Ossessione amorosa / dipendenza affettiva

Gentilissimi,

innanzi tutto permettetemi di ringraziarvi per il servizio che offrite e di complimentarvi con voi.

Andrò ora ad esporre il mio problema: mi ritrovo ad affrontare -senza molti risultati- la perdita del mio precedente terapeuta, per cui ho sviluppato un’ossessione molto forte.

Ora, per raccontare la mia storia clinica completa un’ora non basterebbe e nemmeno due, per cercherò di essere sintetica: mi sono rivolta a lui nel 2009, la terapia è durata due anni, ho sviluppato una forte dipendenza ossessiva (fitti dialoghi che occupavano tutto il giorno, angoscia rifiuto e abbandono) e nel 2011 ho “droppato” perché era una relazione che mi faceva soffrire molto.

Peggioramento, abbandono di vita sociale, scarsa funzionalità lavorativa, non più hobby, sviluppo di BED. Sei mesi dopo mi rivolgo a quella che diventerà la mia attuale terapeuta, nel frattempo il mio binge si trasforma in bulimia nervosa con abbuffate 25 volte al giorno, due anni d’inferno et cetera et cetera.

Il mio attuale stato di normo-alimentazione, attivo solo sul versante comportamentale (metacognitivamente il cibo per me è ancora un mostro terrificante) , è recente, piuttosto giovane e coadiuvato da 150 mg/die di zoloft.

Ad esasperare la situazione però è questa mia ossessione per l’ex terapeuta, che dura ormai da troppi anni. Un pensiero continuo e frustrante (similmente al cibo), un dialogo che non finisce mai, ed anche usando tutte le abilità che conosco di tolleranza dell'angoscia, accettazione, mindfulness, abilità di regolazione delle emozioni, chi più ne ha più ne metta, mi sembra sempre di non riuscire a risolvere la situazione. Non ce la faccio più.

Anche se razionalmente voglio superare il “lutto”, perché è frustrante ed esasperante, dentro non si muove nessun meccanismo. Sono esausta. Blocco di continuo il pensiero, ma i risultati raggiunti sono insoddisfacenti.

Se mi rivolgo a voi è perché con la mia psicoterapeuta non riesco a risolvere il problema. Mi dice “accetta” o “non ci pensare”, “segui i tuoi obiettivi”, e okay, cerco di farlo meglio che posso, ma la ruota continua a girare, meno di prima ma c'è, ed avrei molto piacere di sentire anche altri pareri e consigli su come proseguire.

Se dovessero servire dati nosografici:
1)Diagnosi 1 ex terapeuta: D. borderline + evitante
2)Diagnosi 2 terapeuta: Borderline con gravi sintomi dissociativi + Evitante + Paranoide + tratti dipendenti + schizotipici, stringato spesso in “disturbo dell’identità”

Terapia:
precedente: Cognitivo comportamentale standard
attuale terapia dialettico comportamentale + skills training

Scusate per la lunghezza e per la confusione -concentrare una storia clinica in qualche riga non è facile-, vi ringrazio in anticipo per l’attenzione concessami,

Serena.
[#1]
Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo 17.4k 317 528
Gentile Utente,
Se la sua terapeuta non ha risolto la sua problematica, è impensabile che possiamo farlo noi online.

Se ha già effettuato una cura,dovrebbe riprenderla, forse con un altro clinico, con altre caratteristiche ed altra formazione, per evitare di ripetere gli stessi copioni disfunzionali.


Le allego qualche lettura sulla dipendenza d' amore




http://www.valeriarandone.it/articoli/154-gli-amore-dipendenti-dipenden
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/4078-l-amore-affamato-la-dipendenza-d-amore.html

Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it

[#2]
Dr. Giuseppe Del Signore Psicologo, Psicoterapeuta 4.6k 51
Nelle diagnosi che lei elenca si parla di vari disturbi di personalità, anche molto diversi tra loro per forma e gravità, ma dal suo racconto emerge una fissazione ossessiva e una difficoltà nella gestione dell'ansia. E' stato diagnosticato anche un disturbo ossessivo-compulsivo?

Mi sembra di comprendere che l'attuale terapia sta durando da circa 3 anni?
Ha notato dei miglioramenti in questo periodo?
Se non ci sono stati miglioramenti sarebbe il caso di parlarne con la Collega che la sta seguendo e fare il punto della situazione. Stessa cosa per le cure psichiatriche.







Dott. Giuseppe Del Signore Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Psicoterapia Psicodinamica
www.psicologoaviterbo.it

[#3]
Dr. Alessandro Raggi Psicologo, Psicoterapeuta 479 13 31
gentile utente,
dopo aver affrontato una terapia cognitivo-comportamentale che dura così tanto tempo (strano) e non solo non produce alcun risultato, ma da come lei riporta ha aggravato la sua situazione, forse sarebbe il caso di rivolgersi a un altro terapeuta e possibilmente di un orientamento differente.

Lasci perdere le diagnosi che non le servono assolutamente a nulla, e piuttosto mi faccia capire che cosa intende per: <<"metacognitivamente" il cibo per me è ancora un mostro terrificante>>. Che significa metacognitivamente?

Lei scrive: <<con la mia psicoterapeuta non riesco a risolvere il problema. Mi dice “accetta” o “non ci pensare”, “segui i tuoi obiettivi”>>

Mi sembra strano che la sua terapeuta le dica di non pensare a qualcosa, di qualunque cosa si tratti. Parimenti mi sembra strano che possa dirle di seguire i suoi obiettivi. Mi sembra ovvio che lei sia in psicoterapia anche per queste motivazioni, dunque non avrebbe alcun significato incitarla in tal senso. E' certo che quanto riportato non sia il frutto di una sua rielaborazione di quanto avviene in terapia?

Cordiali saluti

Dr. Alessandro Raggi
psicoterapeuta psicoanalista
www.psicheanima.it

[#4]
dopo
Utente
Utente
Gentile dottor Raggi,

grazie mille per la risposta.

Sinceramente, per la voglia di scrivere tutto ed essere sintetica allo stesso tempo, mi sono spiegata davvero da cani;
la terapia attuale dura da 2 anni, la precedente è terminata per scelta mia perché il transfer era troppo forte ed era una relazione più che sofferta.

In quest'ultima terapia, in realtà, ho avuto parecchi risultati:
quando sono arrivata dalla mia attuale terapeuta ero totalmente dissociata, con deliri di persecuzione ed allucinazioni uditive, piena di fittissimi dialoghi con i miei personaggi immaginari e vivevo in un mondo tutto mio senza badare all'esterno. In data di oggi ho ripreso controllo della mia vita e della mia mente, riesco a differenziare
ciò che accade dentro di me dall'esterno, ho trovato obiettivi di vita che sto cercando di perseguire ed ho bloccato (almeno nel comportamento) il disturbo alimentare bulimico.

Questi sono i due sassi dolenti che non riesco ad eliminare: cibo e pensiero ossessivo sull'ex terapeuta.

Riguardo al “metacognitivamente” le chiedo scusa, ho usato il termine del tutto impropriamente; intendevo dire che l'oggetto mentale chiamato "cibo” viene da me sentito ancora come unica e sola fonte di piacere ed amore, gratificazione immediata e soluzione preferita ad ogni stato d’angoscia, nonostante io sappia ragionare bene sui miei stati mentali e riesca a bloccare gli impulsi (da qui mi è uscito il “metacognitivo”) e quindi vivo con estremo dolore e senso di privazione l'astinenza dalla compulsione alimentare.

Stesso meccanismo con il mio procedente terapeuta, oggetto d’amore ossessivo vissuto per due anni tra l’angoscia del rifiuto, la speranza dell’accettazione e poi nuovamente la conferma del rifiuto, divenuto un altro personaggio immaginario che mi crea dolore e frustrazione, e nonostante sia passato tanto tempo proprio non riesco ad accettare la perdita, per quanto io mi impegni a farlo.

Qui arriviamo ai suggerimenti della mia terapeuta; la dott.sa mi consiglia di non pensarci perché è "non efficace” e non mi aiuta, perché mi frustra e mi mantiene l'ossessione. Abbiamo parlato di quello che lui rappresentava e rappresenta per me, nel momento attuale però mi consiglia di bloccare il pensiero per cercare di depotenziare l’ossessione, mi consiglia di concentrarmi sull’obiettivo in quanto faticosissima conquista in questi due anni di terapia e per evitare di perdermi poiché non sono ancora stabile.

Non credo quindi che sia una mia rielaborazione; certamente è presente un problema di rapporto con lei nonostante l’alleanza venuta a crearsi, le nostre sedute sono molto "meccanicistiche" ed io non ho mai affrontato gli argomenti in maniera emotiva (reduce da un rifiuto costante percepito nella precedente relazione che mi ha ferita a morte) e non riesco nemmeno a farlo.

E dopo questo lunghissimo papiro arriviamo al punto, il motivo per cui ho scritto qui e che non sono riuscita a spiegare: dal momento che questo percorso ha risolto molti miei problemi ma non il nodo centrale (scrivo al singolare perché ho il sospetto che cibo e terapeuta siano due facce della stessa maledetta medaglia), non posso vivere tutta la vita da eremita ed astenermi dalle mie pulsioni (è faticosissimo e sofferto), c’è qualche altra cosa che potrei fare? Ha lei qualche suggerimento su come sconfiggere questi miei demoni?
Perché nonostante il gran lavoro sono ancora lì, e mi stanno logorando. In modo lucido e consapevole, ma comunque mi stanno logorando. Tutto qui.

Mi scuso per la lunghezza e la ringrazio ancora.
[#5]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
Gentile Utente,

io credo che Lei abbia fatto molti passi con la psicoterapia, da quanto scrive.
Il pensiero fisso al precedente terapeuta è probabilmente legato al Suo bisogno di controllo e di conferme che è tipico di coloro che hanno un disturbo della personalità come il Suo. Probabilmente, per non rischiare di essere abbandonata dal terapeuta (cosa che inevitabilmente avviene alla fine della terapia, sebbene non sia uno strappo, ma un distacco concordato e utile al pz.), ha lasciato Lei la terapia.
Tutto questo però dovrebbe essere riletto in terapia perché è appunto uno dei temi centrali del problema: il modo in cui Lei utilizza le Sue relazioni (anche col terapeuta), avvicinandosi per poi sentirsi invasa e allontanandosi per carcare di controllare la situazione...
Pertanto e con i limiti della distanza, io non credo che sia un problema ossessivo il Suo, quanto un problema delle distanze nelle relazioni, legato alla diagnosi posta.
La invito a non abbandonare questa volta la terapia, perché è ovvio che per diagnosi come la Sua la terapia anche di tipo cognitivo-comportamentale o dialettico-comportamentale debba durare più a lungo rispetto una terapia impostata per una fobia. La esorto però a parlare direttamente con la attuale terapeuta e a trovare insieme soluzioni. Se il "non pensarci" non aiuta (e mi pare ovvio), lo dica alla terapeuta e chieda come può operativamente superare i Suoi problemi. Il nodo centrale, però, è la modalità che Lei usa nelle relazioni significative.

Cordiali saluti,

Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica

[#6]
Dr. Alessandro Raggi Psicologo, Psicoterapeuta 479 13 31
Gentilissima,
ora che ha meglio spiegato la questione le cose appaiono significativamente differenti, certamente lei ha conseguito, da ciò che ora dettaglia, dei risultati molto importanti.

Se ho ben capito dunque, a conti fatti ciò che resta ora da "risolvere" è «Questi sono i due sassi dolenti che non riesco ad eliminare: cibo e pensiero ossessivo sull'ex terapeuta».
Mi sembra un deciso miglioramento rispetto a quanto riportato nel suo ultimo intervento.

Sa cosa credo? Che a volte ci si debba anche saper accontentare. Questo lo dico in generale prendendo spunto dal suo consulto, e ovviamente non necessariamente mi riferisco a lei specificamente, poichè non la conosco personalmente per potermi riferire direttamente a lei. Ad ogni modo se la problematiche iniziali sono particolarmente dolorose, ostiche e magari durano anche da tempo, spesso ci si deve attendere un miglioramento e in qualche caso anche una completa remissione dei sintomi, ma ciò non è affatto scontato.

Vengo ora alla sua domanda: «Ha lei qualche suggerimento su come sconfiggere questi miei demoni?» - Vediamo: credo che sarà un percorso facile quello che lei si è prefissata. Credo anche che da ciò che lei descrive e dai risultati ottenuti, forse il ciclo virtuoso della sua attuale psicoterapia sia terminato. Dubito fortemente che riuscirà ad andare oltre con questa terapia specialmente per il tipo di domande che lei oggi pone.


Lei dice: «ho ripreso controllo della mia vita e della mia mente, riesco a differenziare» - e ancora «nonostante io sappia ragionare bene sui miei stati mentali e riesca a bloccare gli impulsi» che fa pensare al fatto che ormai ciò che poteva ottenere ragionevolmente con la psicoterapia e cioè la remissione dei sintomi più invalidanti lei lo ha ottenuto.

Ha mai pensato che forse per il tipo di richiesta che lei oggi pone potrebbe effettuare un percorso psicoanalitico? Dopo una psicoterapia, con la quale ha affrontato e sensibilmente diminuito i sintomi, un analisi personale potrebbe aiutarla proprio a rispondere alle sue esigenze più profonde e anche («le nostre sedute sono molto "meccanicistiche») ad uscire da un tipo di terapia che probabilmente oggi non risponde più alla domanda attuale, che mi sembra («questo percorso ha risolto molti miei problemi ma non il nodo centrale») oggi di natura molto più “esistenziale” e personale (la dipendenza dal vecchio terapeuta, il cibo che per lei è l’altra faccia della medaglia di questo rapporto, i “demoni” da sconfiggere, le “pulsioni” che spesso ancora la travolgono).

La saluto molto cordialmente
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