Giudizio degli altri

Buonasera,
vi scrivo perché ho un problema che non si risolve da anni. Ho paura del giudizio degli altri, ne ho così paura, che, a volte, ho pensieri brutti. Tipo di farmi fuori.
Ho anche paura a scrivere queste cose, perché non voglio nutrire il Lupo nero.
Però, questa situazione non passa. Da anni. Da ragazzina sono stata presa un po' in giro perché particolare nei modi di fare, un po' maschiaccio nel vestire, nel giocare, soprattutto dai maschietti. E lo stesso un po' alle superiori. Non cose grosse, ma risate e allusioni per esempio al mio aspetto un po' androgino (sì, più che maschile, androgino). Dai tantissimi capelli biondi arruffati e mossi, e non lisci e perfettini, come richiedeva il must della piastra per le ragazzine 11-13; al fatto che palleggiassi meglio di Ronaldo, che odiassi le Barbie, e che indossassi i ciclisti e le Timberland al posto delle gonnelline e delle ballerine. Insomma, un putto tedesco.
Be', non è che mi abbiano picchiato o 'ste cose da tv, però, c'era sempre la risata dietro o anche davanti. E, questo fatto, anche se son passati anni, me lo porto dietro.
Notare: ora ho un lavoretto mediocre, amici fantastici e , quella l'ho sempre avuta, una famiglia molto presente. Ma, tutt'ora, oltre queste 10 persone, io ho paura a rapportarmi. Esco, sto insieme a questi amici, ma, se, per esempio, ad una festa ci sono 4 o 5 persone in più, sto male. Devo scappare.
E lo stesso se, per caso, incrocio per caso per strada chi mi prese per i fondelli tempo fa. Io sto male. Mi sento ancora "piccola". Nel senso, a disagio.
Ora: il caso ha voluto che una mia cara amica si sia molto legata ad un ragazzo che io associo a questi episodi di disagio. Lui era uno di quelli che per anni abbozzava un sorriso cinico se mi vedeva, e mi urlava "Belli capelli" seguito da versi e prese in giro da qualsiasi parte dell'oratorio passassi...Notare:io nel frattempo ho fatto e lasciato l'Uni, ho vissuto amicizie anche fuori dal paese, ho conosciuto gente aperta, sono cresciuta, mi son confrontata con persone che mi han stimata ed apprezzato, ma...appena rivedo questi coetanei, o mi trovo in situazioni in cui li incrocio, appena inciampo in piccole trame di paese dove me li trovo tra i piedi, torna lo star male. Dicevo: questa amica si è affezionata ad uno di questi.
Io sorrido: di tutta una cittadina di 10.000 persone, lei si affeziona a questo legato col mio passato. Con una ferita del mio passato.
Io e lui tutt'ora non ci salutiamo, e lui so che seguita a prendermi per il **** per il mio essere un po' "fuori dagli schemi", i capelli, e i vestiti abbinati a c***. Questo lo so perché, a parte che lo fa intendere proprio il suo fastidio quando mi vede (mi squadra un po' come ai vecchi tempi, senza dir nulla ora, ovviamente, ma mi squadra) e , in più, qualcuno l'ha sentito parlare così, in termini sempre da presa per il cul* riguardo me, in un Bar.
Questa ragazza fa parte di queste persone per le quali io darei un braccio. Sapere che ora si è legata a lui mi fa stare male. Ho paura che lui le racconti di come mi prendeva per il c*** in passato, o 'ste cose.
Allora ho deciso di raffreddare il rapporto con lei. Per tutelarmi. Se lei sta con uno che mi ha ferito così, io non posso starle troppo vicino. Non stanno insieme, sono diventati molto amici perché hanno un interesse in comune extra-lavorativo.
Io non so cosa devo fare. Ah, ho fatto 8 anni di terapia, consulti psicologici una volta ogni due settimane e poi una volta al mese. Erano semplici consulti, non TCC né altre cose.
Ma, ogni volta, queste cose tornano. Con il mio psycho mi son trovata bene, ma questo Disagio è scolpito dentro me, non si risolve.
Lui mi aiutava per cose quotidiane, dal lavoro, alle paure dei colloqui, ma, il disagio per la mia "goffagine" provato in passato lui non la risolverà mai. E il fatto che a volte mi ritorni sotto forma di onde così forte mi fa paura.
Io per queste cose potrei decidere se non di morire, di lasciarmi morire.
Non lo farò per la mia famiglia un gesto eclatante e perché son un'inetta, ma, di fatto, queste stro+++++ mi han mangiato metà vita. Io le ho assorbite troppo. Le sento troppo dentro.
Nessuno psycho propositivo e proattivo ti toglie il Disagio.
Prima pensavo che lo psycho mi salvasse, ora no, e ho paura.
So benissimo che scrivere a voi è un paradosso: come dire, ditemi che si può anche se non ci credo per niente e non voglio assolutamente più tornarci.
[#1]
Dr. Nunzia Spiezio Psicologo 531 20 3
Cara ragazza,
posso comprendere il disagio in cui si è trovata a vivere la sua prima adolescenza e quanto, oggi, ancora se ne senta toccata.
Vede, certe volte le etichette ci vengono attaccate addosso e diventa difficile scrollarsene ancor di più quando la dinamica diventa "autoetichettante".
Lei descrive così bene le etichette appiccicatele addosso dai furbetti del gruppo "Dai tantissimi capelli biondi arruffati e mossi, e non lisci e perfettini, come richiedeva il must della piastra per le ragazzine 11-13; al fatto che palleggiassi meglio di Ronaldo, che odiassi le Barbie, e che indossassi i ciclisti e le Timberland al posto delle gonnelline e delle ballerine. Insomma, un putto tedesco" che mi fa sospettare che lei per prima "sentisse" il problema di non essere uguale alle altre ragazzine. Nessuno le ha mai spiegato che era bella e preziosa così come era e che, anzi, la sua diversità dalle "omologatissime Barbie" potesse essere un valore aggiunto?
Un percorso di psicoterapia dovrebbe dopo 8 anni averle posto una diagnosi e, se finito, averle restituito un risultato. Che mi sa dire a riguardo?

Dr.ssa Nunzia Spiezio
Psicologa
Avellino

[#2]
dopo
Attivo dal 2014 al 2014
Ex utente
La mia famiglia mi ha fatto sempre sentire bella, e anch'io mi ci sentivo. Diversa dalle altre, ma bella a modo mio. Ma sembrava che lo fossi solo per gli adulti e per le bambine, che mi prendevano in simpatia perché ero "più energica e meno passiva" magari, di loro. I maschi, prima bimbi e poi adolescenti, mi denigravano e non mi facevano affatto sentir carina. Ma, ripeto, io mi ci sentivo, però faceva male lo stesso. Non mi bastava il solo crederlo, volevo il riscontro.

Ma, il mi psycho ha sempre tergiversato nel darmi etichette, io inetta e paurosa, mai gliele ho chieste, poi, solo per caso, l'ultimo mese di terapia, lui si lasciò scappare (e rimase infastidito perché gli uscì senza pensarci, aveva sempre evitato di dirmelo) un "disturbo evitante di personalità".
Non ho risultato, se non che: devo accettare questa paura, e conviverci. Ho delle ferite,e ritorneranno. Come chi è anoressica, che non sarà mai del tutto indifferente verso il cibo. Anche se apparentemente e, forse in parte nello spirito, guarita.
Questo è il risultato a cui siamo arrivati.
Ma io sto male.
[#3]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
"devo accettare questa paura, e conviverci."

Ci credo che dopo otto anni di terapia sta male, se i risultati sono questi!
Scusi, ma le paure, che per carità sono pure emozioni preziose perchè ci permettono di mettere in atto tutta una serie di strategie relazionali per la sopravvivenza (es qui chiedere aiuto se uno ha paura), devono essere superate, non conviverci.
Mi pare un'immagine molto inquietante convivere con la paura del giudizio.

Piuttosto Lei ha ben descritto qual è il fattore che purtroppo mantiene e rafforza la paura; il fatto di scappare ogni volta che si presenta una situazione da Lei temuta.

In TCC si va proprio alla ricerca di queste situazioni e in maniera graduale si invita il pz. ad affrontare le proprie paure. Altrimenti non avrebbe senso andare in terapia.

Legga qui: https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/4335-la-psicoterapia-cognitivo-comportamentale-non-rimuove-le-cause-del-problema.html

Cordiali saluti,

Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica

[#4]
Dr. Nunzia Spiezio Psicologo 531 20 3
Cara ragazza,
prima di tutto gli psicoterapeuti non danno etichette ma diagnosi.
"Non ho risultato, se non che: devo accettare questa paura, e conviverci. Ho delle ferite,e ritorneranno"
Non sono del tutto d'accordo con quanto scrive: sì, le ferite di lei bambina si ci sono e rimarranno ma ciò che deve cambiare, ora che è adulta, è la connotazione emotiva di cui allora rivestiva gli sfottò dei maschietti del gruppo. Deve essere lei stessa a prendersi cura di quella bambina ferita e canzonata dai compagnetti crudeli e , di sicuro, non lo può fare da sola. Da quanto tempo ha finito la psicoterapia? che approccio utilizzava il collega? per i sintomi che ci descrive io le consiglierei di riprenderla magari con un collega ed approccio diversi dato che da queste sue parole di rifuito e desiderio allo stesso tempo

"Prima pensavo che lo psycho mi salvasse, ora no, e ho paura.
So benissimo che scrivere a voi è un paradosso: come dire, ditemi che si può anche se non ci credo per niente e non voglio assolutamente più tornarci"

sembra che, in otto anni, ciò che lei e il collega psicoterapeuta potevate scambiarvi, ve lo siete già scambiati. Vada oltre.
Le faccio tanti auguri.
[#5]
dopo
Attivo dal 2014 al 2014
Ex utente
@dott. Spiezio.. Ho finito con questo psicologo da 3 anni. Non so quale fosse l'approccio, erano dei colloqui una volta ogni due settimane, ma non faceva TCC. Si parlava, s'indagavano i problemi, li si sbrogliava di volta in volta. Sono stata bene e davvero penso di non volere andare da un altro e iniziare a ri-raccontare di me. Davvero sono giunta alla conclusione che, se una cosa si ripresenta, fa parte di te, e ti ci devi abituare. Solo che sono, boh, delusa.
Perché penso di essere sbagliata io, in quanto più fragile.
Per delle cavolate torno in loop, e questo non è intelligente. Persone con storie vere di bullismo hanno tirato fuori i controc***** e si sono "ribaltate", io, invece, al primo ritorno di passato, cado.
Mi fa paura questa cosa. Di come questo dolore sia intarsiato nella mia anima. Non credo davvero possa toglierlo uno psycho, a meno che non sia uno come quello di Genio Ribelle, non so se avete visto il film con Matt Damon e Robbie Williams.
A volte c'è questa proattività e propositività scoppiettante negli psycho (sì, ne ho provato un altro per 6 mesi, ed era iperattivo e logorroico, e giovane e voglioso di fare colpo con mille idee per "salvarmi": dal corso di inglese, a yoga, al blog. Ma zero. Non mi dava niente a livello di anima, solo consigli per evitare di meno, ma non attecchivano), che boh, ti mortifica. Vorresti andare giù in profondità, e ti ritrovi con il consiglio per andare a cena con più persone. Oppure ti dicono di farti la doccia la mattina per partire col piede giusto. O di non andare a dormire alle tre e spegnere il pc prima, che se no sei rinco. Poi, leggo magari una poesia di Emily Dickinson e mi ritrovo totalmente compresa (e ne ho paura, visto la fine che ha fatto).

E' una curiosa creatura il passato
Ed a guardarlo in viso
Si può approdare all'estasi
O alla disperazione.

Se qualcuno l'incontra disarmato,
Presto, gli grido, fuggi!
Quelle sue munizioni arrugginite
Possono ancora uccidere!

Emily Dickinson

Diciamo che preferisco mille volte il disincanto del mio primo psycho pacato alle boiate dello psycho giovane rampante che ho provato per 6 mesi. Non so, se non che ho paura per me.
[#6]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
Gentile Utente,

a questo punto accogliamo il Suo sfogo, ma se a Lei sta bene vivere con queste paure, è possibile adattarsi e andare avanti in questa maniera.
Certamente, come sta già sperimentando, non vive bene fuori dal ristretto gruppo di persone con cui si sente al sicuro.
Valuti i pro e contro di questa situazione e le conseguenze della Sua scelta.

Cordiali saluti,
[#7]
Dr. Nunzia Spiezio Psicologo 531 20 3
Cara ragazza,
E' una curiosa creatura il passato
Ed a guardarlo in viso
Si può approdare all'estasi
O alla disperazione.
Affidiamoci pure alla sensibilità di Emily Dickinson per dirci che è vero: il presente è ciò che il passato lo fa essere ma, come le ho già detto, si va in terapia proprio per riconnotare emotivamente quel passato che fa tanto male. Non so cosa non sia andato nelle sue terapie e non voglio entrare nel merito ma è chiaro che la chiave di volta sta anche nel suo sapersi fidare ed affidare.Il setting terapeutico è un qualcosa di multiforme e multimodulato; può essere complicato ma, allo stesso tempo, di una semplicità immensa. Presupposto fondamentale è avere la volontà di farsi aiutare. Come le diceva la collega Pileci se lei vuole continuare a vivere, a quanto ci racconta molto male, con questa conclusione
" Davvero sono giunta alla conclusione che, se una cosa si ripresenta, fa parte di te, e ti ci devi abituare"
noi non possiamo far altro che accogliere il suo sfogo e prenderne atto. Scelga lei, valutandone anche le conseguenze, se prendere o no in considerazione i nostri consigli.
Le faccio tanti auguri.