Disinteresse per la vita

Buongiorno.

Ho 31 anni. Pur non essendo una persona timida o introversa, il più delle volte non provo interesse nel conoscere persone o frequentare le amicizie passate.

Le uniche volte che mi sono "acceso" è quando credevo di essermi innamorato di una donna; stavo male se non mi corrispondeva fino a farmi del male e ad avere pensieri suicidi, mi sentivo come se niente potesse fermarmi se invece mi corrispondeva, ma in entrambe i casi distruggevo il rapporto. Alla fine non provavo nulla, l'ultima volta ho provato sollievo ad essere respinto. Il più delle volte scambio gesti di cortesia o gentilezza per affetto, pur capendo razionalmente che non vi è nulla da parte dell'altro, una parte di me incomincia a fantasticare fino ad arrivare a distruggere amicizie o semplici conoscenze.

Nel corso degli anni ho sofferto di insonnia, come in questo periodo, arrivando a dormire 2/3 a notte. Ho tuttora e ho avuto in passato episodi di autolesionismo, nei momenti di massimo dolore.

Ho avuto periodi, come il primo anno di università, in cui ero pieno di energie pur attraversando una situazione familiare difficile, ad altri in cui ho perso completamente interesse in tutto, ho lasciato l'università, pur andando bene, e mi sono chiuso in me stesso, lasciando fuori tutto e tutti.

Nei momenti buoni riesco ad avere una visione positiva della vita e a programmare il futuro, ma il tutto cessa quando subentra qualcosa a spezzare il fragile equilibrio che creo, e ricomincia la spirale discendente, e così via.

Nei periodi di insonnia e di forte dolore faccio fatica a gestire la rabbia e perdo il senso del limite ( mi è capitato di correre in modo pericoloso in macchina, rischiando un incidente), e come già detto mi faccio del male.

Spero di essere stato esaustivo e nel limite del possibile chiaro.

Grazie.
[#1]
Dr. Massimo Lai Psichiatra 832 30 24
Gentile utente,

dalla sua storia si evincono periodi buoni alternati a periodi non buoni.
Sembrerebbe che questi secondo lei siano legati a fattori esterni o a suoi comportamenti.

Parla di dolore e di autolesionismo senza specificare cosa faccia.

Non mi è chiaro quant durano i periodi bui, quanto quelli buoni, quanto quelli di normalità in cui lei riesce faticosamente a creare un equilibrio.

Infine quale è la domanda?

Massimo Lai, MD

[#2]
dopo
Attivo dal 2013 al 2013
Ex utente
Grazie per la risposta.

In effetti sono stato un po vago.

Ho memoria di questo comportamento da quando avevo circa 15/16 anni, periodo in cui ho ricominciato a piangere e ferirmi se provavo tristezza o dolore; avevo smesso di piangere quando avevo circa 6 anni, troppo stanco di vedere mia madre piangere.

Per buona parte del tempo mi trovo a vivere in apatia; svolgo il mio lavoro, discuto con le persone, ma non riesco a provare interesse o empatia nei loro confronti; se un collega, un familiare o quello che considero un amico ha qualche problema o sta male, non provo niente o comunque mi rapporto a loro come mi rapporto ad un estraneo. Per me questa è la normalità del mio vivere.
Provo interesse per gli altri solo per necessità, ossia se in quel momento ho bisogno di una persona posso relazionarmi con questa anche in modo intenso, ma una volta finita questa necessità, tutto sparisce, come se non fosse successo niente.

I momenti buoni in cui ho più energie e sono più positivo col tempo sono diminuiti, sono durati anche mesi, ma molte volte faccio fatica a distinguerli dalla normalità (un giorno posso iniziare qualche cosa che mi piace e pochi giorni dopo già lasciare perdere senza motivo apparente).

I momenti cattivi per me sono quelli in cui provo una forte disperazione, penso di non valere nulla, mi sento inutile, impotente, piango in continuazione; pur di rado, posso arrivare a tagliarmi pur di far sparire il dolore mentale. Non durano molto, al massimo qualche mese, ma anche meno, ma cessano quasi di netto. Le cause le ho sempre pensate esterne; delusioni d'amore, incomprensioni, problemi a lavoro, o in famiglia e così via. Ciò che però mi lascia perplesso appunto e che possa arrivare a sentirmi disperato tanto da tagliarmi e magari due ore dopo essere di nuovo tranquillo, magari a scherzare, come se tutto il dolore che ho causato e vissuto fosse successo ad un altro, come in un film, visto con distacco.

Ciò che vorrei capire e come iniziare affrontare tutto ciò, capire se sia un fatto psicologico o vi sia altro, perchè solo nei momenti "alti e bassi" ho la percezione che il mio sia un non vivere, mentre per il resto del tempo non faccio alcun caso alla solitudine in cui vivo e al fatto che con certi comportamenti possa aver ferito gli altri.

Grazie ancora per la risposta.

[#3]
Dr. Massimo Lai Psichiatra 832 30 24
Cominciamo dalla fine:

>>>Ciò che vorrei capire e come iniziare affrontare tutto ciò, capire se sia un fatto psicologico o vi sia altro<<<

Per capire se soffre di disturbi psichiatrici ( o psicologici come dice lei) bisognerebbe rivolgersi ad uno specialista e da quello che ha scritto penso che sarebbe il caso per migliorare la sua vita in generale.
Non le sembra?
Non si è mai rivolto a nessuno?

A me sembra chiaro che ci sia un disturbo dell'umore, ma quali siano le cause, le circostanze che lo hanno genrrato, che lo mantengono, se sia curabile e come, sono fattori che andrebbero discussi concretamente con qualcuno.

Mi sembra di capire che lei viva abbastanza solo e questo non le pesi la maggior parte del tempo.
Poi in alcuni periodi le pesa di più e sta male...

Ha fratelli e sorellle? i genitori?

[#4]
dopo
Attivo dal 2013 al 2013
Ex utente
Anni fa provai ad andare da un psicologo, ma smisi quasi subito.
Comunque per quel poco che andai riscontrò anch'egli una certa predisposizione a sbalzi d'umore piuttosto intensi (all'epoca ebbi alcuni episodi di attacchi di rabbia), ma non cercai mai di approfondire le cause.
Il problema è che sono abituato ad affrontare qualsiasi problema da solo, faccio fatica a chiedere aiuto.

Sono figlio unico, i genitori ce li ho ancora ma non posso dire di aver mai potuto contare su di loro.

Il più del tempo non mi pesa essere solo, probabilmente perché sono cresciuto in questo modo; avere a che fare con le persone molte volte mi stanca, e d'altro canto tendo ad arrabbiarmi o innervosirmi se qualcuno si interessa o preoccupa per me, in un modo o nell'altro faccio in modo di allontanarmi.

Grazie per la risposta. In effetti l'unica via è cercare di farmi aiutare da uno specialista, spero solo di riuscire a mantenere questa voglia di cambiare abbastanza a lungo.





[#5]
Dr. Massimo Lai Psichiatra 832 30 24
>>>sono abituato ad affrontare qualsiasi problema da solo

Perché?

>>>faccio fatica a chiedere aiuto.

Perché?

>>>Sono figlio unico, i genitori ce li ho ancora ma non posso dire di aver mai potuto contare su di loro.

Questo si ricollega alle precedenti frasi? In che senso?

>>>Il più del tempo non mi pesa essere solo

Di questo dovrebbe ricordarsene quando invece le pesa...


>>>avere a che fare con le persone molte volte mi stanca

Perché?

>>>e d'altro canto tendo ad arrabbiarmi o innervosirmi se qualcuno si interessa o preoccupa per me

Perché
[#6]
dopo
Attivo dal 2013 al 2013
Ex utente
Affronto da solo qualsiasi problema perché fin da piccolo non ho avuto alternative, non volevo caricare mia madre di ulteriori problemi, e a mio padre non è mai importato niente di me o della famiglia.

Non chiedo aiuto e affronto da solo tutto anche perché nel corso degli anni quelle volte che ho provato a confidarmi con qualcuno che ritenevo amico o capace di capire, al di là di "una pacca sulla spalla" non ho avuto altro.

Mi stanca avere a che fare con le persone perché ci sono giornate in cui riesco a stare in mezzo ad esse altre in cui anche il solo sentire una voce mi irrita.
Ma penso che il motivo che mi fa stare peggio è il fatto che se riesco a relazionarmi sinceramente con qualcuno, provare affetto o amicizia, ne sono completamente in balia, non ho difese, se ad esempio questa persona arriva 5 minuti in ritardo, penso subito che non gliene importi nulla di me, se è triste cerco in tutti i modi di farla sentire meglio, e così via. Faccio cose che so che gli altri non farebbero mai per me, forse con la stupida speranza che primo o poi qualcuno ricambi.

E questo si riallaccia all'ultima domanda; se vedo che qualcuno si interessa a me, non riesco a vivere il rapporto e basta, incomincio a pormi un sacco di domande che spesso mi portano a interpretare male le intenzioni altrui o ad affrettare "gli eventi", rovinando tutto.


[#7]
Dr. Massimo Lai Psichiatra 832 30 24
Ha scritto delle cose interessanti che si potrebbero esaminare in seduta. Ma vediamo cosa si può fare da qui... fermo restando che si dovrebbe rivolgere ad un medico

>>>Affronto da solo qualsiasi problema perché fin da piccolo non ho avuto alternative, non volevo caricare mia madre di ulteriori problemi, e a mio padre non è mai importato niente di me o della famiglia

Sembrerebbe quindi che sia cresciuto pensando di non poter chiedere aiuto e di dover contare solamente su se stesso.
Come strategia ha messo in atto di non voler "causare" più problemi di quanti già non ne avesse a sua madre.
Dev'essere stato difficile e frustrante, sentirsi solo di fronte ai problemi, la paura di essere un peso...

Mi viene da chiederle se qualcuno le abbia mai fatto pesare le sue domande e come lei se ne sia accorto. Potrebbe aver sviluppato una tendenza ad interpretare in senso negativo dei segnali del tutto innocui, ma questa è una mia interpretazione.



>>>Non chiedo aiuto e affronto da solo tutto anche perché nel corso degli anni quelle volte che ho provato a confidarmi con qualcuno che ritenevo amico o capace di capire, al di là di "una pacca sulla spalla" non ho avuto altro

Ecco, abituato a non chiedere aiuto le poche volte che lo si fa ci si aspetta una risposta che sia all'altezza dello sforzo fatto per aprirsi: le delusioni sono facili... anche perché la persona che abbiamo eletto "persona ideale con cui confidarsi" magari non sa che pesci pigliare e non può che incoraggiarla senza aiutarla a risolvere il problema.
Questo è sufficiente per scoraggiarsi e decidere che non vale la pena aprirsi tanto gli altri non capiscono? E perché lei pensa che a questa persona non gliene importi un fico secco piuttosto che pensare che anche per lui la domanda era troppo elevata?
Potrei continuare con le interpretazioni ma queste le lascio ad un eventuale terapeuta futuro


Ma arriviamo al punto che mi ha intrigato di più perché dice qualcosa di importante:

>>>se riesco a relazionarmi sinceramente con qualcuno, provare affetto o amicizia, ne sono completamente in balia, non ho difese, se ad esempio questa persona arriva 5 minuti in ritardo, penso subito che non gliene importi nulla di me, se è triste cerco in tutti i modi di farla sentire meglio, e così via. Faccio cose che so che gli altri non farebbero mai per me, forse con la stupida speranza che primo o poi qualcuno ricambi.

Nella prima parte della frase "se riesco a relazionarmi sinceramente" si potrebbe comprendere che lei sia diffidente, è possibile che nel tempo abbia sviluppato una certa diffidenza verso il prossimo, cosa che sicuramente non è semplice da gestire con il bisogno di cercare delle amicizie e di condividere delle esperienze, degli affetti etc

Poi aggiunge ancora altre cose interessanti:

1) la sua tendenza ad interpretare i fatti (il ritardo = non sono interessante/non interesso) senza darsi il tempo di apprendere se sia accaduto qualcosa alla persona che aspettava etc. Utilizza delle scorciatoie mentali che i cognitivisti chiamerebbero pensieri automatici e cercherebbero di farle cambiare allargando la rosa delle possibili intepretazioni per quell'evento.

2) "se è triste cerco in tutti i modi di farla sentire meglio": perché?

Una risposta la ho ma vorrei sapere da lei perché si comporta in questo modo.

3) >>>Faccio cose che so che gli altri non farebbero mai per me, forse con la stupida speranza che primo o poi qualcuno ricambi

Anche qui mille commenti da fare, constatiamo semplicemente che ha perduto in spontaneità nella speranza che alle sue azioni segua una reazione.

E infine

>>>se vedo che qualcuno si interessa a me, non riesco a vivere il rapporto e basta...
Si è mai chiesto perché le persone potrebbero interessarsi a lei?
Ma lei si stima?
[#8]
dopo
Attivo dal 2013 al 2013
Ex utente
>>> Mi viene da chiederle se qualcuno le abbia mai fatto pesare le sue domande e
come lei se ne sia accorto. Potrebbe aver sviluppato una tendenza ad interpretare in senso negativo dei segnali del tutto innocui, ma questa è una mia interpretazione.

Se con questo intende se ho reagito in questo modo in seguito a qualche comportamento o qualche mia lamentela, direi che non è andata così. Ho semplicemente preso atto che di non avere alternative, ero piccolo, non avevo alcuna figura su cui fare rifermento, l'unica soluzione che ho trovato è stata quella di reprimere il più possibile le emozioni e ha funzionato per molto tempo.

Di sicuro sono diffidente, non mi fido delle persone, ma molte volte non mi fido
di me stesso nell'interpretare gli altri e qui penso di poter rispondere alla sua
prima domanda: nell'esempio del ritardo, razionalmente non ho nessun problema a trovare mille motivazioni al ritardo (traffico, persona di suo ritardataria e così via), ma una parte di me parte per la tangente e pensa appunto che non gliene importi niente, le varie motivazioni coesistono nella mia testa, non riesco a "filtrarle" in base al buon senso.

Quando dico che le persone mi stancano, intendo proprio questo: nella mia testa in continuazione la parte emotiva e quella razionale si scontrano, analizzano, sentono, smontano, ognuna per conto suo, non si fondono mai e non convivono, aspettano solo di prendere il sopravvento; in effetti non ho spontaneità, anche i comportamenti più assurdi, hanno una loro logica, se pur contorta. L'una alimenta per certi versi l'altra invece di bilanciarla, finché non incomincio a sragionare e a perdere la calma. Molte volte a mente fredda mi sono accorto che molto di quello che avevo detto, fatto o semplicemente pensato non aveva senso, era controproducente, addirittura nocivo, ma lì per lì mi sembra perfettamente sensato.

Per quanto riguarda la seconda domanda probabilmente mi comporto così per far capire fino a che punto posso spingermi nei confronti delle persone a cui tengo e questo risponde anche alla terza domanda: di sicuro una parte di me spera di essere ricambiata ma una altra parte di me lo fa perché non sento alternative, per me i rapporti hanno senso se sei disposto a perdere qualcosa lungo la strada.

>>> Ma lei si stima ?
Dipende molto dal momento; so di essere una persona intelligente, capace, ma so anche di aver buttato via molto di me stesso; alla fine ci sono momenti in cui veramente credo di aver la forza di riprendermi, di guardare al futuro, ma non durano abbastanza.

>>> Si è mai chiesto perché le persone potrebbero interessarsi a lei?
Alla fine credo che una motivazione sia che ascolto gli altri; il paradosso è che molto spesso non mi importa nulla di quello che dicono le persone, ma ho una buona memoria, ricordo quello che mi dicono e cerco sempre di rispondere dando loro importanza, e mi adatto a chi ho difronte.

Ma il problema nasce dal fatto che adattandomi agli altri, il più delle volte nascondo me stesso e col tempo credo di aver perso contatto con parti di me, mi rendo conto di risultare finto, e quando emerge il mio io, in determinati casi lo fa con vere e proprie esplosioni, che siano di rabbia, di odio, di entusiasmo, di passione. Più ci penso più credo a volte di aver paura di me stesso.
[#9]
Dr. Massimo Lai Psichiatra 832 30 24
>>>l'unica soluzione che ho trovato è stata quella di reprimere il più possibile le emozioni e ha funzionato per molto tempo<<<

ma è un sistema che evidentemente non funziona nel tempo

>>>Di sicuro sono diffidente, non mi fido delle persone, ma molte volte non mi fido
di me stesso nell'interpretare gli altri e qui penso di poter rispondere alla sua
prima domanda: nell'esempio del ritardo, razionalmente non ho nessun problema a trovare mille motivazioni al ritardo (traffico, persona di suo ritardataria e così via), ma una parte di me parte per la tangente e pensa appunto che non gliene importi niente, le varie motivazioni coesistono nella mia testa, non riesco a "filtrarle" in base al buon senso<<<

quindi qualunque cosa succeda lei è sempre coinvolto: la persona che aveva appuntamento con lei potrebbe aver avuto un incidente ed essere morta ma lei pensa a se e al fatto che non la prendono in considerazione, forse come avveniva nella sua infanzia?

>>>la parte emotiva e quella razionale si scontrano... <<<

sembra ci sia un eccesso di controllo

>>>per me i rapporti hanno senso se sei disposto a perdere qualcosa lungo la strada<<<

un po' esigente e severo, un po' di rigidità si potrebbe smussare con l'aiuto di qualcuno


>>>mi adatto a chi ho difronte

>>>mi rendo conto di risultare finto, e quando emerge il mio io...

Mi sembra evidente che lei ci debba lavorare.

Mi chiedo se abbia maturato l'idea che debba richiedere un aiuto concreto?

Inoltre per quale motivo ha scritto qui?