Situazione familiare opprimente

Buongiorno gentili dottori,
Il tutto è cominciato all'età di 19 anni quando è venuta a mancare mia madre per colpa di una leucemia. Iniziai l’università. In concomitanza con questa cominciai una terapia di supporto psicologico.
Ora da quando è venuto a mancare l'equilibrio che mia madre portava in famiglia, cominciò a crearsi un clima di tensione in famiglia, ricordo che quando mio padre tornava a casa (sempre dopo le 19/20) era sempre arrabbiato e c'era sempre qualcosa di cui si lamentava (anche cose banalissime). Mio padre è sempre stato molto severo, con aspettative altissime. A settembre fuggii di casa ben 2 volte.
Per lui non andava bene mai niente di ciò che facevo, non studiavo abbastanza e ero un parafulmini ogni sera, inoltre era in una situazione lavorativa che non lo appagava.
Il secondo anno le cose andarono meglio, anche se comunque ci dovevano essere dei periodi in cui mi faceva l'elenco delle cose che non gli andavano bene ("Così non va bene, dobbiamo parlare").
Interruppi la terapia ma il terzo anno vedendo il traguardo più vicino le sue ansie si moltiplicarono (e così le mie). Iniziava a criticare tutto ciò che facevo, spesso insultandomi con parole pesanti, non andava bene se uscivo una sera o come spendessi i soldi. Quando si avvicinava il periodo di esami l'aria si elettrizzava e cercare conforto in lui o anche solo parlarci sfociava sempre in una critica o un giudizio riguardante le mie preoccupazioni. Arrivai quasi in pari a giugno ma poi mi crollò il mondo, ero molto depresso e riuscii a malapena a dare un esame e la tesi e poi un altro esame a settembre. Mi mancano così 3 esami e sono distrutto, mio padre cominciò a ripetermi che non ce l'avrei fatta, che non ho studiato abbastanza, che ero un peso dal punto di vista economico, che le mie tasse costavano caro e che uscivano molti soldi per la psicoterapia, che eravamo in perdita ogni mese e che ero pagato per studiare e non lo avevo fatto (metodo che usò più di una volta per farmi sentire in colpa). Perciò interruppi le sedute di psicoterapia e mi trovarmi un lavoro. Il soggetto in questione si comprerà una moto ed un orologio molto costosi nel giro di pochi mesi.
Mi sentivo un peso, stupido e incapace di fare qualunque cosa, con un futuro segnato nell’oblio. Una sera scrissi una lettera di suicidio e per poco non mi buttai (mi fermò mia sorella in lacrime dopo una lunga notte a discutere, mentre mio padre disse che era solamente una scenata).
Di recente ha deciso che non mi avrebbe più pagato nulla, non mi sarei potuto spostare da casa e che non avevo più valore per lui. Non gli importava più se mi sarei laureato, così da dover più soffrire. Ha deciso che staccherà internet e il telefono, che non potrò più usare la macchina e che mi lascerà un letto e del cibo perché se no un giudice lo costringerebbe comunque a farlo (parole sue).
A 2 esami dalla fine mi trovo bloccato in una situazione in cui rischio seriamente di perdere il mio futuro.
Cosa dovrei fare?
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Dr.ssa Monica Gemelli Psicologo, Psicoterapeuta 3
Buonasera.
Ho letto la sua richiesta di consulenza che appare qualcosa di più che una semplice domanda di consulto online. Si sente l'eco della psicoterapia interrotta, che in una prospettiva futura forse andrebbe ripresa in considerazione.
Descrive una situazione complessa, con il rapporto con suo padre progressivamente inasprito in una spirale di reciproche incompresioni e amarezze. Sua sorella, pur capace di ascoltarla per tutta la notte in una situazione di crisi estrema, non appare sufficentemente autorevole per costituire un ponte di dialogo tra lei e suo padre.
La situazione sembra risentire ancora del lutto per la premaura scoparsa di sua madre, un lutto che appare non ancora elaborato dall'intero nucleo familiare che non trova un proprio centro, un punto di equilibrio e una via di comunicazione sicura.
Le reciproche pretese di colmare un vuoto affettivo - che non può e nemmeno deve essere "colmato" - rendono le relazioni in questo tipo di situazioni spesso deludenti e impregnate di risentimento. Lei e suo padre vi muovete come la somma di due "dolori" separati che si rimproverano a vicenda d'essere stati abbandonati, invece che riconoscersi come simili prede della medesima esperienza di sconforto. Ora per il bene di tutti, e suo soprattutto, bisogna fare la pace invece che la guerra, riconoscendo che provenite tutti da un'esperienza di grande sofferenza. Se lei trovasse la forza di proporre un progetto realistico relativamente al termine degli studi a suo padre e chiedesse quantomeno una tregua per poter concludere con sernenità, forse sarebbe possibile pensare ad un "giro di boa", dopo il quale riprendere ad occuparsi della propria interiorità almeno almeno la pressione delle urgenze. Non si può combattere su tutti i fronti contemporaneamente. Un problema alla volta.

[#2]
dopo
Utente
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Salve dottoressa,
Per via del limite di carattere ho omesso molti dettagli.
Mia sorella è più piccola di me di 6 anni, già il mio parere non viene accettato, tanto meno quello di qualcuno più giovane.
In passato mi è capitato di proporgli di essere visto anche lui da uno psicologo/psichiatra, ma mi ha sempre risposto che non era lui ad averne bisogno. Solamente quando decisi di terminare i miei incontri la dottoressa che mi seguiva ci ha parlato, ma da lì non ho più saputo nulla.
È molto orgoglioso e ho sempre paura di contestargli qualcosa o dargli dei suggerimenti, la reazione è sempre molto forte.
Penso che da quando mia madre se ne sia andata, mi sia venuto a mancare quel più basilare affetto che cerco in tutti i modi da una persona che non è capace di darlo (parole della mia psichiatra). So che alla fine crede di essere nel giusto perché cerca (seppur forzosamente) di indirizzarmi verso un'indipendenza ed un certo tenore di vita, ma ormai la mia autostima è bassissima e il nostro rapporto è ormai basato sul ricatto emotivo e la coercizione.
In questo momento sono in quella che speravo potesse essere la mia ultima sessione (sarei fuori corso di mezzo anno, che è rimediabile) e il recente episodio è accaduto in seguito all'ultimo esame.
Tornato a casa lo trovo teso come una corda di violino e quando gli dissi che era un tema già uscito ma che non avevo comunque fatto (perché non avevo dato quell'appello) cominciò il finimondo catastrofista prima ancora di dirgli come fosse andata (penso abbastanza bene). Mi sembrava assurdo e mi venne da ridere, dato che non avevo ancora detto niente.
Se la prese tantissimo (era un po' che non si arrabbiava tanto in effetti) e la vide come una mancanza di rispetto enorme, decise che non mi avrebbe più supportato in nulla e che non avevo più valore per lui. Non gli importava più se mi sarei laureato o meno, così da non dover più soffrire a causa mia. Mi appellò nei peggiori modi, che non sto a riscrivere poiché veramente tristi.
Io mi rendo conto di sbagliare molte volte, ma non riesco ad accettare di dover sottostare a ricatti tutto il tempo e di non poter avere un normale rapporto sereno con una delle persone a me più vicine. Penso che se avessi una buona stabilità emotiva potrei davvero realizzarmi come persona.
Eppure mi trovo qui recluso in casa a 10 giorni dal mio prossimo esame senza nemmeno sapere se potrò andarci (fuggendo?), il tempo stringe e il mio futuro è sempre più incerto. Inoltre dovrei programmare anche delle certificazioni esterne che non posso pagare al momento e che dovrei prenotare.
Il problema non è di capacità, ho dato anche 6 esami difficili in un mese sotto sua intensa pressione (che poi è sfociata in una cefalea permanente che curo da mesi con antidepressivi), ma emotivo. Sto lavorando contro l'università, contro di me (perché odio fare le cose forzatamente) e contro di lui.
Purtroppo non vedo come possibilità affrontare un percorso di psicoterapia insieme, non ammetterebbe mai di averne bisogno anche lui.
Le sue condizioni di pace di solito richiedono che io chini il capo e implori perdono ammettendo di essere sempre l'unico in errore.
Non so davvero come avere a che fare con lui, se non un servilismo che mi ferisce nell'orgoglio moltissimo.
Come ho cercato di spiegare il suo scopo sarebbe ostacolarmi, quindi una pace momentanea per potermi laureare mi sembra improbabile (a meno di implorare forse, ma ciò genererebbe solo più rancore ed è proprio il tipo di svolta che vorrei).