La mia terapeuta, un rapporto

Gentile Dottore/ssa, volevo esporle un mio problema che sta intercorrendo da tempo nella mia attuale terapia. Ho un rapporto di dipendenza affettiva con la mia terapeuta, un rapporto di dipendenza molto distruttivo, o usando le parole della mia psico: mortifero. 3 anni fa quando entrai in terapia per l'8 volta ero molto scoraggiata, avevo avuto vari eccessi psicotici, violente crisi fisiche paragonabili alle crisi epilettiche, frequenti episodi di autolesionismo, alcolismo e tentativi di suicidio. Non ho sopportato varie situazioni di abbandono o di allontanamento, mi son sentita ogni volta devastata da queste esperienze, come se si strappasse ogni volta qualcosa nel mio se. Quando ho deciso di tornare in terapia ero con un piede nella fossa, non avrei potuto resistere senza aiuto ancora a lungo (lasciai il mio precedente psicologo nel 2009) e andai da questa persona. Dopo circa 6 mesi ebbi una violentissima crisi in autobus, chiamai una mia amica e le dissi che ero terrorizzata per la mia terapia, temevo che la psico volesse interrompere la terapia (pensiero ricorrente che temo con tutte le mie forze), sebbene non ci fosse alcun motivo. Pochi mesi dopo in terapia lei mi comunicò della sua pausa estiva e io ho reagito molto male: ho avuto una crisi depressiva pesantissima, ho smesso di alimentarmi per due mesi e all'ultima seduta prima della pausa mi son presentata in terapia ubriaca e armata di coltellino e mi son tagliata durante la seduta. La psico ha reagito con dolore riuscendo a strapparmelo. Quando è tornata ho iniziato a percepire qualcosa di strano: non volevo ci fosse, ma al contempo non me ne volevo mai andare da casa sua (in alcune occasioni mi son letteralmente rifiutata di andarmene sedendomi per terra in preda a qualche delirio o non so cosa, nell'episodio peggiore son rimasta li 2 ore urlando il suo nome con lei accanto). L'anno successivo non è accaduto nulla di che, come se avessi congelato gli accadimenti, finché il mese scorso non ho avuto un crollo peggiore di quello di due anni fa. Oggi mi ha detto che non c'è niente di male che io l'ami, che comprende il mio terrore che mi abbandoni, che però è infondato, non lo farà mai a meno che non muoia o non ci siano eventi particolarmente gravi. La volta scorsa le ho detto che per me lei è troppo importante e nel dirlo mi son fatta male, lei si è arrabbiata e io mi son sentita lacerare, non ho mangiato per 4 giorni. Oggi le ho detto cosa ho paura, che se lei mi lascia io non so come potrò fare, la mia vita dipende dalla terapia, dipende da lei. Nel mentre ha avuto un momento di sconforto, è scoppiata a piangere. Io mi son trattenuta a fatica, stavo per esplodere. Ho tanta paura. Non riesco a far a meno di pensare a lei, di parlarne, è sempre nei miei pensieri, nei miei sogni. Mi sento consumare. La prego mi dia qualche consiglio!
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Dr. Giuseppe Del Signore Psicologo, Psicoterapeuta 4.6k 51
Gentile Utente,

prima di riflettere sulla dipendenza affettiva, sarebbe il caso di indagare le sue reazioni emotive che sono quantomeno eccessive e meritano una valutazione psichiatrica approfondita.

Le cure farmacologiche sono importanti in questi casi perché le permettono, abbassando l'ansia e le emozioni negative correlate, di costruire in terapia un pensiero utile a decifrare i suoi stati d'animo e evitare questi "agiti distruttivi".

Sta facendo una psicoterapia in uno studio privato?
Ha mai seguito una cura farmacologica?
Che diagnosi è stata fatta?







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dopo
Utente
Utente
Si, faccio terapia in uno studiò privato.ho avuto precedentemente altre 8 terapie che ho interrotto. La terapia che sto seguendo attualmente è sistemica-relazionale.
Ho seguito una cura farmacologica anni fa per un eccesso psicotico (ho aggredito una mia insegnante a seguito di un accumulo di stress e angoscia), interrotta dopo 2 anni poiché mi provocava stati di trance, autolesionismo e stati depressivi (assumevo depakin e tavor).
Non mi fu fatta alcuna diagnosi specifica, mi fu solo detto che ho un grave disturbo psicosomatico e forti disturbi del tono dell'umore. La mia psicoterapeuta non vuole assuma farmaci, ritiene che posso imparare a gestire i miei stati, dice che ho fatto già dei progressi rispetto altre cose, tuttavia è d'accordo con il mio gastroenterologo (rivoltami a lui l'anno scorso per forti disturbi intestinali provocati dall'angoscia) se assumessi in caso di bisogno lexotan. Io non voglio assumere niente, invece.
Son d'accordo con la mia psico che posso imparare, ma in questo momento specifico ho timore di subire un crollo peggiore. Anche lei si dimostra preoccupata. Ieri durante la seduta le ho detto che rispetto le altre terapie cui provavo forte odio, in questa provo qualcos'altro oltre l'odio. Lei mi ha risposto che non devo vergognarmi o sentirmi stupida nel pronunciare la parola, ma che c'è da identificare cosa vedo nella relazione terapeutica che si sta instaurando. Mi ha anche detto che l'amore verso il proprio terapeuta è una cosa da non allontanare, che è qualcosa che va coltivato, ma gestito. Io son scoppiata a piangere, in seguito ha avuto un momento di commozione anche lei. Ho avuto questo genere di esperienze anche precedentemente, nel caso più grave mi son accasata da una mia insegnante per un anno e mezzo, in un altro ancora ho smesso di alimentarmi per mesi perdendo più di 10 kg.
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Dr. Giuseppe Del Signore Psicologo, Psicoterapeuta 4.6k 51
>>..nel caso più grave mi son accasata da una mia insegnante per un anno e mezzo..<<
cosa intende dire?

>>..ma in questo momento specifico ho timore di subire un crollo peggiore. Anche lei si dimostra preoccupata.<<
se lei ha riscontrato dei viraggi psicotici i suoi timori sono fondati, ma torniamo sempre al trattamento psichiatrico.

>>La mia psicoterapeuta non vuole assuma farmaci, ritiene che posso imparare a gestire i miei stati..<<
purtroppo i fatti che lei ha riportato sono alquanto gravi. Mi riferisco a quando scrive: "ho smesso di alimentarmi per due mesi e all'ultima seduta prima della pausa mi son presentata in terapia ubriaca e armata di coltellino e mi son tagliata durante la seduta. La psico ha reagito con dolore riuscendo a strapparmelo."

Oppure quando scrive: "..in alcune occasioni mi son letteralmente rifiutata di andarmene sedendomi per terra in preda a qualche delirio o non so cosa, nell'episodio peggiore son rimasta li 2 ore urlando il suo nome con lei accanto.."

Questi passaggi all'atto che lei riporta, difficilmente possono essere gestiti in psicoterapia e soprattutto senza il supporto farmacologico.

Come mai non vuole prendere farmaci?







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Dr. Nunzia Spiezio Psicologo 531 20 3
Cara Ragazza,
sono d'accordo col dott. del Signore: la sua non sembra una situazione facilemte arginabile con la sola psicoterapia. Credo che una collaborazione della sua psicoterapeuta con un buon psichiatra metterà entrambe più tranquille rispetto ai suoi agìti.
L'attaccamento morboso, tra l'altro anche fortemente ambivalente, che sente per la terapeuta, lo rivela lei stessa, non è che un riversamento di attaccamenti morbosi, che aveva già avuto in passato di volta in volta con persone diverse. E' probabile sia una sua modalità di attaccamento disorganizzato imprintata da bambina e oramai cristallizzata perchè cresciuta insieme a lei.
Come mai con i precedenti psicoterapeuti ha interrotto la terapia? Cosa prova ora per loro?

Dr.ssa Nunzia Spiezio
Psicologa
Avellino

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Dr. Magda Muscarà Fregonese Psicologo, Psicoterapeuta 3.8k 149 11
Cara Ragazza, con i Colleghi con cui condivido del tutto il punto di vista, le consiglio di accettare un leggero supporto farmacologico prescritto da uno psichiatra, questo si fa spesso per migliorare il clima relazionale e un proficuo rapporto col terapeuta, non va visto come una sconfitta, ma come una tappa..Potrà così superare questa sua modalità di attaccamento che viene da lontano.
Cari auguri

MAGDA MUSCARA FREGONESE
Psicologo, Psicoterapeuta psicodinamico per problemi familiari, adolescenza, depressione - magda_fregonese@libero.it

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dopo
Utente
Utente
Gentile dottor de signore, la ringrazio anzitutto per le sue risposte. Le spiegherò meglio quanto ho scritto: rispetto la sua prima domanda è esattamente ciò che ho detto: mi affezionai a una mia professoressa delle superiori e ci passavo in compagnia tutte le mie giornate fino a vivere a casa sua, condividendo la sua famiglia e le sue abitudini. Questa cosa rimase tra noi per un lungo periodo, poi questa professoressa ebbe dei problemi personali e la situazione si estese a tutta la scuola con la conseguenza di un suo licenziamento. Io mi spaventai rispetto i suoi problemi e l'ammontare dei miei che erano già estremamente gravi, ebbi un nuovo,decorso decorso depressivo e non potendo gestire più la situazione ho concluso questa "amicizia", subendo anche un paio di bocciature.
Rispetto i farmaci, come ho già detto, li ho già assunti, da piccola son stata ricoverata dai 9 fino ai 12 in neuropsichiatria infantile. La mia psico conosce uno psichiatra, ma sapendo che questa strada ha portato solo degli ulteriori danni non vuole venga ancora intrapresa, e concordo con lei. Preferirei morire che prendere ancora quello schifo di medicine! Mia madre a volte a tradimento tira fuori il lexotan e per me è come se mi desse arsenico!
Le precedenti terapie si sono concluse per volere dei miei genitori o per volere mio, rispetto a quest'ultimo poiché ritenevo che a loro non interessasse nulla di me, provavo e provo odio verso di loro. A volte mi capita di vedere il mio ex terapeuta e mi sento gonfia di rabbia. Vorrei tanto dirgli come il suo caro amico psichiatra e lui mi hanno peggiorato! Prima che andassi da loro non avevo ancora sviluppato una serie di sintomi, ad esempio le allucinazioni, con loro due mi son trovata terrorizzata da questi eventi per anni, sono sparite grazie alla mia psico!
Ieri le dissi che per loro provo odio, tanto odio, mentre rispetto a lei provo anche... "Amore"... Lei è la prima terapeuta donna che ho, tutti gli altri psicologi erano maschi. Ho voluto una donna alla fine poiché non potevo portare avanti nessuna terapia con un uomo, ho troppa paura di loro. Questo perché ho avuto molte esperienze negative per mano di uomini, sia in famiglia, sia a scuola, che in pubblico.
Attualmente, ciò che temo di più è che lei fra un mese se ne andrà via in vacanza e tornerà a settembre, mi sento già persa senza di lei. Mi viene da piangere, mi sento sola... Lei mi ha detto oggi:"è come se morissi?" Io le ho risposto che non potrei sopportare una cosa del genere, piuttosto preferirei morire per prima che assistere alla sua dipartita, e se lei fuggisse la inseguirei. Ha risposto a questo dicendomi:"la separazione..."
Perché un terapeuta non può avvicinarsi a un suo paziente? Non può cedere per un momento il suo ruolo? Ho bisogno di lei, davvero tanto.
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Dr. Nunzia Spiezio Psicologo 531 20 3
Cara ragazza,

"Perché un terapeuta non può avvicinarsi a un suo paziente? Non può cedere per un momento il suo ruolo?"
credo che la collega le abbia già spiegato il perchè e, anzi, credo che lei l'abbia indotta, con i suoi atteggiamenti ambivalenti ed autolesionisti, a derogare fin troppo dal suo ruolo.
Lei dice di amare ma il suo modo di amare per gli altri diventa difficile da gestire e poi dice di odiare chi, come gli altri psicoterapeuti, non l'hanno amata come lei voleva che l'amassero.
Sembra che lei riesca ad essere soddisfatta di come viene amata solo se da questo derivi un licenziamento, un accasamento per anni in casa altrui, uno stravolgimento insomma della vita dell'altro al di là di ogni possibile ragionevolezza. Come vive in casa cara ragazza? i rapporti con la sua famiglia e sua madre che ritiene di darle il medicinale di nascosto? ma la farmacoterapia è un percorso che si decide in piena coscienza. Sia serena in tal senso in quanto, una terapia giustamente dosata in base alle caratteristiche del paziente le può portare solo benefici. Ma deve, appunto, collaborare e permettere al collega psichiatra di ben attestare il dosaggio. Come le diceva la collega essa non è una sconfitta ma una tappa. Una tappa dalla quale successivamente non è detto non si possa gradualmente regredire perchè somministrata pro tempore in attesa di remissione di alcuni segni e sintomi.
Ci rifletta
Le faccio tanti auguri.
[#8]
dopo
Utente
Utente
Gentile dott.ssa Spiezio, si, ha ragione che non so gestire normalmente gli affetti rispetto gli altri. va tutto bene finchè c'è una semplice amicizia, ma appena l'amicizia diventa un pò più importante mi scatta questo malessere. è una cosa automatica che non riesco a gestire.
l'anno scorso, ad esempio, che una mia cara amica venne a trovarmi, appena mi comunicò che tale giorno sarebbe tornata a casa... avevamo concordato per circa una settimana, ma il biglietto di ritorno l'avrebbe fatto insieme a me... sono esplosa in un pianto convulso in cui lei non solo si è sentita impotente di vedermi così, ma temeva di aver sbagliato qualcosa. io le dissi che stavo già male da giorni, che non potevo sopportare se ne andasse. lei mi disse che presto sarei andata a trovarla a casa sua (cosa che ho fatto contro ogni prognostico - lei vive a 500 km e io non ho mai fatto tanta strada da sola, ma pur di andare da lei mi son cuccata 5 ore di treno). inutile dire che quando ho dovuto partire ho reagito male nuovamente. la mia psico si dimostrò preoccupata poichè non volevo più andare in terapia, preferivo stare a casa a parlare con la mia amica al telefono, ma mi ha scosso arrivando anche a a chiamarmi al cellulare per sapere poichè alcune sedute le avevo saltate senza avvisarla.
per quanto concernono gli altri terapeuti, come dire, quando tante persone (specialmente uomini) ti fanno soffrire, ti hanno picchiata, o molestata, o insultata diventa difficile distinguere chi da cosa. io andai da questo psico piuttosto che quell'altro perchè in quel momento i miei avevano trovato questa persona e decisi di ritentare, trovandomi spesso in una condizione di rabbia e frustrazione. non mi sentivo mai abbastanza a mio agio, provando ansia e angoscia rispetto un transfert che tendeva più nel senso di "ma tu hai veramente voglia di ascoltarmi o mi prendi in giro?" e che ci voglia credere o no, purtroppo molti mi hanno dato la fortissima impressione che mi stessero prendendo in giro invece di voler essermi d'aiuto. gran parte di me non è mai emersa, così come gran parte dei miei contenuti nelle precedenti terapie. erano destinate a concludersi. a me ha fatto più male che si siano concluse proprio per menefreghismo, non per incompetenza.

a casa come vivo? ho vissuto in un appartamento al centro di padova per 4 anni, ma ogni fine settimana tornavo dai miei. a marzo circa abbiamo interrotto il contratto per problemi sia di salute, sia perchè i miei genitori mi stanno comprando casa, sempre a padova, per responsabilizzarmi un po'. perciò da marzo fino a ottobre circa sono fissa dai miei genitori. questo tornare qui la mia psico lo vide come qualcosa di molto negativo, si dimostrò particolarmente preoccupata quando glielo dissi, in quanto la mia vita familiare è molto particolare, a cui ho tentato di sfuggirci spesso sia quando entrai a casa di questa insegnante, sia andandomene a padova per studio (sono al 3 anno di psicologia), sia quando mi accasai nella famiglia del mio ex ragazzo da bambina.
mio padre quando ero bambina fino alla tarda adolescenza usava spesso picchiarmi ed offendermi, mia madre tentò di gestire i miei problemi (ho avuto problemi di salute fin dalla nascita restando 20 giorni in incubatrice e subendo nel corso della mia vita due operazioni: una al cuore a 5 anni, una all'intestino a 19. da piccola ho avuto numerosi ricoveri in ospedale, mi sapeva a volte più casa l'ambiente ospedaliero che il mio. inoltre a 1 anno mia madre ha notato che avevo dei violenti guizzi emotivi che son peggiorati nel corso del tempo. a 5 anni mi fu quindi diagnosticata l'adhd, ciò ha significato psicologi, neuropsichiatria infantile e, talvolta, farmaci. ero completamente incontrollabile e mia madre, gli insegnanti di scuola o di sostegno non riuscivano a gestirmi, ma per me significava poco, mi bastava solo scatenare la mia energia da qualche parte).
il rapporto con mia madre è quello più significativo che ho, è molto disorganizzato poichè fin da piccola lei spesso c'era, spesso non c'era, e quando era presente assumeva dei comportamenti, e quando mancava a volte ero contenta non ci fosse, altre volte invece stavo ore ad aspettarla o a cercarla. di recente, ad esempio, circa 6 mesi fa che lei non mi avvisò che sarebbe andata a venezia per l'intera giornata ebbi un crollo, tentai di mettermi in contatto con lei più volte, ma senza successo, quando ci riuscìì le scaricai addosso tutta la mia angoscia e decisi di raggiungerla saltando i miei impegni.
nei momenti di sua assenza o di sua presenza poco felice, andavo in cerca di qualche "surrogato" che potesse raccogliere le mie attenzioni. prassi che automaticamente accade tutt'oggi, e credo stia succedendo ora con la mia psico.

rispetto il farmaco che mia madre mi ha più volte dato senza dirmi che cosa fosse, è successo per tentare di calmare i miei stati d'ira o cmq le mie esplosioni emotive dicendomi:"toh, prendi!" se per lei non è nascondere... ora a volte lo rifà: tira fuori la medicina, la prepara e mi dice che non mi farà niente, che mi tranquilizzerà e basta, che lo assume anche lei. ma sono molto restia. son stata costretta l'anno scorso dopo circa 2 settimane di mancanza di sonno a rivolgermi al medico e mi fu dato un potente sedativo che assunsi, senza comunicarlo alla mia psico, per alcuni giorni rincintrullendomi al massimo. la mia psico reagì male poichè le nascosi una cosa così importante e avrebbe preferito ne avessimo discusso prima che io decidessi di rivolgermi al medico. sebbene fosse evidente la mia stanchezza non le dissi praticamente nulla rispetto quanto mi stava succedendo. mi disse che non mi avrebbe detto di non assumerlo, poichè vedeva che non stavo bene, ma almeno che se ne parlasse.
io capisco il suo discorso rispetto la cura farmacologica, ma non la prenderò in seria considerazione poichè è stata una cosa già provata che ha dato risultati poco felici. secondo il mio modesto parere il farmaco non è per tutti, non si dimostra sempre utile: a me l'acido valproico e il tavor hanno bruciato la memoria a breve e certo non desidero mi si bruci qualcos'altro...
il mio gastroenterologo mi ha detto che assumere al bisogno il lexotan quando sto troppo male evita che tale energia venga poi riassunta dai miei organi, con conseguenze peggiori. ha anche detto che potrebbe essere necessaria l'assunzione di un antidepressivo a basso dosaggio per le medesime ragioni cui dette. sto cercando di abituarmi all'idea che forse dovrei, almeno nei momenti di più grande sconforto, assumerli, ma la mia psico mi dice che sarebbe invece più terapeutico che liberassi la mia energia invece che la frenassi, fino a un certo punto almeno, che possiamo trovare dei mezzi alternativi al farmi del male per gestire le mie emozioni e i miei stati di angoscia. circa 2 mesi fa, ad esempio, mi son sentita male in seduta e volevo che la psico venisse vicino a me, lei non l'ha fatto dicendomi che la stanza di terapia era un'altra e di tornare li (mi ero seduta davanti la porta di ingresso), dopo tanto son rientrata, mi son seduta per terra davanti a lei raccogliendo la mia testa tra le cosce. tentò di parlarmi, ma non la acoltavo, così prese in mano un libro e mi lesse una favola. questo suo gesto dopo 2 mesi è ancora vivo in me, come se avesse fatto qualcosa di incredibile.
probabilmente molte cose che ho detto le risulteranno stupide, e creda, per come reagisco mi sento molto spesso stupida pure io.
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Dr. Nunzia Spiezio Psicologo 531 20 3
Cara ragazza,
Grazie per la lunga lettera che ci ha scritto. Non deve essere stato facile. Immagino che abbia sofferto mentre ricordava? o forse, oramai si è, come dire, talmente distaccata da tutto ciò che era e che è tanto da sembrarle di stare raccontando la vita di un altro?vede, l'impressione che dà leggerla è che lei "sappia" di avere dei problemi ma non "senta" di averli e ciò è un passaggio fondamentale per dare una spinta motivazionale alla terapia.
Ciò che lei mi racconta non mi appare affatto stupido ma di triste sì.
Lei ha sofferto moltissimo e molto probabilmente i riverberi sul suo modo di vedere e "sentire" il mondo si sono visti e si stanno vedendo. La sua psicoterapeuta le ha mai prospettato una terapia familiare? ritengo che mamma faccia parte del problema e, come tale, dovrebbe essere ascoltata insieme a lei magari presso un'altra psicoterapeuta.
Io le auguro di riuscire a trovare la strada giusta affinchè ritrovi la serenità che merita. E' intelligente e sensibile. Le potenzialità per riuscirci le ha tutte.
Le faccio tanti auguri.
[#10]
dopo
Utente
Utente
cara dott.ssa Spiezio, magari mi ci fossi distaccata a certe cose, se lo fossi probabilmente vivrei meglio, ma non è così, ogni cosa che ho riportato mi si attacca addosso come una sanguisuga al sangue della sua vittima. a volte mi capita si raccontare alcune cose in uno stato di depersonalizzazione, in terapia per un periodo mi è capitato spesso, sembravo la spettatrice di me stessa, non riuscivo a scaricare l'emozione relativa l'evento che stavamo affrontando e ad oggi ogni tanto ricapita questa cosa: racconto in terapia qualcosa, ma poi l'emozione mi si scaturisce alla conclusione della seduta.
si, è probabile che da fuori appaio come una che sa di aver qualcosa che non va e non "voglia" sbarazzarsi del suddetto disagio, ma usando le parole della mia psico:"mi son "affezionata" talmente tanto al mio malessere da faticare a lasciarlo", in fondo è una parte di me che mi accompagna da quanto vivo, non da ieri. è certamente l'ostacolo più difficile che stiamo affrontando e come ho detto di recente alla mia dottoressa:"se anche il mio disturbo se ne andasse, la paura più grande rispetto al dopo - disturbo è forse più viva del disturbo stesso".
rispetto la terapia famigliare, si, essendo la mia psico una sistemica relazionale ha proposto e organizzato alcune sedute, ma per me son state molto difficili, e per alcuni memebri della mia famiglia inutili e noiose (mio padre è arrivato a dire alla psico che il tempo cui era li era tempo perso). inutile dire che dopo ulteriori frasi di questo genere io non ho più voluto che si proseguisse su questa strada, ho reagito molto male e ho pregato la mia psicologa di smettere di chiedermi di fare questo immane sacrificio. al massimo a volte viene mia madre con me, ma con tutti mi è troppo faticoso.
grazie per il suo supporto