Come giustificare le cicatrici dei tagli con la gente?

Gentili Dottori, sono in cura da una psicologa e da uno psichiatra per depressione maggiore e disturbo ossessivo compulsivo. Mi è capitato già diverse volte in passato di tagliarmi volontariamente con un coltello sugli avambracci, sui polpacci e sulle caviglie e sulle braccia. Non tanto sulle gambe grazie ai peli, ma nelle braccia si vedono abbastanza le cicatrici. Ho sempre avuto serissimi problemi relazionali in tutto il periodo della scuola dell'obbligo, ho 21 anni e a settembre inizierò l'università, dove tenerò a riuscire a relazionarmi con gli altri e avere risultati migliori di adesso (anche perchè voglio migliorare!).
Mi chiedevo: come giusticare con gli altri le cicatrici visibili? Penso che sia chiaro e un pò palese che vedere numerose cicatrici nelle braccia di una persona, possa mettere un pò di paletti nell'altra persona nel fatto di iniziare una normale e sana amicizia con me.
Non tanto per le preoccupazioni di riuscire a stabilire un amicizia valida e solida con un altra persona, ma volevo comunque chiedervi cosa consigliate o dite ai vostri pazienti se vi hanno già proposto un problema del genere.

Grazie mille!
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Dr. Roberto Callina Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 1.3k 32 6
Caro ragazzo,

ho riletto anche i suoi precedenti consulti e, sembra, che anche questo suo quesito rientri nelle medesime dinamiche che la caratterizzano.

Cosa teme che potrebbero immaginare i suoi coetanei vedendo le sue cicatrici?
Teme che possano giudicarla?
Che possano emarginarla?

Io penso che dipende solo da lei come affrontare la situazione; se lei riesce a porsi come *individuo*, come persona nella sua interezza, nessuno farà caso alle cicatrici e, se qualcuno dovesse farle domande premature, credo che abbia il diritto di rispondere come crede, magari buttandola sullo scherzo, sviando la domanda con una battuta...

Se le domande dovessero arrivare da persone con cui ritiene di aver, invece, raggiunto un buon livello di confidenza, di "intimità emotiva", sarà lei a decidere se e come aprirsi dicendo come realmente stanno le cose.

Ci sono persone che portano segni sul corpo, e non parlo solo di tagli, assai evidenti... eppure li portano con molta dignità, senza vergogna, è come se li utilizzassero per suscitare la curiosità altrui.

Non questo deve essere necessariamente il suo caso; ognuno di noi "costruisce il proprio personaggio" come meglio riesce. Sta a lei costruire il suo personaggio che sia in sintonia con il suo sentire, con i suoi sentimenti, con la sua storia di vita e che possa suscitare anche l'interesse degli altri.

Ha fatto questa domanda alla sua curante?

Un caro saluto

Dr. Roberto Callina - Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Specialista in psicoterapia dinamica - Milano
www.robertocallina.com

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dopo
Attivo dal 2012 al 2013
Ex utente
Si, ho timore che gli altri vedendole possano subito farsi dei pregiudizi su di me (e comunque anche Lei lo penserebbe, se si togliesse "l'abito" dello psicologo). Vedere una persona con diverse cicatrici sulle braccia (e io ne ho parecchie e si vedono, avendo non molti peli sulle braccia) non è certamente una cosa piacevole e sana.
E' da circa 5 mesi che mi procuro volontariamente ferite sugli avambracci, polsi e gambe con un coltello o lamette con una frequenza all'inizio di circa tre volte al giorno tutti i giorni, per poi arrivare alla "frequenza" più recente di circa 15 tagli alla settimana.

Sinceramente non ho ancora avuto coraggio di confessarlo alla mia psicologa e allo psichiatra da cui sto andando (sono pure in terapia con 60 mg di Paroxetina e 2 mg di Risperidone) e nemmeno i miei genitori lo sanno (mi taglio da dicembre 2012, mese in cui ho deciso di rivolgermi a una psicologa e allo psichiatra) che mi taglio, ma l'estate è ormai alle porte quindi lo scopriranno evidentemente tutti per forza di cose dato che si starà in t-shirt e pantaloncini.
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Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo 17.4k 317 528
Gentile Utente,
Più che il possibile giudizio della gente, io sposterei l' attenzione sul suo percorso di cura.
Cosa le impedisce di parlare con la sua psicologa?
Crede non potrebbe capire?
Giudicare?

Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it

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Dr. Roberto Callina Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 1.3k 32 6
Caro ragazzo,

oltre alle corrette domande della collega, dr.ssa Randone, vorrei provare a mostrarle una prospettiva differente rispetto al suo timore.

<<Vedere una persona con diverse cicatrici sulle braccia (e io ne ho parecchie e si vedono, avendo non molti peli sulle braccia) non è certamente una cosa piacevole e sana.>>

Non crede che possa, per esempio, suscitare curiosità e non, necessariamente, giudizio e sensazioni spiacevoli e non sane?

Questa è un'altra ipotesi ma potrebbero essercene altre ancora.

Dipende solo dal grado di sensibilità individuale...

Ne parli con la sua curante; questo è senza dubbio il primo passo per provare ad affrontare l'argomento in un contesto protetto; il setting terapeutico dovrebbe servire anche come "banco di prova" per misurarsi con l'altro sperimentando nuove modalità relazionali.

Un caro saluto
[#5]
dopo
Attivo dal 2012 al 2013
Ex utente
Grazie mille, ho iniziato a parlare di questo con la mia psicologa senza problemi... Se siete disponibili, avrei un'altra cosa da chiedervi (che tendenzialmente è il problema che più mi affligge e sul perchè ho deciso di andare dalla psicologa).


Le uniche persone che vedo sono i miei genitori, la mia psicologa e lo psichiatra, non ho nessun amico, mai stato fidanzato (mi vedo perlopiù sopratutto brutto, e questo è sempre stato un mio grandissimo scoglio nel rapportarmi con i miei coetanei maschi e tentare di instaurare un amicizia o minimo approccio con una ragazza).
A parte la possibilità di poter migliorare la mia condizione clinica, volevo chiedervi: è possibile vivere nella solitudine, senza amici e senza aver mai provato l'esperienza di essere stato fidanzato almeno una volta nella vita, senza andare fuori di testa e soffrire? Considerate che io sto soffrendo molto questa solitudine, e vedere quando esco di casa ragazzi con amici e coppie di fidanzati, per me è sempre un pugnale nello stomaco.


Ultimo aggiornamento: dalle ultime sedute con la psicologa ho ben capito che per me che soffro per questa mancanza di amici, amiche e CERTEZZA di non fidanzarmi nemmeno una volta nella mia vita, non è possibile riuscire a vivere nella solitudine serenamente, come giustamente dice la maggior parte delle persone.

Ok, quindi potrei sfruttare la prossima occasione che avrò (università) per fare amicizie e iniziare a orientarmi verso la socialità... Ma questa cosa mi ha messo un'angoscia assurda, quella di espormi alla socialità non tanto per il timore degli altri, di cosa possono pensare di me, di non essere all'altezza, di non sapere di cosa parlare... Per questi problemi basta dedicarci giusto 2 o 3 sedute e via, si risolve.
Il problema che mi angoscia molto è: e se non ce la farò? E se nessuno mi vorrà?

E dato che ho questo pensiero, è un attimo cedere al mio lato oscuro interiore, che mi fa dire "massì sto da solo, se non mi espongo alla socialità e al fare amicizie almeno non vengo mai a conoscenza di cos'è l'amicizia e continuo a credere che tutte le persone che sono in grado di fare amicizie vuol dire che sono nate con qualcosa che io non ho, tipo qualche gene speciale (ovvio che sto scherzando, però era per esprimere il mio modo di pensare per riuscire a convivere serenamente senza amici... E regge abbastanza bene devo dire, quando esco e vedo ragazzi insieme ad amici, amiche o fidanzata se penso al mio "ragionamento", il senso di mancanza viene seppellito quasi al 100%).
Reggerà in futuro questo ragionamento seppur sono conscio del fatto che le cose che uno ha se le crea da solo e di propria volontà? Cosa che come ho detto, viene seppellita al 100% pensando al fatto che magari io sono nato senza la capacità di poter fare amicizie mentre gli altri si
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Dr. Roberto Callina Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 1.3k 32 6
Caro ragazzo,

l'uomo è un'animale sociale; questo significa che la socialità è un bisogno che risiede in ognuno di noi e che, filogeneticamente, è arrivata ai nostri giorni in quanto utile e necessaria alla sopravvivenza della specie.

Ritengo, quindi, che sia difficile esimersi da questo fondamentale compito della vita senza una sofferenza interiore, anche profonda.

Probabilmente il suo compensare il senso di mancanza di cui parla con il ragionamento, è una modalità difensiva che le consente di allontanare da sé il dolore che le provoca la mancanza stessa.

<<Il problema che mi angoscia molto è: e se non ce la farò? E se nessuno mi vorrà?>>
Per quanto riguarda questo aspetto, non crede che, invece, possa essere relativo proprio alla tematica del giudizio che lei esclude?

Da qui sono solo ipotesi, ma credo che sarebbe opportuno, anche in questo caso, parlarne apertamente con la sua curante.

In merito al suo precedente dubbio relativo ai tagli, che riscontro ha avuto dalla sua psicologa?
Avete trovato una soluzione soddisfacente?

Un caro saluto
[#7]
dopo
Attivo dal 2012 al 2013
Ex utente
Gentili Dottori se siete disponibili avrei da chiedervi pure un vostro parere su una cosa che esporrò alla mia psicologa la prossima seduta..
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Dr. Roberto Callina Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 1.3k 32 6
Direi che il primo passo da fare sarebbe porci il quesito :-), tenendo conto, comunque, che il suo riferimento dovrà essere sempre la sua curante, onde evitare sovrapposizioni che potrebbero generarle ulteriore confusione.

Un caro saluto

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Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo 17.4k 317 528
Gentile Utente,
se chiede a noi e poi alla psicologa, si fa confusione, sarebbe meglio che ne parlasse solo con lei.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372 182
>>> Il problema che mi angoscia molto è: e se non ce la farò? E se nessuno mi vorrà?
>>>

È proprio questo che lei ha bisogno di sperimentare, per guarire: il rifiuto.

Chi soffre d'ansia sociale è di solito una persona ipersensibile e fragile, che tenta di schermarsi in tutti i modi dalle situazioni che gli provocano dolore. Ma così facendo, credendo di mettersi al sicuro, si mette in trappola sempre di più, perché tutto ciò che protegge, limita.

Il tagliarsi può essere un modo apparentemente paradossale per soffrire di meno, perché il dolore fisico attutisce quello emotivo:

http://www.giuseppesantonocito.it/news.htm?m=274

L'unico modo veloce e sicuro per sbloccare la paura del rifiuto è farsi rifiutare apposta. In modo graduale, certo, senza soffrire più del necessario, ma quello è il modo.

Così come gli ospiti della famiglia Borgia si assuefacevano al loro veleno, prendendone piccole dosi, allo stesso modo dovrà fare lei.

Ne parli con i suoi curanti.

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com