La sua diagnosi mi lascia perplessa

Buona sera

Sinceramente non so cosa sia importante dire della mia vita ai fini di questa domanda. Cercherò di fare un escursus sintetico e superficiale di quella che a quanto pare sembra essere stata una vita "intensa". Sfortunatamente in passato ho assistito al decesso di molti parenti/amici tra cui mia madre all'età di 6 anni. In adolescenza ho avuto diversi problemi legati all'alimentazione, all'alcol e in maniera minore anche alle droghe. All'epoca andai da una psicologa per circa 6 mesi e ne trassi che era una presa in giro. Tutte le mie difficoltà sembravano essere finalmente dimanticate quando all'età di 18 anni me ne andai da casa per fare l'università. Dai 16 anni fino a due anni fa sono stata con un ragazzo ex tossicodipendente che per tutti i 10 anni di relazione ha affrontato un percorso di disintossicazione. Una volta laureata e nonostante un buon lavoro assicurato nel mio paese di origine ho deciso di partire all'estero per seguire il mio ragazzo ed è stata dura sotto tanti punti di vista. I primi due anni sono stati così duri che ho perso gran parte del mio peso (non avevo e non ho più disturbi alimentari, solo inappetenza) e passavo tutto il giorno a fumare fissando il vuoto dal balcone. Incontro M., uomo con famiglia con cui ho avuto una esperienza sessuale dopo un ulteriore "caduta" del mio ragazzo, dopo il quale lo lascio definitivamente. M. invade la mia vita preponderatamente e decide di "lasciare" famiglia (è un uomo amorevole molto legato ai figli) ma questa scelta io non l'ho voluta e non l'ho chiesta in quanto sentivo di essere fragile. Oggi lui è (forse fortunatamente) con me e stiamo ancora risolvendo con calma la sua situazione che comunque sembra andare nel migliore dei modi. In sostanza, negli ultimi 3 anni, sono passata dal fare la cameriera ad avere un ottima posizione in una famosa azienda, impare due lingue, avere una bella casa, una bella macchina ecc. Anche se il mio lavoro è estremamente stressante (lavoro veramente tanto) e a causa della situazione mantengo e sostengo M., si può dire che va tutto bene e io dovrei sentirmi soddisfatta e felice. Ma io non sono mai stata infelice come ora, in tre anni non ho fatto che piangere, isolarmi e dimagrire. Ora sono arrivata ad un apice e ho chiesto un mese fa aiuto ad una psicoterapeuta. L'altro ieri mi dice chiaramente che sembra che io soffra di stress post-traumatico dovuto a cause ancore sconosciute e che il percorso da affrontare sarà abbastanza lungo e duro. Io non faccio che pensarci e essendo non proprio estranea all'ambito medico e avendo avuto già esperienze di psicoterapie insoddisfacenti, la sua diagnosi mi lascia perplessa e frastornata. Lei mi piace e ho instaurato un buon feeling ma mi sembra eccessivo parlare di un disturbo del genere per una vita tutto sommato "normale" (inteso come migliore di tantissime altre). Vorrei sapere gentilmente da voi se ciò è veramente possibile e se posso continuare a fidarmi di lei!

Un cordiale saluto
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Dr. Francesco Emanuele Pizzoleo Psicologo, Psicoterapeuta 2.4k 122
Gentile utente,

La diagnosi in psicologia e psicoterapia rappresenta il primo step indispensabile per l’avvio, e quindi l’impostazione, di una terapia. Ma “la diagnosi” in psicopatologia è quasi sempre soggetta a rivalutazioni e rivisitazioni. Cosa vuol dire questo? Che io terapeuta, di fronte ad un/una paziente, condivido con lui/lei un iniziale inquadramento diagnostico sulla base di ciò che emerge nei primi colloqui e dall’eventuale testistica somministrata e studiata MA, dato che il processo terapeutico è estremamente plastico e malleabile rispetto a ciò che emerge di seduta in seduta, di mese in mese non di rado uno psicoterapeuta tenderà a rivisitare e rivedere e quindi confermare, o meno, la propria ipotesi diagnostica iniziale e indirizzare (in accordo con il/la paziente) la terapia verso uno scopo curativo.
Oltretutto, non c’è nessun veto al paziente di chiedere informazioni in merito ai perché della diagnosi esattamente come può accadere in medicina.

Anche la fiducia che si depone nel proprio terapeuta e con essa la qualità della relazione terapeutica dipendono da moltissime variabili personali, diadiche (coppia paziente/terapeuta) e professionali.

Il mio suggerimento clinico è quello di iniziarvi a conoscere (lei e la collega). Inizi pure la terapia. Poi vedrete e capirete insieme se, come e quali presupposti e basi ci sono per costruire un processo curativo che possa portarla a gestire le emozioni più dolorose di “ieri e di oggi” fino a meritarsi la serenità che le manca.
Consideri che esiste sempre il confronto costante in terapia. Un confronto non solo dialettico ma anche e soprattutto emotivo che le permetterà di capire e “sentire” se è questa la collega che potrà aiutarla.
La fiducia si costruisce nel tempo in modo direttamente proporzionale alla comprensione di poter continuare con quel terapeuta o scegliere di cambiare.

Se non scegliamo di provare, non sapremo mai se quella scelta è stata o meno costruttiva per noi.

In bocca al lupo!

Dr. Francesco Emanuele Pizzoleo. Psicoterapia cognitiva e cognitivo comportamentale.

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dopo
Utente
Utente
La ringrazio molto dr. Pizzoleo per la celere risposta. Le sue riflessioni mi hanno chiarito le modalità di evoluzione del processo terapeutico, e dette da un mio conterraneo acquisiscono anche un valore aggiunto. Terrò presente le sue parole e continuerò la terapia con fiducia sperando di trovarne giovamento.

Crepi il lupo!

Buona serata
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Dr. Francesco Emanuele Pizzoleo Psicologo, Psicoterapeuta 2.4k 122
Lieto dell’aiuto!

Molti auguri davvero