Essere deboli e licenziarsi, o farsi licenziare e perdere la dignità?
Buongiorno a tutti.
Mi trovo in una situazione tesa e molto incasinata, non saprei neanche da dove cominciare... vi do un contesto, posto di lavoro tra donne e io sono l'ultima arrivata.
Dopo tanti rimproveri per inutili cavolate (vi giuro che non esagero quando dico INUTILI CAVOLATE), malumori e minacce settimanali da parte delle colleghe di farmi mandare a casa dai titolari, oggi, per la prima volta, sono esplosa.
In che senso?
Ho cercato, con scarsi risultati, di difendermi dalle loro accuse, ho anche detto che erano tutte accanite nei miei confronti, che qualsiasi cosa faccio o dico non viene ben vista, solo mal interpretata.
Ho peggiorato solo le cose con la mia impulsività.
Il mondo per noi deboli è ingiusto, o abbassiamo la testa o non avremo altro che merd* in cambio.
Mi è stato detto che d'ora in avanti faranno finta che io non esista, che verrò esclusa da ogni cosa, e che verrò rimproverata direttamente dai titolari quando sbaglierò qualcosa (spoiler: per loro sbaglio sempre, vi immaginate ad ogni loro lamentela fimo a quando verrò licenziata).
Oltre alla minaccia che vi ho raccontato, una di loro mi ha minacciata di alzarmi le mani e un'altra ancora mi ha detto delle cattiverie disumane (che non capisco le cose, che un bambino è più intelligente di me, che posso sperare in posti malpagati perché negli altri posti seri mi fanno fare una prova e poi mi lasciano a casa... ah, dimenticavo, queste belle parole mi sono state dette davanti a tutti, immaginate come mi sono sentita...).
Alla fine di tutto mi è stato detto che non vogliono che io me ne vada, però parleranno con i titolari di questa situazione e se io commetto anche il minimo sbaglio loro lo sapranno.
Se non è questa violenza psicologica, non saprei come chiamarla.
O ti licenzi, o ti licenziamo noi, non hai altra scelta.
Io la vedo così.
Ho cercato di calmare gli animi dopo tutto questo manicomio, non è servito a niente, non dovevo proprio reagire all'ennesima accusa.
Difendersi non serve a niente qui.
Ho pianto tantissimo, ho anche pianto davanti a loro (prive totalmente di empatia, io ero lì di troppo), sto cominciando ad avvertire forti dolori allo stomaco e tanta nausea.
Sono mentalmente e fisicamente devastata da tutta questa situazione.
Mi rivolgo adesso a voi, dovrei resistere e vedere se le cose migliorano (sono già fuori, perché odiano la mia presenza, e tutte le precedenti colleghe sono andare via per il clima di lavoro tossico tra colleghe), o mando le dimmisioni per tutelare la mia salute mentale?
Perché dopo oggi la mia dignità e la mia autostima si sono quasi estinte.
Sono anche consapevole che dando le dimmisioni perdo la disoccupazione (rimarrei senza lavoro e senza una certezza economica, capitemi), ed è anche vero che se vengo licenziata, e prendo di conseguenza la disoccupazione, ne risentirebbe tantissimo la mia autostima (e chi si riprende più?
Mi conosco troppo bene, non saprei neanche come gestire un fallimento del genere).
Restare e stare male, o andare?
Mi trovo in una situazione tesa e molto incasinata, non saprei neanche da dove cominciare... vi do un contesto, posto di lavoro tra donne e io sono l'ultima arrivata.
Dopo tanti rimproveri per inutili cavolate (vi giuro che non esagero quando dico INUTILI CAVOLATE), malumori e minacce settimanali da parte delle colleghe di farmi mandare a casa dai titolari, oggi, per la prima volta, sono esplosa.
In che senso?
Ho cercato, con scarsi risultati, di difendermi dalle loro accuse, ho anche detto che erano tutte accanite nei miei confronti, che qualsiasi cosa faccio o dico non viene ben vista, solo mal interpretata.
Ho peggiorato solo le cose con la mia impulsività.
Il mondo per noi deboli è ingiusto, o abbassiamo la testa o non avremo altro che merd* in cambio.
Mi è stato detto che d'ora in avanti faranno finta che io non esista, che verrò esclusa da ogni cosa, e che verrò rimproverata direttamente dai titolari quando sbaglierò qualcosa (spoiler: per loro sbaglio sempre, vi immaginate ad ogni loro lamentela fimo a quando verrò licenziata).
Oltre alla minaccia che vi ho raccontato, una di loro mi ha minacciata di alzarmi le mani e un'altra ancora mi ha detto delle cattiverie disumane (che non capisco le cose, che un bambino è più intelligente di me, che posso sperare in posti malpagati perché negli altri posti seri mi fanno fare una prova e poi mi lasciano a casa... ah, dimenticavo, queste belle parole mi sono state dette davanti a tutti, immaginate come mi sono sentita...).
Alla fine di tutto mi è stato detto che non vogliono che io me ne vada, però parleranno con i titolari di questa situazione e se io commetto anche il minimo sbaglio loro lo sapranno.
Se non è questa violenza psicologica, non saprei come chiamarla.
O ti licenzi, o ti licenziamo noi, non hai altra scelta.
Io la vedo così.
Ho cercato di calmare gli animi dopo tutto questo manicomio, non è servito a niente, non dovevo proprio reagire all'ennesima accusa.
Difendersi non serve a niente qui.
Ho pianto tantissimo, ho anche pianto davanti a loro (prive totalmente di empatia, io ero lì di troppo), sto cominciando ad avvertire forti dolori allo stomaco e tanta nausea.
Sono mentalmente e fisicamente devastata da tutta questa situazione.
Mi rivolgo adesso a voi, dovrei resistere e vedere se le cose migliorano (sono già fuori, perché odiano la mia presenza, e tutte le precedenti colleghe sono andare via per il clima di lavoro tossico tra colleghe), o mando le dimmisioni per tutelare la mia salute mentale?
Perché dopo oggi la mia dignità e la mia autostima si sono quasi estinte.
Sono anche consapevole che dando le dimmisioni perdo la disoccupazione (rimarrei senza lavoro e senza una certezza economica, capitemi), ed è anche vero che se vengo licenziata, e prendo di conseguenza la disoccupazione, ne risentirebbe tantissimo la mia autostima (e chi si riprende più?
Mi conosco troppo bene, non saprei neanche come gestire un fallimento del genere).
Restare e stare male, o andare?
Cara utente,
anzitutto vorrei offrirle la mia solidarietà. Si soffre molto delle malevolenze continue esercitate dal branco sul posto di lavoro, perché destabilizzano la nostra visione di noi stessi.
Ho letto anche la sua richiesta di consulto di gennaio e concordo con quanto le scrisse il mio collega: certi gruppi si cementano creando un "fantasma di intrusione", il capro espiatorio su cui sfogare tutte le frustrazioni; in questo modo organizzano i loro disagi attorno alla cattiveria e ne fanno la sigla cui ispirare il proprio comportamento.
Questo non rende le sue colleghe più serene o più felici, ma allevia un loro malessere che non sanno curare in altro modo che attraverso sfoghi di malevolenza: prova ne sia che il massimo della solidarietà tra di loro lo mostrano nello sparlare di un cliente abituale e nell'attaccare lei.
Lei però non solo è nuova dell'ambiente, ma forse è stata considerata fin dall'inizio come fragile. Questo alimenta la ferocia dei vili, che prendono forza dal branco oppure da una posizione di potere. Il mio collega le suggeriva di discutere con uno psicologo la sua situazione: l'ha fatto?
Io temo di no. Temo che abbia fatto un errore che ho visto tante volte: ha cercato continuamente di ingraziarsi queste persone, addirittura tentando di mettersi sulla loro lunghezza d'onda, come quando ha voluto partecipare alle maldicenze sul cliente. In questo modo non ha ottenuto altro che di essere rifiutata con più forza, ma tenga conto che la persona rifiutata non è lei, bensì un aspetto del suo io ferito, immiserito e represso. Nel suo comportamento non c'è da ravvisare un suo difetto personale, ma un errore di comunicazione che l'ha collocata nel ruolo della vittima designata e che continua a tenercela.
Nel colloquio diretto uno psicologo le spiegherà passo per passo, se porta con sé le due lettere che ci ha scritto, dove stanno i suoi errori di comunicazione e come potrà rialzare la testa. Se ha bisogno del suo lavoro, se lo tenga, ma con dignità.
Le sue colleghe saranno tutte malevole, ma non tutte ugualmente aggressive; cominci a prendere appunti, senza replicare, ogni volta che le più cattive la attaccano, lasciando che se ne accorgano. Il mobbing è punito dalla legge per il danno che arreca alla salute fisica e mentale della persona; lasci che capiscano che si sta preparando a denunciarle.
Anche tra i superiori, se ce n'è qualcuno più umano e meno scioccamente lassista lo contatti e legga nel dettaglio quello che le sue colleghe le hanno fatto portando con sé una copia, non l'originale.
In altre parole, mostri di essere capace di tutelare sé stessa.
Le auguro la migliore soluzione possibile. Ci tenga al corrente.
anzitutto vorrei offrirle la mia solidarietà. Si soffre molto delle malevolenze continue esercitate dal branco sul posto di lavoro, perché destabilizzano la nostra visione di noi stessi.
Ho letto anche la sua richiesta di consulto di gennaio e concordo con quanto le scrisse il mio collega: certi gruppi si cementano creando un "fantasma di intrusione", il capro espiatorio su cui sfogare tutte le frustrazioni; in questo modo organizzano i loro disagi attorno alla cattiveria e ne fanno la sigla cui ispirare il proprio comportamento.
Questo non rende le sue colleghe più serene o più felici, ma allevia un loro malessere che non sanno curare in altro modo che attraverso sfoghi di malevolenza: prova ne sia che il massimo della solidarietà tra di loro lo mostrano nello sparlare di un cliente abituale e nell'attaccare lei.
Lei però non solo è nuova dell'ambiente, ma forse è stata considerata fin dall'inizio come fragile. Questo alimenta la ferocia dei vili, che prendono forza dal branco oppure da una posizione di potere. Il mio collega le suggeriva di discutere con uno psicologo la sua situazione: l'ha fatto?
Io temo di no. Temo che abbia fatto un errore che ho visto tante volte: ha cercato continuamente di ingraziarsi queste persone, addirittura tentando di mettersi sulla loro lunghezza d'onda, come quando ha voluto partecipare alle maldicenze sul cliente. In questo modo non ha ottenuto altro che di essere rifiutata con più forza, ma tenga conto che la persona rifiutata non è lei, bensì un aspetto del suo io ferito, immiserito e represso. Nel suo comportamento non c'è da ravvisare un suo difetto personale, ma un errore di comunicazione che l'ha collocata nel ruolo della vittima designata e che continua a tenercela.
Nel colloquio diretto uno psicologo le spiegherà passo per passo, se porta con sé le due lettere che ci ha scritto, dove stanno i suoi errori di comunicazione e come potrà rialzare la testa. Se ha bisogno del suo lavoro, se lo tenga, ma con dignità.
Le sue colleghe saranno tutte malevole, ma non tutte ugualmente aggressive; cominci a prendere appunti, senza replicare, ogni volta che le più cattive la attaccano, lasciando che se ne accorgano. Il mobbing è punito dalla legge per il danno che arreca alla salute fisica e mentale della persona; lasci che capiscano che si sta preparando a denunciarle.
Anche tra i superiori, se ce n'è qualcuno più umano e meno scioccamente lassista lo contatti e legga nel dettaglio quello che le sue colleghe le hanno fatto portando con sé una copia, non l'originale.
In altre parole, mostri di essere capace di tutelare sé stessa.
Le auguro la migliore soluzione possibile. Ci tenga al corrente.
Prof.ssa Anna Potenza
Riceve in presenza e online
Primo consulto gratuito inviando documento d'identità a: gairos1971@gmail.com
Aggiungo che le sue colleghe potrebbero arrivare a strapparle di mano il notes. Resista. Questa è violenza fisica, e per questo si va direttamente dai carabinieri.
Prof.ssa Anna Potenza
Riceve in presenza e online
Primo consulto gratuito inviando documento d'identità a: gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 2 risposte e 335 visite dal 09/07/2025.
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