Bipolare e orientamento sessuale: disorientamento giovanile o fase transitoria?

Salve, ho una diagnosi di disturbo bipolare NAS.
Assumo clopixol, resilient e fluvoxamina.
Mi ero affidato al sistema socio-assistenziale, chiedendo una pensione di invalidità perchè ero stato, in fase di studio fortemente influenzato dalla mia situazione economico-famigliare.
Lavoravo ma a lavoro ho subito molto gli sfottò dei colleghi e l'ambiente, essendo molto sensibile e avevo deciso, in realtà anche per la volontà di completare il mio percorso di studi di continuare a studiare.
Lì sono stato mandato da uno psichiatra e sono saltate la diagnosi e la richiesta di pensione di invalidità.

Ho avuto relazioni che definisco problematiche.
Non mi sono piaciute affatto.
Le dinamiche che si sono instaurate non mi rappresentano affatto tant'è che ho troncato subito.

Onestamente non mi rappresenta affatto nemmeno aver chiesto un sussidio socio-assistenziale.
Mi sono sempre state riconosciute delle capacità e non riesco a capire come io non le abbia ancora messe a frutto.

Detto questo ho riflettuto sulla mia vita abbastanza in questi anni.

Ho avuto delle esperienze omosessuali e onestamente ho notato che, essendo bisessuale, forse l'essermi orientato verso un modello culturale gay e relazioni omoaffettive abbia condizionato diversi aspetti della mia vita, quello lavorativo e sociale.

Ho conosciuto una ragazza di recente.
Ho ricominciato a studiare con l'obiettivo di vincere un concorso.
Ho intenzione di formare una famiglia.

È possibile che la condizione di bipolare fosse una condizione di disorientamento generale in età giovanile, anche rispetto alla sfera psico-sessuale?
Non intendo dire che una persona bisessuale sia malata ma sicuramente è soggetta a stress e può più facilmente incorrere in isolamento.
Può essere stata una fase transitoria prima che io orientassi la mia vita verso una direzione più "chiara" (famiglia, lavoro)?
Dr.ssa Elisabetta Carbone Psicologo, Sessuologo 251 10
Gentile utente,
Ha detto bene: la bisessualità non è una malattia e non implica alcun disturbo mentale, anche se situazioni di discriminazione, pressioni sociali o difficoltà personali possono contribuire a un periodo di disorientamento o a scelte relazionali e lavorative che oggi vede come non rappresentative di sé. Invece il disturbo bipolare va considerato come una condizione clinica che può influenzare umore, energia e capacità di decisione. Al contempo, la maturazione, la costruzione di relazioni e il consolidamento di obiettivi personali possono portare a una maggiore stabilità anche nella sfera affettiva e sessuale. Può essere che alcune difficoltà giovanili riflettano una fase transitoria di esplorazione e disorientamento, ma questo non nega l’esistenza di condizioni cliniche né l’importanza di un percorso di cura continuativo. Discuterne con il suo psichiatra o lo psicoterapeuta può aiutarla a integrare queste esperienze nella sua vita attuale.
Cordiali saluti,

Dott.ssa Elisabetta Carbone
Psicologa sistemico relazionale | Sessuologa clinica |
psicologa@elisabettacarbone.it | 351.777.9483

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Dottoressa, ma in realtà lo specificatore NAS (non altrimenti specificato) fa sì che questa diagnosi sia un po' incerta. Tra l'altro la diagnosi è stata fatta da un medico non specialista, un medico pediatra abilitato alla psicoterapia che operava anche al CIM come dirigente. Sono una diagnosi con una prescrizione molto complesse.
Lei ritiene che dovrei rivedere il quadro presso il CIM della mia area territoriale?
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Dr.ssa Elisabetta Carbone Psicologo, Sessuologo 251 10
Buongiorno,
Se lo ritiene opportuno può rivedere la situazione presso il CIM dove potrà essere valutato da uno psichiatra, con possibilità di integrare anamnesi, storia clinica e eventuali strumenti diagnostici standardizzati. Questo ulteriore passaggio però non significa che quanto vissuto in precedenza sia sbagliato , ma permette di avere una diagnosi chiara e un percorso terapeutico mirato, così da poter consolidare i progressi che sta già facendo sul piano personale, relazionale e lavorativo.
Cordialmente,

Dott.ssa Elisabetta Carbone
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Dottoressa, certe volte mi chiedo se la mia esperienza di vita possa essere raccolta necessariamente in un contenitore diagnostico. È probabile che non sia così?
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Dr.ssa Elisabetta Carbone Psicologo, Sessuologo 251 10
La sua domanda tocca uno dei temi che mi sta più a cuore come professionista. No, la diagnosi (per quanto sia un'etichetta diagnostica) non etichetta la persona, la sua vita e le sue relazioni. La sua esperienza di vita non deve essere necessariamente raccolta in un contenitore (diagnostico o meno). Diciamo che la diagnosi serve a chiarire e spiegare il funzionamento di una certa personalità, senza però definirla. Spero di essere stata chiara e soprattutto di averle tolto questo dubbio.

Dott.ssa Elisabetta Carbone
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Che una diagnosi non definisce quella persona è chiaro, però una personalità ha o meno quel funzionamento che è stato individuato? Tutti i funzionamenti di tutte le personalità è possibile siano spiegati da una diagnosi? Glielo chiedo anche perchè la psicoterapia che io feci prima di essere indirizzato da uno psichiatra fu abbastanza lunga (1 anno circa) e la psicologa mi disse che non riusciva a capire quale fosse il problema. Il medico ha definito un'etichetta diagnostica ma molto presto, alla prima seduta, dopo 5 minuti.
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