Insicurezza e ansia

Scrivo dopo aver accumulato mesi e mesi di problemi che ora non so come sbrogliare. Ho 32 anni e attualmente non lavoro. Ho un forte problema di insicurezza che ha fatto si' che ogni volta che mi trovassi davanti a delle difficolta' o ostacoli da superare nel mio percorso lavorativo, rivedessi al ribasso i miei obiettivi. Ora sono arrivato ad un punto in cui tutte le scelte sembrano belle, ma nessuno a tal punto da mettermi seriamente in moto per cercare un lavoro o tornare a studiare. Avevo perseguito una laurea in relazioni internazionali, pensando di darmi a quel tipo di carriera perche' era prestigiosa, faceva viaggiare, e la vedevo come una carriera dorata. Quando mi confrontai con la competizione, il duro lavoro, i sacrifici, dopo un po' mollai la presa, nonostante oltre alla laurea presi anche un master. Ho vissuto svariati anni all'estero per un lavoro in una organizzazione non lavorativa e purtroppo la frustrazione di essere precario, problemi relazionali coi colleghi, lontananza dalla famiglia, unico luogo che mi faceva sentire protetto e al sicuro, hanno fatto si' che fossero anni vissuti nella solitudine con pochi amici, quasi zero relazioni sentimentali, e un vizio nuovo, quello del bere. Insomma, non riuscivo a essere sereno. In seguito, sono tornato in Italia e ho vissuto un anno in una comunita' religiosa. Le religioni erano sempre state un mio interesse, fin dall'universita', ma le avevo accantonate proprio perche' non vedevo prospettive lavorative. Ora mi mangio le mani, perche' in realta' all'estero ho intravisto piu' possibilita' in questo settore, ma ancora una volta mi sento insicuro: sono sogni per cui combattere o semplicemente illusioni? Mi sto illudendo di trovare la mia strada nel mondo accademico o e' una proposta che la vita mi sta offrendo e incoraggiando a perseguire? Al di la' dell'oggetto e delle opzioni, come posso essere piu' sereno nei miei stessi confronti e affrontare la vita senza paura di ostacoli e sacrifici? Nel periodo in cui vivevo nella comunita' religiosa, sono stato sottoposto a test psicologici e visite di un dottore psicoanalista. Hanno riscontrato una personalita' da bambino adattato con spaccati di iperadattamento dovuti a una carenza di affetto da parte dei miei genitori, in particolari mia madre, che mi hanno reso insicuro ma anche esigente verso chi mi sta intorno. La psicologa mi descrisse come un lupo affamato e arrabiato e questo spiega i miei disagi relazionali vissuti anche in ambito lavorativo. Ora cosa posso fare per valutarmi piu' razionalmente e essere costante nelle decisioni da prendere?
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Psicologo, Psicoterapeuta attivo dal 2013 al 2017
Psicologo, Psicoterapeuta
Genitle Utente,
certo non è possibile dare una risposta precisa al suo quesito, che meriterebbe di essere approfondito.
Lei ha mai intrapreso un percorso psicoterapeutico?
qual'è stata la motivazione per il quale gli è stato somministrato un test? lo ha chiesto lei?
un caro saluto
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Dr.ssa Elisabetta Scolamacchia Psicologo, Psicoterapeuta 739 20 3
Gentile utente,
Credo che per superare la complessa situazione che, in fondo, lei ha scelto , avrebbe necessità di seguire un percorso terapeutico. Mi chiedo, tuttavia, se si senta motivato a questo. La motivazione, infatti, e' la condizione senza la quale non si raggiungono risultati. Quanto le interessa uscire dal suo disagio? Ovvio che la sua risposta non può essere che si, altrimenti non si sarebbe rivolto, pur con molti limiti, a un consulto on line. Ma...quanto è' disposto a mettere il suo impegno per realizzare alcuni dei suoi obiettivi? Ha accennato al fatto che beveva, vi ricorre ancora adesso? Se è' questo il caso, allora l'intervento diviene più complesso. Avverto anch' io rabbia e risentimento dietro le sue parole,per progetti che non si sono concretizzati , non perché lei non avesse le capacità, ma perché forse si aspettava un mondo lavorativo e relazionale più facile e meno competitivo. Beh, questo e' irrealistico, anzi le dirò che più la posta del lavoro in gioco e' alta, più la competizione sale. Insomma, nella vita tocca farsi largo molto spesso a gomitate, altrimenti si rischia di rimanere fuori, con tutto il carico di delusione e di rabbia connessi.
La invito, pertanto, a considerare una consulenza de visu. Ci faccia sapere.
Dott.ssa Elisabetta Scolamacchia
Psicologa ad ind. Clinico

Dr.ssa Elisabetta Scolamacchia
Psicologa. Psicoterapeuta. Analista Transazionale

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dopo
Attivo dal 2013 al 2013
Ex utente
Cerco di rispondere alle domande. Avevo seguito un periodo di 4 mesi di sedute da uno psicologo per un problema di elaborazione della mia omosessualita' quando avevo 23 anni. Si concluse perche' mi sentivo effettivamente meglio e piu' sereno nell'affrontare la mia vita e gli obiettivi che mi ero prefisso all'epoca, cioe' laurearmi. Quanto al test, io non conoscevo Berne o l'egogramma, ma nel periodo che trascorsi nella comunita' religiosa, io, come altri candidati alla vita religiosa, siamo stati scrupolosamente analizzati in ogni aspetto della nostra vita per vedere l'idoneita' alla vita religiosa stessa. In effetti, e qui veniamo all'ultimo punto, cercavo nella vita religiosa quella vita lavorativa e relazione piu' facile e meno competitiva di cui parla la Dott.ssa Scolamacchia. Quando mi accorsi che non era cosi', ma che le sfide che mi si prospettavano erano molto alte e allo stesso tempo non mi sentivo realmente felice, ho fatto dietrofront. Non bevo piu' come quella volta. Il mio bere era sociale, cioe' bevevo piu' drink della media quando uscivo con amici o conoscenti ai bar o discoteche, ma non ho mai bevuto a casa da solo. Ho forte bisogno di uscire da questa situazione, perche' alle volte mi sento in un vicolo cieco oppure in un momento dove non posso che andare avanti, e non tornare indietro ne' fermarmi.
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Dr.ssa Elisabetta Scolamacchia Psicologo, Psicoterapeuta 739 20 3
Gentile utente,
Comprendo il suo Travaglio interiore e la sua ricerca di un modo di vivere più consono a lei e ai suoi bisogni. Comprendo anche la lotta che ha sostenuto dentro di se', il conflitto interno e, credo, spesso lacerante. Penso anche che in lei si alternino desiderio di appartenenza -e la sua esperienza in comunità potrebbe avere anche questo significato- , di condivisione e contenimento, da una parte e, dall'altra, desiderio di esplorare e mettere a frutto le sue doti e le sue competenze. Lei si è' confrontato con la realtà altamente competitiva del lavoro, se ne è' spaventato o disgustato, quindi ha provato la vita religiosa che immaginava potesse darle protezione. Però non era felice, forse perché sentiva, dentro di se', che i suoi veri bisogni continuavano a rimanere insoddisfatti. Quando parla della sua esperienza con uno psicologo all'età di 23 anni, ne parla positivamente. Questo e' un segno positivo e sembra indicare che lei ha introspezione e motivazione, oltre che intelligenza, per affrontare un percorso psicoterapeutico. Le piaceva l'Analisi Transazionale? La trovava vicina al suo modo di pensare? A tale proposito, io le rinnovo l'invito a cogliere questo suo profondo disagio come opportunità per la ripresa di un cammino interiore che, sono certa, non tarderà a dare i suoi frutti.
Mi farà piacere sapere cosa pensa di fare.
Un affettuoso saluto.
Dott.ssa Elisabetta Scolamacchia
Psicologa ad ind. Clinico
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dopo
Attivo dal 2013 al 2013
Ex utente
Ha perfettamente ragione quando parla di conflitto interiore lacerante. Da questo punto di vista il peggio e' passato, nel senso che sono arrivato ad un primo risultato di elaborazione di sessualita', bisogni affettivi e fede (nella mia c'e' anche questo aspetto). La ricerca della vita religiosa era radicata fin dalla adolecenza. Ho deciso di esplorarla solo a 30 anni compiuti, probabilmente per le ragione che ha ben individuato, cioe' di ricerca di rifugio e di bisogno di appartenenza. In un certo senso, dopo aver sperimentato che anche nella vita religiosa ci si misura con dinamiche assolutamente uguali a quelle del mondo del lavoro, mi sono reso conto dell'errore, come mi sono reso conto che quel bisogno di appartenenza non poteva darmi le sicurezze che cercavo dentro di me. Lei mi chiede se mi piace l'AT. Dipende, nel senso che mi ha dato una chiave di lettura del mio comportamento e di chi mi sta di fronte, permettendomi di riconoscere quando un mio impulso e' dettato da rabbia o frustrazione o quando e' dettato da una scelta razionale. Mi ha permesso anche di distinguere la sfera razionale da quella irrazionale. Tuttavia, non e' sufficiente a farmi cambiare comportamento, a essere usato come strumento attivo. Alle volte e' difficile dominare la rabbia, o la paura. Per una mia sensibilita' personale sarei piu' vicino alle teorie di Jung. Quello che mi scoraggia realmente e' che io ho provato a sgomitare, a "giocare duro", ma ho fallito e la cosa mi faceva stare male perche' non mi sentivo "me stesso". Ecco perche' ora ho timore di tornare "nell'arena dei lupi e dei leoni".
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Dr.ssa Elisabetta Scolamacchia Psicologo, Psicoterapeuta 739 20 3
Anch'io avevo, in prima battuta, pensato a Jung e al concetto di individuazione. Oltretutto, la psicologia analitica e' aperta alla dimensione della spiritualità e capisco perché pensa che potrebbe essere adeguata. Potrebbe cercare dalle sue parti qualche professionista che possa fare una valutazione e indirizzarla in tal senso. Lei mi sembra una persona molto sensibile, oltre che preparata, e queste due caratteristiche, che costituiscono una grande ricchezza, possono, paradossalmente, tramutarsi in ostacoli se non possono essere condivise in un ambiente non competitivo, ma collaborativo, amorevole e non giudicante. Tutta la conoscenza del mondo serve poco se non può essere con-divisa nella relazione con gli altri. Rispetto a quello che lei dice e alla sua delusione per aver trovato le stesse dinamiche anche in un contesto religioso, la comprendo ma, purtroppo, la realtà dell'uomo e' uguale in tutti i contesti a prescindere. Quello che si può, e a mio avviso, si deve fare e', detto in termini volutamente poco tecnici, " non buttare il bambino con l'acqua calda" e mantenere la speranza di poter condividere qualcosa di prezioso per lei solo con poche persone in sintonia con il suo mondo interiore. Difficile? Si, ma possibile. E, a proposito della speranza, oltre Jung, mi sento di consigliarle anche qualche lettura di Viktor Frankl il quale, sopravvissuto ai campi di concentramento, ha sempre tenuto fede a quello che Bergson ha chiamato "elan vital". Anche in lui e' presente la dimensione spirituale.
Davvero un caro saluto!
Dott.Elisabetta Scolamacchia
Psicologa ad ind. Clinico
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Psicologo, Psicoterapeuta attivo dal 2013 al 2017
Psicologo, Psicoterapeuta
Gentile Utente,
mi dispiace risponderle solo ora, ma ho risposto a lei per prima e magari riesco a chiudere il cerchio.
La competizione è una condizione che ci mette a confronto con l'Altro e che segna una separazione tra Io e non Io, è probabile che il bisogno che sente di rifugiarsi nella comunità sia un bisogno di allontanarsi da questa separazione. La separazione che si presenta nel momento in cui il bambino diventa adulto e deve affrontare la foresta, la giungla, ma ha anche tanta paura.
La Spiritualità è un bel canale per entrare nella propria anima e può in alcuni casi dare il coraggio di vivere e affrontare le paure ma anche la bellezza della giungla.
Anche Pinocchio incontra la volpe e il gatto ma fa parte del cammino e poi tutto si risolve.
Ci tenga aggiornati
Un caro saluto
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