Malessere lavorativo in edilizia: cosa fare?

Buongiorno, da 5 anni lavoro in un impresa edile, dove fin dal primo giorno non mi sono trovato per niente bene.
Alzarmi la mattina per andare a lavorare e vedere le loro facce diventa sempre più pesante.
Ho cercato di cambiare lavoro, ma alla fine o per motivi economici o per motivi di lontananza da casa e altre volte perché il mio attuale datore di lavoro per farmi rimanere a lavorare con lui mi ha fatto delle promesse che non ha mantenuto.

Tutti i miei colleghi si trovano nella mia stessa situazione, e questo malessere porta anche a litigare tra noi, in 5 anni sono andati via in tanti.
I problemi sono di natura organizzativi (la mattina non si sa mai dove andrai a lavorare e non lo sanno neanche loro si decide la mattina stessa e puoi ritrovarti a lavorare anche in un altra città, senza neanche pranzo) orari di lavoro massacranti, impossibilità di parlare con il capo o il capo cantiere perché hanno poca educazione e ogni richiesta di spiegazione si trasforma in lite. Queste sono una piccola parte dei problemi, c e ne sono anche di più gravi.
Sono stato in malattia per circa due mesi, sono ritornato a lavoro nonostante non ci sia una diagnosi definitiva e nonostante continuo a non stare bene, continuo a fare controlli ed esami.
Ho chiesto prima del mio rientro di essere esonerato da lavori in quota e straordinari, ma per loro è come si io stessi bene.
Durante il tragitto casa lavoro sono stato male dovendomi fermare dopo qualche minuto o chiamato il capo, dicendo che ero fermo e avevo problemi anche nel guidare e che non sarei potuto venire a lavoro dopo un sospiro profondo mi risponde con un " va bene ciao".
Nonostante ormai sia abituato ai loro modi di fare, ci sono rimasto malissimo perché ero in difficoltà e lui non mi ha chiesto neanche se avessi bisogno, anzi il tono era di quello rdi chi è arrabbiato dal fatto che sarei mancato.
Sono arrabbiato perché sto male, i referti lo dimostrano ma per loro è come se fossero scuse.
In due mesi di malattia dopo essermi sentito male a lavoro non ho mai ricevuto un "come stai? ".
Adesso non voglio più vederli, la notte non dormo più, sono sempre nervoso e so che fino a quando non trovo un altro lavoro non posso andarmene, mi sento in trappola e questo mi fa stare ancora più male
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 5k 204
Gentile utente,
ho letto con molta partecipazione tutte le sue richieste di consulto e le voglio parlare con estrema chiarezza.
Il bene principale della vita è la salute, sulla quale si costruisce tutto il resto: buon umore, progetti, affetti, lavoro, figli, insomma tutto.
La salute però è stata definita dall'Organizzazione Mondiale della Sanità non più semplicemente come "assenza di malattia", ma come stato di benessere fisico, psicologico e sociale.
Questo vuol dire che ci possiamo definire "sani" quando assieme all'assenza delle malattie organiche abbiamo condizioni di vita (lavoro, relazioni, stato economico, condizione sociale) piacevoli e appaganti.
Ma vuol dire anche -attenzione!- che questi elementi non organici, così come concorrono al benessere se sono presenti, quando mancano causano depressione, perdita di interesse alla vita, incapacità di cercare soluzioni, e possono portare anche le malattie, attraverso l'alterazione di quei meccanismi che uniscono indissolubilmente psiche e soma.
Ora nel suo caso mi sembra che molte cose concorrano a determinare un suo stato di malessere complessivo e che di fronte a queste aggressioni lei si ripieghi su se stesso, si limiti ad incassare i colpi senza mettere in atto alcuna difesa.
Un solo elemento nelle sue lettere appare positivo: il rapporto con sua moglie. Facendo perno su questa solidarietà, e se è il caso con l'aiuto di un consulente, cominci ad elencare le sue cause di disagio e le contrasti una dopo l'altra, con lo scopo di liberarsene.
Provi a fare l'elenco delle cose che la opprimono alla rinfusa, poi metta accanto a ciascuna due numeri; uno in rosso, relativo alla gravità percepita, uno in verde relativo alla possibilità di affrontarlo per primo.
Le faccio un esempio in cui per privacy non metterò i disagi reali che lei ci ha manifestato. Posto che le cose che opprimono siano:
lavoro sgradevole - sovrappeso - vizio del fumo - zio invadente che chiede continui prestiti - casa inadatta alla famiglia - suocera criticona
lei deve mettere in rosso il numero del disagio maggiore (per esempio la suocera potrebbe essere il numero 1, il sovrappeso il 2) e in verde l'ordine in cui vuole e può affrontare ogni problema (per esempio lo zio invadente di cui respingere le richieste 1, abolire il fumo 2, mettersi a dieta 3, etc.).
Elabori una strategia per ciascun problema, poi proceda ad attuarla.
Non si scoraggi di ritardi o apparenti fallimenti. Vedrà che ogni successo la aiuterà a fare sempre di più e meglio. Alcuni hanno trovato giovamento nell'immaginare come agirebbe una persona che conoscono e stimano.
Ci tenga al corrente. Le faccio molti auguri.

Prof.ssa Anna Potenza
Riceve in presenza e online
Primo consulto gratuito inviando documento d'identità a: gairos1971@gmail.com

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Utente
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Grazie dottoressa per la celere ed esaustiva risposta. È vero mi rivedo molto nella frase "sembra che molte cose concorrano a determinare un suo stato di malessere complessivo e che di fronte a queste aggressioni lei si ripieghi su se stesso, si limiti ad incassare i colpi senza mettere in atto alcuna difesa" a volte perché penso di non poter fare nulla per cambiare le cose o a volte per educazione tendo a non rispondere per come forse dovrei. Grazie ancora
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 5k 204
Gentile utente,
dalle sue parole capisco che avevo intuito almeno uno dei due elementi che a suo parere determinano la sua eccessiva tolleranza: la buona educazione.
Questa è senza dubbio una dote, e molti la sanno apprezzare, ma ha il demerito di permettere ai prepotenti e agli arroganti di prendere tutto lo spazio che la persona educata lascia libero, e di andare sempre più oltre.
Per questo occorre costruire una risposta che non rende maleducato chi non lo è, ma mette un freno a chi lo è. Si chiama ASSERTIVITA' e si conquista con una serie di esercizi, se non la si possiede per formazione familiare o per indole. E' la capacità di riconoscere i propri bisogni e di esternarli con garbo e fermezza riconoscendoli come diritti e chiedendo che siano rispettati.
Di fronte alla forza calma delle richieste assertive l'altra persona vacilla e alla fine o cede, oppure si mette vistosamente dalla parte del torto, determinando la rottura.
Nella sua risposta però lei parla anche di un altro ostacolo ad una strategia difensiva: "penso di non poter fare nulla per cambiare le cose".
Questa idea è ugualmente paralizzante. Può nascere dalla mancanza di fantasia nel vedere prospettive oppure dalla sfiducia nelle proprie risorse.
Anche per questo ci sono delle vie di superamento. La prima gliel'ho indicata nell'email precedente: se ha già scritto l'elenco di quello che le dà fastidio coi numeri verdi e rossi, cominci ad elaborare per ciascun disagio qualche azione correttiva e la metta in pratica.
Auguri.

Prof.ssa Anna Potenza
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