Lutto

Sono una giovane donna di 30 anni con un bamino di 2 anni. Negli ultimi anni mi sono ritrovata a passare diverse situazioni difficili e in particolare quest'anno nel giro di pochi mesi ho visto morire mia nonna, mio suocero e mio padre. Fin dalla nascita del mio bambino io e i miei genitori avevamo un rapporto molto stretto, io sono sempre stata molto dipendente da loro, li vedevo tutti i giorni e non muovevo un passo senza prima essermi consultata con loro. Quando è arrivata la diagnosi del male incurabile di mio padre il mio primo pensiero è stato quello di togliermi la vita. Per giorni non riuscivo a dormire e soprattutto non riuscivo a distogliere il pensiero da questa tragica notizia neanche per un secondo , cosa che mi faceva impazzire di dolore. La morte di mio padre e giunta più veloce del previsto ed è avvenuta davanti ai miei occhi. Dopo un primo momento di malessere fisico ho sentito la mia voce pronunciare che non era vero ed ora vivo con un costante senso di angoscia, come se non fosse mai accaduto niente, ma come se qualcosa di brutto potrebbe accadere da un momento all'altro. Piango meno di quanto vorrei, ho un senso di magone che non riesco a sfogare, e se le lacrime escono mi viene da chiedere a mio padre di tornare, come se questo fosse possibile. A peggiorare il tutto c'è mio figlio, che adorava il suo nonno e continua a chiedere di lui e si rattrista se vede un altro bamino con il suo nonno, e poi c'è mia madre che sta abbandonando sempre di più me e il mio bamino per passare quasi tutto il tempo con un suo caro amico. Provo rabbia nei confronti di mia madre. La sera che mio padre è stato male lei era uscita con questo suo amico nonostante quello fosse stato il giorno della chemio e quindi uno di quei giorni in cui poteva essere normale che lui avesse forti dolori. Ma anche questa rabbia mi tocca tenerla dentro perchè mi rendo conto che buttargliela addosso non ci farebbe tornare indietro e nuocerebbe solo a lei. Lei si comporta come se fosse la sola a soffrire, la sola ad aver bisogno di svago e non si rende conto che il mio dolore è così forte che non riesce neanche ad uscire da me. Sono normali tutte queste mie sensazioni? Ho paura di riuscire un giorno a realizzare tutto questo e di ammazzarmi davvero, anche perchè ho tentato il suicidio già una volta in adolescenza e, anche se ho capito il mio errore e non penso che lo rifarei mai, a volte mi rendo conto che neanche prima di farlo da adolescente pensavo che lo avrei fatto davvero. Questo negare la morte di mio padre a me stessa è normale, il peggio passerà con il tempo o deve ancora arrivare?
Scusatemi per la confusione dei miei pensieri ma non riesco a spiegare quello che ho dentro, vivo una specie di doppio lutto, il mio dolore per la perdita di mio padre e quello di mio figlio per il suo adorato nonno e allo stesso tempo mi rendo conto di rifiutare questo lutto anche se con tutte le mie forze cerco di rielaborarlo mentalmente ogni mattina.
Grazie per l'attenzione
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Dr.ssa Laura Rinella Psicologo, Psicoterapeuta 6.3k 119 9
Gentile signora,
dalle sue parole emerge forte il suo dolore per un periodo molto difficile della sua vita in cui ha subito perdite importanti, in particolare quella di suo padre, una persona affettivamente significativa e con la quale aveva un rapporto a quanto dice molto stretto.

In linea generale e in breve, il lutto porta con sé movimenti movimenti depressivi ( profonda tristezza, disperazione, rabbia, senso di colpa, scarsa disponibilità affettiva ne fanno parte) e richiede un certo arco di tempo per essere elaborato. La qualità e i tempi del processo di elaborazione variano in relazione alla propria storia di vita, alle risorse personali e ambientali disponibili, alla significatività del rapporto con la persona scomparsa. Ha qualcuno vicino che la sta sostenendo?

Da quello che ci racconta in merito alle sue attuali reazioni, sofferenze, sentimenti, pensieri, paure sembrano esserci difficoltà nell’elaborazione della perdita, in merito alle quali sarebbe opportuno chiedesse un aiuto specialistico. Ci parla inoltre di una storia personale e famigliare complessa (situazioni difficili, tentativo di suicidio in adolescenza, tipo di relazione con i suoi) e di essere madre di un bimbo piccolo che richiede cure, fatiche, disponibilità, elementi che ancora di più mi spingono a consigliarle di rivolgersi a un esperto per essere aiutata in questo difficile momento.

Cari saluti

Dr.ssa Laura Rinella
Psicologa Psicoterapeuta
www.psicologiabenessereonline.it

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Dr.ssa Paola Scalco Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 4.3k 101 45
Gentile Signora,
non so quanto tempo sia trascorso dalla morte di suo padre, ma mi pare di aver capito che non si tratti di un evento degli ultimi giorni (sbaglio?).
In aggiunta alle considerazioni della Collega, che condivido completamente e ribadisco, vorrei portarla a riflettere sul fatto che il suo bambino è molto piccolo e lo era ancora di più quando il nonno è venuto a mancare, perciò non so quanto sia corretto attribuirgli stati d'animo così complessi come quelli che seguono un evento luttuoso. Potrebbe essere un modo che Lei utilizza per sentire che condivide con qualcuno queste emozioni negative, ma non è certo compito di suo figlio supportarla in questa dolorosa fase della sua vita.
Proprio anche per la responsabilità che Lei mamma ha nei confronti del suo bambino, per la necessità di consentirgli di crescere avendo accanto una madre più serena ed emotivamente disponibile, sarebbe importante che chiedesse un aiuto ad uno specialista di persona. Non è pensandoci tutto il giorno che ne uscirà, ma giungendo a pensarci in modo meno angosciato.
Ognuno ha i suoi tempi e i suoi modi per elaborare un lutto, ma quando questo diventa "complicato" non ci si deve vergognare a farsi aiutare, anzi, questo è segno di grande maturità e senso di responsabilità.

Cari auguri.

Dr.ssa Paola Scalco, Psicoterapia Cognitiva e Sessuologia Clinica
ASTI - Cell. 331 5246947
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dopo
Attivo dal 2010 al 2011
Ex utente
Grazie mille per le vostre risposte,
Non è successo da molto, è passato solo un mese. Non penso che mio figlio debba supportarmi, non piango davanti a lui e ho cercato di spiegargli nel modo più sereno possibile che il nonno è in cielo con gli angioletti, che non lo potrà più vedere ma che gli vorrà comunque bene per sempre.Non sò se ho trovato le parole giuste, lui se vede una foto mi ripete che sa che il nonno non c'è più e mi sembra abbastanza sereno. Solo in alcuni momenti si rattrista se vede dei nonni che vanno a prendere all'asilo i suoi amichetti e allora mi richiede come mai il suo non viene più. Accanto a me c'è mio marito, anche lui ha perso suo padre da poco (ad aprile) ed è una persona apparentemente molto forte che, al contrario di me, non è solito parlare delle sue emozioni e non le manifesta. Questo suo atteggiamento in un certo senso mi trasmette serenità ma al contempo mi fa sentire ancora più debole per tutto quello che io provo e che lui invece sembra non aver mai provato nella mia stessa situazione.Tutti i miei amici più cari si trovano nella città in cui abitavo prima, sono venuti a trovarmi un paio di volte ma io comunque mi mostro forte con loro e racconto tutto col sorriso. L' errore della mia adolescenza non penso davvero di ripeterlo, probabilmente volevo solo attirare l'attenzione e non capivo quanto male avrei fatto alle persone che amavo.Adesso lo sò e inoltre ho un bimbo da crescere che amo alla follia, ed è forse per questo che vi scrivo e che mi preoccupo troppo di quello che provo e di stare bene ed essere forte per lui.
Grazie davvero per la vostra attenzione, è bello poter parlare una volta tanto senza peli sulla lingua.
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Le reazioni al lutto sono personali e molto diverse da individuo a individuo: qualcuno cerca di distrarsi, qualcuno fa come niente fosse, qualcuno riesce ad esprimere da subito il dolore e, in questo modo, a "smaltirlo" più rapidamente.
Lei forse rientra in un'altra tipologia: quella di chi si vergogna del proprio dolore e che non riesce ad esprimerlo a meno che le persone vicine glielo consentano, ma da quanto ci dice sia sua madre sia suo marito - per motivi diversi - non le consentono di sentirsi autorizzata a piangere e disperarsi come avrebbe bisogno di fare.
Il rsultato è questa confusione e anche l'emersione di pensieri estremi come quelli di suicidio (per quanto si tratti solo di una fantasia).

In questo senso la Collega le ha detto che forse sta sopravvalutando il dolore di suo figlio, attribuendogli una carica emotiva che appartiene a lei stessa: in questo modo ottiene (involontariamente) di sentire accanto a sè qualcuno che condivide la sua pena e che non la fa sentire debole se la esprime.

Vorrei sottolineare una sua affermazione che mi sembra molto importante per comprendere quello che le sta succedendo:

"mia madre che sta abbandonando sempre di più me e il mio bambino".

Se la leggiamo accanto a quest'altra frase:

"Fin dalla nascita del mio bambino io e i miei genitori avevamo un rapporto molto stretto, io sono sempre stata molto dipendente da loro, li vedevo tutti i giorni e non muovevo un passo senza prima essermi consultata con loro"

è facile arrivare alla conclusione che lei sta vivendo il lutto non solo per le morti che sono avvenute, ma anche per l'allontanamento di sua madre e la perdita di un punto di riferimento così fondamentale da non aver mai fatto un passo senza prima confrontarsi con esso.

Secondo me questo è il punto più problematico: a 30 anni lei si sente ancora una bambina spaventata dall'allontanamento della mamma, si sente sola e abbandonata e non sa come fare senza che qualcuno le stia vicino e le indichi la strada.

Ovviamente non ha nessuna colpa per il fatto di essere stata cresciuta in questo modo, ma per il bene di tutti (suo, di suo marito e del vostro) potrebbe pensare di farsi aiutare dal punto di vista psicologico a crescere ed emanciparsi da una condizione di dipendenza e sudditanza che nuoce prima di tutto a lei stessa.

Che ne pensa?

Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it

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dopo
Attivo dal 2010 al 2011
Ex utente
Penso che lei abbia perfettamente ragione, io vivo un costante senso di inadeguatezza. Quando ho terminato le superiori mi sono iscritta all'università e non ruscivo a dare gli esami perchè non pensavo di essere abbastanza brava da poterli passare, quando poi mi sono laureata non sono mai entrata nel mondo del lavoro perchè avevo paura e non mi sentivo abbastanza "grande" . Ho deciso di avere mio figlio perchè quello era l'unico obiettivo sicuro della mia vita ma sono tornata a vivere vicino ai miei genitori perchè avevo comunque paura di non essere in grado di allevarlo da sola. In realtà con mio figlio sono cresciuta un pochino, mi sono sempre occupata esclusivamente io di lui, anche se i miei genitori lo vedevano tutti i giorni era sempre in mia presenza. Mio padre aveva paura ad occuparsi di lui così piccolo e mia madre è una donna molto attiva, esce ed ha le sue abitudini e non ama molto sconvolgerle per occuparsi dei nipoti. Quindi io ho finalmente preso delle responsabilità, ma solo nell'ambito materno. Per fare un esempio se mio figlio si ammala sono ovviamente io a contattare i medici, io a informarmi sulle evoluzioni e le varie terapie di ogni malattia e quando ho sospettato che lui potesse avere un ritardo nella crescita ho consultato vari specialisti, anche contro al parere del medico di base, fino a quando non mi sono accertata che tutto andava bene. Prima della nascita di mio figlio invece era ancora mia madre a prendere gli appuntamenti per me. Ricevo quindi molte critiche da amici e parenti, che mi giudicano una buona madre ma che criticano sempre il fatto che io non lavori pensandomi svogliata, ed io non posso far altro che accettare le critiche, arrampicarmi sugli specchi per trovare qualche scusa (la crisi, nessuno assume una mamma senza esperienze) scuse che non sono del tutto false anche se il mio impegno nella ricerca di un lavoro è veramente scarso e se vengo scartata provo quasi un senso di sollievo. Onestamente ho pensato già in passato di cercare un aiuto per questo mio problema ma i problemi economici non mi hanno mai permesso di farlo veramente. Per quanto riguarda il dolore del mio bamino non escludo di poter comportarmi come voi dite a livello inconscio ma sono certa che qualcosa lui prova. Io mi sono confrontata anche con la direttrice del suo asilo quando mio padre stava male perchè mi sembrava che il bambino soffrisse del fatto che il nonno improvvisamente non lo prendesse più imbraccio e non lo portasse più a passeggio e loro mi dissero che qualche piccolo cambiamento lo avevano notato e che probabilmente era dovuto al fatto che io lo tenevo all'oscuro di tutto e che quindi lui si sentisse rifiutato dal nonno attribuendone a se stesso la responsabilità. Anche per questo non trovo giusto che la nonna si allontani, non voglio che lui pensi che ci sia qualcosa che non va in lui, vorrei che per quanto possibile le cose rimanessero per lui uguali a prima, se è complicato per me capire che mia madre deve affrontare il dolore a modo suo e ovviamente impossibile farlo a capire al mio bambino.
Grazie ancora per l'attenzione
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Dr.ssa Laura Rinella Psicologo, Psicoterapeuta 6.3k 119 9
<ho pensato già in passato di cercare un aiuto per questo mio problema ma i problemi economici non mi hanno mai permesso di farlo veramente>

Gentile signora,
può anche rivolgersi al servizio pubblico, presso il Consultorio Familiare della sua ASL.

Si dia l'opportunità di rivolgersi a uno specialista al fine di affrontare il suo dolore attuale e le sue questioni irrisolte, di ostacolo ad una vita più appagante e serena.

Cordialmente
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
"non posso far altro che accettare le critiche"

Probabilmente fino ad ora è stato così, ma dalle sue parole emerge il desiderio di cambiare unito alla consapevolezza dei suoi punti deboli e a partire da tutto ciò potrà lavorare per costruire la sicurezza e la fiducia in sè stessa che non ha ancora avuto modo di consolidare.
Se c'è la volontà di cambiare è possibile ottenere risultati ed è giusto che lei li persegua sia per sè stessa, sia per il suo bambino e per suo marito.

Per quanto riguarda il rapporto fra sua madre e il bambino è importante che cerchi di separare la questione dal suo personale rapporto con sua madre: se lei si sente abbandonata è un conto, ma se la nonna sta davvero trascurando il bambino rispetto a prima può farglielo presente senza mettere anche sè stessa nel discorso, per esortarla ad essere presente come prima con il piccolo.

Il bambino soffre sicuramente per la morte del nonno, se erano legati starà certo provando delle emozioni spiacevoli non vedendolo più, ma quello che la invitavamo a considerare è il rischio di aggiungere un qualcosa che parte da lei stessa alla percezione dell'oggettiva reazione di suo figlio, con il fine (inconsapevole) di condividere il dolore con qualcuno.