri ho detto alla mia terapeuta che si era sviluppato tra noi un rapporto che non ritenevo sano, lei mi ha risposto che in realtà stavo scappando dal primo rapporto in cui riuscivo a instaurare una dipendenza verso un essere "altro da me" e non verso un oggetto o un rito.
Per quanto riguarda questo generico rito, si tratta molto banalmente di uno sciroppo per bambini contro i risvegli notturni (problema del quale ho sempre sofferto) che mi era stato prescritto anni fa dal medico curante, il quale mi aveva detto che potevo assumerlo all'infinito. Lo avevo assunto a cuor leggero, mi ero convinta che mi faceva dormire, infatti dormivo, poi lo hanno ritirato dal mercato e io sono uscita di testa. Attualmente, dispongo di tre flaconi che mi sono accaparrata prima che terminasse, peraltro ormai scaduti, e siccome non riesco a staccarmi da questo sciroppo, al quale voglio molto bene, anziché assumerlo, per non consumarlo mi limito a intingere il misurino nel flacone, senza prelevarne nemmeno una goccia, scuoterlo bene all'interno del flacone, affinché non vada sprecato e poi succhio avidamente il misurino vuoto e ben scosso, perché solo sentire il vaghissimo retrogusto del mio amato sciroppo mi convince che dormirò. Che detta così è molto peggio di quando lo assumevo effettivamente, perché almeno ero dipendente da un farmaco, ora sono diventata più che altro ossessiva.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
Sì, sembra che l'ossessività ci sia. Non solo per il rituale che la manifesta, ma per la "incapacità di affidarsi a un altro essere umano e l'abitudine a cavarsela totalmente da sola".

La tendenza al controllo è tipica dell'ossessività ed è proprio quella che può ostacolare, all'inizio, l'andare in terapia. "Ce la devo fare da solo". Poi, però, una volta iniziata, si può paradossalmente avere difficoltà a farne a meno.

L'ossessivo può avere difficoltà a cambiare idea non a causa di una predisposizione alla dipendenza, ma a causa della sua rigidità. L'ansia esige un senso di rassicurazione, che ci s'illude di ottenere facendo sempre le stesse cose, ad esempio dei rituali. Fatto sta, però, che ogni volta che s'indulge nel rituale, non si sta facendo altro che alimentare l'ansia stessa.

Per ossessioni e ansia in genere, le terapie che riescono di solito a sbloccarle più velocemente sono quelle attive e focalizzate, come la comportamentale o la strategica breve.

Cordiali saluti
[#19]
dopo
Utente
Utente
Gentile Dr Santonocito
La ringrazio per il chiarimento. A questo punto, non so nemmeno io se mi conviene disaminare con un altro terapeuta, di formazione diversa e orientato su terapie più concrete e più adatte alle mie esigenze, questo rapporto così "appassionato" con il mio sciroppino e con la mia ex terapeuta, per alleggerirmi un po', o darmi pace (almeno provarci) e riservarmi di decidere più in qua. Da psicoterapeuta, mi auguro disinteressato, visto che con me ha speso, oggi, un bel po' di tempo, può darmi un consiglio spassionato su cosa possa essere più funzionale? Ad ora mi riesce molto difficile capire cosa sia meglio, so solo che sono tanto stanca, che ho voglia di piangere e che non ne vengo a capo. A momenti mi dico che devo staccare la spina e lasciar decantare un attimo la cosa, poi temo di non riuscirci, di fissarmi sul problema (che sarebbe il mio atteggiamento tipico) e di ricadere nel loop dell'insonnia. E non so nemmeno valutare la portata dei miei progressi e trarne forza, perché da quando ho messo in discussione il rapporto con la psicoterapeuta e ho deciso di chiudere, pur nella consapevolezza di aver fatto la cosa più saggia per me, non dormo più, come se in realtà dormissi solo perché mi ero messa nelle mani di qualcuno e non perché ho raggiunto la maturità di concedermi delle pause dalla mia ansia di controllo.
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Psicologo, Psicoterapeuta attivo dal 2008 al 2022
Psicologo, Psicoterapeuta
Quando si parla di forme di "dipendenza affettiva" o dei suoi contrari possono accadere varie cose, sostanzialmente le macrocategorie sono due, a titolo semplificativo:

1- la persona diviene dipendente dal terapeuta e si fermano i progressi, la terapia sembra girare a vuoto.

2- quando il legame col terapeuta si fa più intimo può esserci un rifiuto di tale legame, come in linea di massima può avvenire o essere avvenuto in altre relazioni della propria vita. In questo caso c'è una tendenza ad allontanarsi dalla terapia.

A me è sembrato che lei abbia portato in terapia questioni più o meno di questo tipo, ma che la sua terapeuta non l'abbia accolta irrigidendosi.
Credo, inoltre, che una volta raggiunti i risultati lo scopo della terapia vada rivisitato, anche questa cosa sembra essere mancata.
Non mi stupisce che ciò abbia generato delle incomprensioni né che lei abbia interrotto la terapia.
Anche i terapeuti sbagliano, e non faccio fatica ad ammettere che anche io ho commesso i miei errori e cerco di evitare quelli futuri. Suppongo come molti.

Una certa sofferenza quando si rompono i legami "unilateralmente" è naturale e normale.
Lo stesso vale per una certa ansietà quando si affrontano malattie come quella di cui lei soffre.

Detto ciò non troverei negativo un n uovo percorso clinico in cui affrontare le questioni che, se ho letto bene, si sono in qualche forma ripresentate, magari cercando di affrontare anche gli aspetti della separazione, se ovviamente le interessa farlo.

Spero di averle fornito qualche spunto di riflessione in aggiunta a quello dei miei colleghi. Un caro saluto ed un sentito in bocca al lupo per le prove che sta affrontando nella sua vita!


[#21]
dopo
Utente
Utente
Gentile Dr Giusti
Ringrazio anche lei per la cortese risposta, indubbiamente la possibilità di intraprendere un'altra terapia è una delle opzioni che sto valutando. Ma sono davvero stanca, scoraggiata e spaventata all'idea di infilarmi in un altro ginepraio, di sviluppare un'altra dipendenza, cerimonia o quello che sia e di ritrovarmi ancora invischiata in un rapporto che non so gestire a causa di esigenze forse mal espresse da parte mia, ma, comunque inascoltate. Del resto, ora, senza il mio rito del martedì, mi sento davvero molto sola. Forse è vero che nessuno mi può aiutare, Ma qui sto cadendo soltanto nel pietismo...
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Dr. Alessandro Raggi Psicologo, Psicoterapeuta 479 13 31
dalle ulteriori informazioni che lei ha fornito che stimolano parallelamente un interessante dibattito sui differenti approcci terapeutici, posso aggiungere che il trattamento psicodinamico, in generale, è basato anche sulla neutralità (a volte solo teorica) del terapeuta analista, rispetto al transfert del paziente, che in questo senso non deve assolutamente essere "alimentato", ma potersi liberamente esprimere per la sua stessa analisi.
Uno degli scopi dell'analisi in caso di personalità dipendenti, dovrebbe essere la liberazione da qualunque forma di dipendenza, ivi inclusa la dipendenza dall'analista.
Resto convinto comunque, tornando al suo caso, che ci sia stata come minimo una dissincronia comunicativa tra lei e la sua analista, poiché metodo, scopo, peculiarità e requisiti individuali per il trattamento psicodinamico le dovevano essere ben chiari e presenti dopo le prime tre o quattro sedute.
Infine, vorrei anche far notare che esiste, oltre al fattore "tipo di terapia/scuola di pensiero" il fattore "individuo" terapeuta: anche noi terapeuti siamo individui (ovv.) e abbiamo componenti individuali che ci caratterizzano molto più che l'appartenenza all'uno o all'altro approccio. Il mio suggerimento è che magari cerchi qualcuno (lasci perdere la scuola di pensiero) con il quale si sente a suo agio, si sente capita, con il quale sta bene. Fare due o tre colloqui preliminari per individuare e poi eventualmente scegliere la "persona" più adatta a lei, è senz'altro già una buona prova che può cercare di affrontare.
[#23]
dopo
Utente
Utente
Gentile Dr Raggi
Ha sicuramente ragione e immagino che in buona parte la responsabilità sia stata mia, perché di fronte a certe "deviazioni" della psicologa dagli obiettivi inizialmente, pur nella mia ignoranza in materia e pur appesantita dal mio fardello di ansie, avrei dovuto trovare il coraggio di esprimere le mie esigenze. Cosa che non ho fatto per paura di "perderla". Non come persona (pur riconoscendole una buona professionalità non mi è mai rimasta particolarmente simpatica), ma come rituale. E quindi, in definitiva, la responsabilità è soltanto mia.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
Sbaglia a pensare che io sia disinteressato, in realtà sono interessatissimo. Non tanto e non solo all'aspetto economico - con il quale, bene o male, ognuno di noi deve fare i conti - ma soprattutto nel fare il mio lavoro, che adoro.

I suggerimenti sono quelli sopra: leggersi i link che le ho dato e prendersi magari una pausa, per documentarsi meglio. Tenga presente che terapie come quelle che le ho detto possono essere relativamente brevi, dalle 10 alle 20 sedute in media, senza per questo essere poco efficaci.

In ultima analisi però la risposta sta già nella sua domanda. Se di nuovo non dorme più, è tornata alla passione focosa del suo sciroppo, è stanca e ha voglia di piangere... forse vale la pena domandarsi: ha senso incaponirsi a fare da soli? Certo, si è scottata una volta e per una abituata a fare da sola questo è poco tollerabile. Ma la scelta, per quanto dura, è solo sua.

Cordiali saluti
[#25]
Psicologo, Psicoterapeuta attivo dal 2008 al 2022
Psicologo, Psicoterapeuta
"avrei dovuto trovare il coraggio di esprimere le mie esigenze. Cosa che non ho fatto per paura di "perderla". Non come persona (pur riconoscendole una buona professionalità non mi è mai rimasta particolarmente simpatica), ma come rituale"

Lei parlava della solitudine che prova senza certi rituali, adesso paragona la terapeuta ad un rituale, le manca la terapia?

Lo chiedo poiché se si trattasse solamente dell'aspetto ritualistico, per quale motivo non ha intrapreso un'altra terapia a scopo di sostituirlo?

Non vorrei aver persoqualcosa di importante, ma lei ha parlato alla terapeuta del fatto che viveva gli incontri come "rituale"?

La ringrazio e mi scuso se mi è sfuggito qualcosa in ciò che ha scritto.
[#26]
dopo
Utente
Utente
Gentile Dr Santonocito
Per "disinteressato" intendevo dire che non potendo lei conoscere la mia zona di residenza, non credo possa avere un interesse "inelegante" nello spingermi a intraprendere un nuovo percorso. Prendermi una pausa sarebbe la cosa migliore se i miei sintomi psicosomatici non mi impedissero di dormire e non fossero assolutamente disfunzionali a una vita normale, l'impossibilità di condurre la quale, ovviamente, non fa che alimentare il mio scoramento. Forse ho omesso di precisare che, sebbene dal mio quadro psicologico e clinico, emergano diversi disturbi di tipo nervoso e fisico, ho un lavoro (anche abbastanza impegnativo), una famiglia, degli interessi e una vita sociale. Ed essere incapace di gestire tutto ciò mi avvilisce ancora di più. Quindi mi sembra evidente che tamponare il problema dell'insonnia e dell'ansia è abbastanza urgente, sono effettivamente decisa ad intraprendere una terapia. Ma la vorrei breve, concreta, funzionale a rimettermi in piedi, a farmi dormire, stare tranquilla e a risolvere questo rapporto, a quanto pare rimasto sospeso a mezz'aria, con la mia ex terapeuta. E orientata a liberarmi di questa scemata di sciroppo (non perché mi sia fissata sullo sciroppo in sé, ma semplicemente perché questo prodotto non esiste più e quando avrò finito le scorte non saprò a che santo votarmi) e soprattutto vorrei una terapia che fosse un mezzo per stare meglio, non che costituisse di per sé un fine. Non voglio una terapia che si ponga come un rito, l'ennesimo, senza il quale il cielo mi cadrà sulla testa. Capisco che l'attaccamento al terapeuta è inevitabile, ma immagino che, al momento del distacco, lo si debba elaborare come lutto, dolore, forse persino come la fine di una relazione amorosa, non come l'assenza di un ingranaggio che impedisce il mio funzionamento. A volte ho l'impressione che, invece, si sia lavorato proprio su questo, sulla creazione di un rito che la terapeuta leggeva come più sano degli altri e di cui, malgrado le mie proteste, ribadiva l'importanza dello svolgimento, nei giorni e orari indicati, senza alcuna possibilità di slittare o spostare, nemmeno a causa di impegni di lavoro (cosa che, peraltro mi ha causato non pochi problemi professionali). Certo non pretendo miracoli, so che ansiosa lo sarò sempre, ma vorrei fare una vita normale senza la fatica che sto facendo in questi ultimi giorni nello svolgere il mio lavoro, nel rapportarmi alla mia famiglia e svagarmi nel weekend, dato che, a quello che mi è stato detto al MOM, i miei disagi psicologici non si possono identificare con un disturbo psichiatrico, e che ritengo sinceramente di avere le risorse per cavarmela, magari arrabattandomi un po', ma cavarmela. Lei mi ha suggerito una terapia focalizzata, come la strategica o la comportamentale, ora, io ho letto gli articoli che mi ha indicato, cercherò di rileggere più attentamente le sezioni dedicate, per approfondire le differenze nell'approccio e cercare di comprendere quale possa essere la migliore per me. Ma, una volta deciso, dove trovo un elenco di terapeuti appartenenti a *quella* scuola e, soprattutto quali sono i criteri per valutare di quale mi posso fidare? Telefono a uno a caso o devo incontrarli tutti e tirare a sorte? Mi sono affacciata alla precedente terapia senza averne la minima nozione, spinta solo da un senso di urgenza e ho fatto tutto quello che mi diceva la terapeuta senza pormi tante domande, immaginando che, davvero, fosse necessario fare il giro largo, mi ha ribadito più volte come, se avessi cercato scorciatoie comportamentali, entro pochi mesi i miei problemi si sarebbero ripresentati intatti e sarei stata peggio. A parte il problema di convincere il mio cervello a passare da una scuola di pensiero (a cui ormai, mio malgrado mi ero adeguata) a un'altra, mi pongo proprio un problema di fiducia nel terapeuta. So che in questo lei non può aiutarmi devo decidere da sola...
[#27]
dopo
Utente
Utente
Gentile Dr Giusti
Sì, come ho accennato sopra avevo fatto presente alla psicoterapeuta che l'idea di smettere di vederla, che avevo preso in considerazione più volte, soprattutto in seguito ai vari scontri che avevamo avuto, mi avesse causato forte ansia e l'avevo esplicitamente paragonata allo sciroppo di cui parlavo con il Dr Santonocito, esprimendo il dubbio di essermi solo creata un altro rituale, ma lei innanzitutto mi rimproverava per aver pensato di poter sospendere la terapia senza prima averne parlato con lei, cosa impossibile, peraltro, dato che mi aveva abbondantemente chiarito che non dovevo telefonarle in alcun caso, nemmeno per avvertirla che avevo la febbre e non potevo andare alla seduta, quindi mi pare ovvio che se un'idea mi veniva di giovedì e noi ci vedevamo di martedì, per 5 giorni me la ruminavo da sola, non è che posso farmi venire le idee in un giorno preciso, inoltre mi ribadiva l'assoluta necessità di proseguire, in quanto i risultati raggiunti erano instabili e solo apparenti. Infine mi confermava che questo tipo di attaccamento è fisiologico, che non si tratta di un rito, ma di una forma di "innamoramento" necessario a proseguire la terapia, sul quale avremmo lavorato nei mesi che avremmo dedicato al nostro distacco. Ora, lei mi potrà anche dire che, detto ciò, era ovvio che stavamo adottando un approccio psicoanalitico e che se non ero d'accordo avrei dovuto esprimere il mio dissenso, ma io non conosco le particolarità delle varie scuole, la terapeuta non mi aveva voluto dire (malgrado glielo avessi chiesto) a quale apparteneva, perché "altrimenti sarei andata su Wikipedia a infarcirmi di idee sbagliate" e, per mia tranquillità mentale (le ricordo che venivo da due interventi abbastanza invasivi) mi sono autoraccontata che potevo fidarmi.
[#28]
Dr. Armando De Vincentiis Psicologo, Psicoterapeuta 7.2k 220 123
gentile utente dal momento in cui lei scrive:

(..)l'idea di smettere di vederla, che avevo preso in considerazione più volte, soprattutto in seguito ai vari sSCONTRI che avevamo avuto, mi avesse causato forte ansia(..)

sembra evidente che non ci siano più i presupposti di proseguire la terapia che, ormai, non credo si possa più chiamare tale. La funzione terapeutica è quella di risolvere i problemi non altro.

inoltre

(..)(..)mi ha ribadito più volte come, se avessi cercato scorciatoie comportamentali, entro pochi mesi i miei problemi si sarebbero ripresentati intatti e sarei stata peggio(..)

questo è un mito che non ha alcuna evidenza scientifica, non esistre alcun evidenza che eventuali sintomi che si ripresentano siano gli stessi aliminati un tempo ma sotto altre forme.

se lei sta mettendo in discussione il processo terapeutico appare ovvio che non esistano più le condizioni di fiducia necessarie a proseguire.
saluti
[#29]
Psicologo, Psicoterapeuta attivo dal 2010 al 2016
Psicologo, Psicoterapeuta
>>se avessi cercato scorciatoie comportamentali, entro pochi mesi i miei problemi si sarebbero ripresentati intatti e sarei stata peggio.

Gentile signora, quello della "sostituzione del sintomo" è un mito vecchio a morire e non supportato da dati empirici.

Paradossalmente, proprio gli approcci "focalizzati" sulla risoluzione dei problemi, come ad esempio quelli cognitivo-comportamentale e strategico, con obiettivi specifici e ben chiari e che prevedono un ruolo attivo di collaborazione tra terapeuta e paziente sono quelli che hanno finora fornito un maggior numero di prove di efficacia a breve, medio e lungo termine.

Questo non vuol dire che altri approcci non abbiano la loro ragione di esistere; implica solo che affrontare i sintomi non vuol dire "prendere in giro" il problema. Anche perchè, molto spesso, sono proprio i sintomi e le cose che facciamo per tenerli a bada (come i rituali) a rappresentare un problema.

Ci sono persone che si trovano a loro agio con lavori impegnativi di "archeologia del profondo", e che trovano grande sollievo e benessere nell'analisi dei loro contenuti mentali. Altre persone richiedono semplicemente la risoluzione di alcuni problemi che limitano la loro qualità di vita.

>>Ma, una volta deciso, dove trovo un elenco di terapeuti appartenenti a *quella* scuola e, soprattutto quali sono i criteri per valutare di quale mi posso fidare? Telefono a uno a caso o devo incontrarli tutti e tirare a sorte?

La fiducia non è un "assegno in bianco". Si costruisce collaborando. Contattare telefonicamente qualche professionista e valutare dal contatto telefonico se si vuole approfondire la collaborazione mi sembra già una strategia percorribile.

La responsabilità del proprio percorso terapeutico è di chi vi partecipa, è vero. Ma "responsabilità" può essere inteso in molti sensi. Come "colpa" ("La responsabilità è solo mia") o come "impegno e consapevolezza" (come nel "consumo responsabile"). Farsi carico di una colpa in genere non aiuta a vivere meglio; affrontare esperienze importanti con responsabilità può aiutare a risolvere dei problemi.

Cordialmente
[#30]
dopo
Utente
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Gentile Dr De Vincentiis
Infatti la terapia l'ho già interrotta, martedì, proprio per questi motivi: a seguito del nostro ultimo diverbio, mi sono resa conto che, al di là della posizione presa dalla psicoterapeuta nel corso di questa discussione, che personalmente trovavo demenziale e, se adottata, piuttosto disfunzionale, ma ognuno ha il diritto di ritenere normale ciò che vuole, il problema era che non mi fidavo più e non aveva senso continuare. Semplicemente, vista la forte sofferenza che questa interruzione mi sta causando, mi sto chiedendo se non sia opportuno rivolgermi a qualcun altro per chiudere il cerchio, rielaborare un po' il percorso fatto e i suoi effettivi risultati (cioè le risorse che ho effettivamente attivato grazie ad esso e capire quanto invece è dipeso dal fatto che avevo delegato a questo simpatico ed oneroso rituale del martedì la gestione delle mie ansie) e soprattutto per dormire decentemente la notte.
[#31]
dopo
Utente
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Gentile Dr Calì
Comprendo bene quello che mi dice, la mia intenzione iniziale era stata quella di seguire una terapia comportamentale, della quale mi aveva parlato sommariamente una mia amica, sottolineandone il carattere breve e focalizzato, soprattutto perché mi sembrava molto più in linea con il mio modo di essere ed affrontare i problemi. Malgrado lo stato d'animo confuso che sicuramente traspare dalle mie parole in questa discussione (che non mi aspettavo riscuotesse tanto successo, se non altro ho scoperto che di psicologi ce n'è più di uno e che liquidata la mia posso rivolgermi a un'altro), nella vita pratica tendo ad essere abbastanza diretta e a non pormi tante domande. Questa terapeuta, alla quale sono approdata in una situazione di emergenza totale, dopo 3 mesi di attacchi di panico continuativi e insonnia, in un giorno, in cui, sull'orlo del suicidio, chiesi alla mia psichiatra di indirizzarmi da qualcuno che potesse ricevermi quel giorno stesso, mi ha però sempre detto che il mio problema di ansia si era originato chissà quando, proprio a causa della mia tendenza a non pensare troppo e a cercare subito una soluzione, che mi aveva portato a trascurare il mio inconscio e a lasciare inascoltate le mie esigenze. Il mio istinto mi dice esattamente il contrario, che non pensare troppo e agire è la cosa migliore, ma capisce che essersi sentiti dire il contrario per un anno, dalla persona che ti ha ripreso per i capelli mentre contemplavi il selciato dal davanzale della finestra indecisa se tuffarti di testa o di pancia, mi ha molto condizionata nel non interrompere il circolo vizioso che si era creato. Sicuramente cercherò di affrontare la cosa in maniera meno dispersiva, anche se, sinceramente, continuo a non capire la differenza tra approccio strategico e comportamentale. Attendo lumi...
[#32]
Psicologo, Psicoterapeuta attivo dal 2010 al 2016
Psicologo, Psicoterapeuta
>>continuo a non capire la differenza tra approccio strategico e comportamentale

In alcuni aspetti possono essere abbastanza simili, come il fatto che sono terapie attive, che in entrambe sono previste prescrizioni comportamentali tra una seduta e l'altra, che sono focali e che non cercano cause o significati inconsci o nascosti, perchè non presuppongono che i disagi originino da motivazioni "profonde" la cui scoperta sarebbe l'unico modo per guarire. Altri punti su cui convergono sono il considerare le soluzioni "tentate" fino a quel momento dal paziente come parte del problema e l'attenzione a definire obiettivi chiari ed espliciti, così che sia chiaro ad entrambi quando ed in che misura siano raggiunti.

Sono differenti sia per il background teorico e culturale cui fanno riferimento, sia per l'impostazione del rapporto terapeuta-paziente (che rimane comunque di collaborazione in entrambi i modelli), sia per alcune tecniche e strategie impiegate.

Evidenziare genericamente le differenze temo sarebbe un pò dispersivo. Se ha domande più specifiche, può aiutarci a chiarirle meglio i dubbi.

Ha letto gli articoli linkati al #7 dal dott. Santonocito?
[#33]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
La invito a seguire le considerazioni e i suggerimenti dei colleghi De Vincentiis e Calì, con i quali mi trovo in completo accordo.

Poi, dovrebbe affrontare la scelta di un professionista così come farebbe per qualsiasi altra tipologia di professionista, senza bisogno di cedere alla preoccupazione di sbagliare ancora. Dopotutto, l'esperienza appena terminata dovrebbe averle insegnato qualcosa. Se quando deciderà di vedere un altro psicoterapeuta sentirà le stesse sensazioni di disagio, già entro le prime 2-3 sedute, non sarà tenuta a continuare. Scegliere di andare in psicoterapia non è come sposarsi o fare un patto di sangue. Il paziente ha tutto il diritto d'interrompere quando vuole, se sente di non stare ottenendo ciò di cui ha bisogno.

Se ha letto le indicazioni nel mio articolo alla sezione su come scegliere un terapeuta, anche quelle potranno esserle d'aiuto.

Può leggere anche questo:

https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/374-sull-efficacia-della-psicoterapia-parte-ii.html

Ma la raccomandazione più importante è questa: non cada, per rigidità, all'estremo di credere che debba fare tutto il terapeuta ("Eccomi qui, sono malata, lei è il terapeuta, mi curi!"). Specialmente terapie come la strategica e la comportamentale sono definite "attive", ovvero assegnano compiti precisi che vanno messi in atto seguendo alla lettera le istruzioni ricevute. Non sono terapie adatte a chiunque.

Quanto alle differenze fra le due, faccia delle domande mirate, vediamo se possiamo risponderle in modo altrettanto mirato.

Cordiali saluti
[#34]
dopo
Utente
Utente
Gentili Dr Calì e Santocito
Innazitutto grazie ad entrambi per la disponibilità.
Leggo, nel messaggio del Dr Calì che sostanzialmente la differenza tra i due approcci sta nel tipo di rapporto tra terapeuta e paziente. In che senso? Temo un po' l'imperscrutabilità che caratterizza l'approccio psicoanalitico, perché sinceramente parlare per un anno e mezzo con una sfinge non era propriamente rilassante e soprattutto mi ha costretto ad un notevole sforzo mentale per trovare argomentazioni di cui parlare, visto che si rifiutava di farmi domande; com'era abbastanza stressante non poter mai fare io una domanda o ricevere un consiglio o un giudizio. Per me era un grosso problema dover trovare ogni volta qualcosa di cui parlare, temo che, anzi, nella spasmodica ricerca di argomentazioni, si sia data una valenza patologica a cose che non l'avevano, sulla base del principio "se lei me la racconta, evidentemente è importante" "no, è che non so cosa dire" "lei ha anche il diritto di non dire niente, durante la seduta si può anche stare zitti" "E la pago ugualmente?" "Lei si nasconde dietro all'aspetto economico per non dire che non aveva voglia di venire qui e adesso è arrabbiata con me" "Non sono arrabbiata con lei, è che visto che da due anni non mi rifaccio il guardaroba per pagarla, mi piacerebbe arrivare a qualcosa" "Appunto è arrabbiata con me perché per colpa mia non si rifà il guardaroba. Lei paragona la sua salute mentale a un vestito nuovo" "No, paragono i miei vestiti vecchi a quelli di una ragazza scappata di casa" "Lei non si sente a suo agio in casa, quindi è per questo che le sembra di essere vestita come una che è scappata" E così via.
Ma non vorrei nemmeno ritrovarmi in un ambiente eccessivamente informale, stile comune anni '70, perché immagino che un po' di distacco sia necessario per dare agli incontri una valenza terapeutica e non di una chiacchierata amichevole.
In cosa si differenziano le strategie e gli "esercizi" da fare a casa? Qual è la meno "invasiva" nella gestione di una quotidianità standard, intendo dire, quale richiede l'adozione di strategie che potrebbero richiedermi un impiego quotidiano di tempo eccessivo (più di un'ora e mezzo - due continuative). Qual è la più breve? In quale vengono *tassativamente* definiti gli obiettivi?
Per quanto riguarda l'importanza evidenziata dal Dr Santonocito della "compliance" da parte del paziente, beh, mi creda che dopo un anno e mezzo in cui conducevo le sedute totalmente da sola, di fronte a una persona del tutto inespressiva che si esprimeva a monosillabi (a meno che non si arrabbiasse di brutto, nel qual caso urlava oppure mi faceva il verso) penso che già accoglierei come un grosso contributo un "buonasera" detto all'inizio della seduta e, per gratitudine, mi accollerei volentieri anche tutto il resto della conversazione.
[#35]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
Le rispondo per quanto riguarda la TBS.

>>> In cosa si differenziano le strategie e gli "esercizi" da fare a casa?
>>>

In TBS esiste un ampio repertorio di prescrizioni e compiti, ciascuno dei quali ha una forma standard, che viene però adattata al paziente a seconda del caso. Può trattarsi di cose da fare o non fare, pensare o non pensare, scrivere ecc.

>>> Qual è la meno "invasiva" nella gestione di una quotidianità standard, intendo dire, quale richiede l'adozione di strategie che potrebbero richiedermi un impiego quotidiano di tempo eccessivo (più di un'ora e mezzo - due continuative).
>>>

Il compito che esige la maggior quantità di tempo non va oltre la mezz'ora al giorno, di solito per poche settimane. Molte prescrizioni sono situazionali, cioè da mettere in atto in specifiche situazioni, e richiedono pochi minuti per essere portate a compimento.

In generale, una delle differenze delle prescrizioni TBS con quelle TCC è che le prime possono più spesso apparire paradossali, strane, talvolta bizzarre. Niente comunque d'immorale o illegale.

>>> Qual è la più breve?
>>>

La durata media tipica di una TBS è intorno alle 10 sedute.

>>> In quale vengono *tassativamente* definiti gli obiettivi?
>>>

In TBS è fondamentale stabilire obiettivi, già dalla prima seduta. Ovviamente possono esserci ridefinizioni in corso d'opera, ma sempre concordate con il paziente. In sostanza in ogni dato momento si sa sempre qual è l'obiettivo che si sta perseguendo.

Per precisione, va detto che la definizione dell'obiettivo può essere più facile in alcune categorie di disturbi (ad es. disturbi d'ansia, come fobie e ossessioni-compulsioni, depressione, disturbi sessuali). In altre categorie di disturbi la definizione può essere meno netta e le prescrizioni comportamentali meno usate.

Cordiali saluti
[#36]
dopo
Utente
Utente
Grazie dr Santonocito
Cosa mi dice del tipo di rapporto instaurato tra paziente e terapeuta e riguardo alla cadenza delle sedute? Penso possa comprendermi se le dico che sarei più orientata su una terapia che non si ponesse come una cerimonia esoterica, da effettuarsi, cascasse il mondo, assolutamente in una data ora, in un dato giorno o secondo determinate modalità. Capisco che, per comodità di tutti sia necessario darsi un calendario, ma leggevo che gli incontri non sono settimanali, bensì hanno una frequenza meno rigida, forse anche questo potrebbe aiutarmi a dare alla terapia il suo giusto valore e a non leggerla come un rituale, non so...
[#37]
Psicologo, Psicoterapeuta attivo dal 2010 al 2016
Psicologo, Psicoterapeuta
>>Ma non vorrei nemmeno ritrovarmi in un ambiente eccessivamente informale, stile comune anni '70

Peccato. In terapia cognitivo-comportamentale siamo in contatto con il Tutto e lo scopo della terapia è l'apertura del Terzo Occhio.

Scherzo.

Terapia "attiva" vale per entrambi i membri. E' attivo il terapeuta ed è attivo il paziente. Classicamente, ad inizio seduta è stabilito un "ordine del giorno", che orienti il lavoro (pur con una certa flessibilità). Tale procedura non è obbligatoria, ma spesso viene utilizzata per "mettere ordine" in percorsi che altrimenti rischiano di diventare "liberi confessionali" o "sfogatoi"

Il rapporto terapeuta-paziente è stato definito "empirismo collaborativo" da Aaron T. Beck, fondatore della Terapia Cognitiva. Vuol dire che entrambi collaborano nel verificare empiricamente le premesse, i modi di pensare, le soluzioni comportamentali del paziente, e nel "mettere alla prova" soluzioni e modi di pensare alternativi.

Si tratta di un rapporto molto simile, se vogliamo, a quello tra un allenatore ed un campione sportivo: il primo mette conoscenza tecnica, supporto e strategie, il secondo mette le proprie risorse ed il proprio sudore.

>>In cosa si differenziano le strategie e gli "esercizi" da fare a casa?

Le strategie della TCC sono molto numerose. Si tratta di tecniche messe a punto per fronteggiare le diverse problematiche, e quindi sono specifici e "ritagliati" su ogni paziente. Si va ad esempio dall'apprendimento di metodi per mettere in discussione il proprio modo di pensare a strategie di esposizione e fronteggiamento di ciò che temiamo, dall'apprendimento di tecniche di rilassamento a tecniche di automonitoraggio. Ogni tecnica è spiegata, discussa ed assegnata per casa, ed i risultati sono discussi di volta in volta.

>>Qual è la meno "invasiva" nella gestione di una quotidianità standard, intendo dire, quale richiede l'adozione di strategie che potrebbero richiedermi un impiego quotidiano di tempo eccessivo (più di un'ora e mezzo - due continuative)

Non è possibile fare una valutazione di questo tipo. Consideri che in TCC ogni assegnazione è discussa e concordata, per cui non è mai affibbiata una prescrizione che risulti per il paziente eccessiva, pericolosa, contraria ai suoi principi o soverchiante le sue possibilità.

>>Qual è la più breve?

La terapia strategia breve fa della "brevità" uno dei suoi punti di forza. Anche la TCC è considerata "breve", ma la durata del trattamento (a meno che non si tratti di trattamenti manualizzati) non è possibile stabilirla con certezza a priori.

In genere si va da qualche settimana o mese fino a percorsi più lunghi, anche di 1-2 anni. In ogni caso, in genere è data priorità al problema più invalidante ed urgente che il paziente porta.

>>In quale vengono *tassativamente* definiti gli obiettivi?

Nelle terapie dittatoriali. Scherzo.

Se intende "precisamente", in TCC si presta molta attenzione a definire gli obiettivi in termini quanto più possibile "operazionalizzati". Questo vuol dire, semplicemente, che siano traducibili in operazioni concrete, spesso misurabili. quindi, in TCC un obiettivo come "voglio riprendere il controllo della mia vita" non è accettato; con la collaborazione del paziente, viene tradotto in comportamenti (ad esempio, "riprendere ad uscire il sabato sera da sola, recarmi a lavoro in auto e smettere di controllare ogni sera 20 volte i rubinetti prima di andare a dormire").

>>penso che già accoglierei come un grosso contributo un "buonasera" detto all'inizio della seduta e, per gratitudine, mi accollerei volentieri anche tutto il resto della conversazione

Apprezzo l'ironia che lei sa utilizzare sapientemente, ma, rimanendo in tema, cerchi di non "accollarsi" alcuna conversazione solo per gratitudine. In genere, non ne vale granchè la pena, con nessuno...
[#38]
Dr. Armando De Vincentiis Psicologo, Psicoterapeuta 7.2k 220 123
gentile utente, la rigidità degli incontri è una esclusiva di certi approcci e dipende anche dalla rigidità di applicazione di certe regole che possno cambiare anche a seconda del terapeuta.
In genere tempi e modalità si accordano con i pazienti in base ad esigenze non solo di disponibilità del terapeuta ma anche dello stesso paziente
credo che abbia, ora, tutte le informazioni necessarie per la sua scelta.
saluti
[#39]
Psicologo, Psicoterapeuta attivo dal 2008 al 2022
Psicologo, Psicoterapeuta
Gentile utente,
ritengo che vi sia stato un problema comunicativo importante, tra lei e la sua terapeuta. Certe cose le avrebbe dovute sapere in partenza.

Le consiglio, se andrà da qualcun'altro, di parlargli di questa sua esperienza e chiarire subito quelli che saranno gli obiettivi della terapia e quali siano le peculiarità dell'appproccio che seguirete.

In tal modo eviterà ulteriori delusioni e potrà valutare l'esito della terapia in modo molto più chiaro.
[#40]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
La distanza fra le sedute in TBS non è fissa, ma varia a seconda dei risultati che la persona riporta. L'obiettivo di base sottinteso è che la terapia debba servire a mettere in condizione la persona di procedere da sola. S'inizia con una seduta ogni 2-3 settimane (1 settimana solo nei casi più gravi) per poi aumentare gradualmente. Perciò con poche sedute è possibile arrivare a coprire anche un arco di tempo considerevole, se serve.

E adesso credo di averle dato grosso modo le informazioni che le servivano. Ora la scelta è sua, altrimenti rischiamo di creare un'altra situazione di "dipendenza" anche qui, che non sarebbe opportuno ;)

Cordiali saluti
[#41]
dopo
Utente
Utente
Ringrazio sinceramente tutti per i chiarimenti e gli elementi di valutazione che mi avete fornito. E Ringrazio il Dr Calì per l'ironia che ha alleggerito la situazione Adesso penso sia il caso di mandare il mio inconscio in vacanza per un po'.
Per il Dr Santonocito: "Ora la scelta è sua, altrimenti rischiamo di creare un'altra situazione di "dipendenza" anche qui, che non sarebbe opportuno ;)"
E soprattutto rischiamo di interrompere il rapporto indiscutibile di dipendenza dal mio datore di lavoro e dal percepimento del mio stipendio, perché se continuo a non fare una beata mazza in ufficio per stare su internet finisce che mi licenziano e dovrò fronteggiare problemi più seri del mio inconscio petulante.
Grazie davvero a tutti
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