Dovrei frequentare uno psicologo?
Salve, sono un ragazzo di 19 anni e vorrei parlarvi della mia situazione.
Sono arrivato a un punto in cui sto riflettendo se iniziare o meno un percorso con uno psicologo.
Non l’ho mai fatto in vita mia, anche perché ho sempre pensato che gli psicologi non fossero davvero in grado di risolvere i problemi delle persone e che, in realtà, fossero interessati solo al denaro.
Non so esattamente cosa mi stia succedendo, ma in poche parole il mio problema è che faccio fatica a provare emozioni.
Le uniche che riesco a sentire davvero sono rabbia, stress e fastidio.
All’inizio non ero così: riuscivo a sentirmi felice nei momenti belli o triste quando mi accadeva qualcosa di brutto.
Adesso, invece, è come se nella mia testa ci fosse il vuoto, non riesco a provare niente.
Sono fidanzato da un anno e mezzo e spesso la mia ragazza (ma anche altre persone) mi chiede: A cosa stai pensando?.
Io rispondo A niente, perché davvero non penso a nulla.
Però lei crede che io stia nascondendo qualcosa, e questo ci porta spesso a litigare.
Vi giuro che non riesco a concentrarmi su nessun pensiero in quei momenti: è solo vuoto.
Anche al lavoro, quando c’è un momento di tranquillità, capita che mi perda nel vuoto come se stessi riflettendo, ma in realtà non penso a nulla.
Parlando del lavoro, da quando ho iniziato mi sono convinto di dover apparire agli altri come il ragazzo più innocente del mondo, anche se non è affatto così.
Adesso i miei colleghi mi vedono proprio in quel modo, come avevo sperato, ma non capisco perché ho sentito il bisogno di crearmi questa maschera.
Forse mi fa sentire protetto, come se fosse uno scudo per nascondere la mia vera personalità.
Non ho amici, e la cosa non mi pesa affatto: mi piace stare da solo.
Dentro di me mi arrabbio molto facilmente e provo fastidio verso le persone.
Però, allo stesso tempo, soprattutto con i colleghi o con i vecchi compagni di scuola, mi mostro sempre sorridente e gentile, anche se dentro brucio di nervosismo anche per cose insignificanti.
Mi sento depresso, e questo influisce anche sulla mia vita sessuale.
A soli 19 anni, dopo un rapporto, ho bisogno di almeno tre giorni per ricaricarmi, come se fossi molto più vecchio.
Per quanto riguarda la mia ragazza, non riesco nemmeno a capire cosa provo davvero per lei.
A volte, ad esempio, quando mi scrive tantissimi messaggi dicendomi che mi ama, io mi infastidisco.
Però le rispondo comunque con lo stesso entusiasmo, anche se dentro di me sto impazzendo dal nervosismo.
Il nostro rapporto è complicato e ci vorrebbe tempo per raccontarlo tutto, anche perché in passato lei ha tradito la mia fiducia più volte.
In conclusione, non so cosa mi stia succedendo e non so se dovrei rivolgermi a uno psicologo.
Non l’ho mai fatto e non so nemmeno bene come funzioni.
Sono arrivato a un punto in cui sto riflettendo se iniziare o meno un percorso con uno psicologo.
Non l’ho mai fatto in vita mia, anche perché ho sempre pensato che gli psicologi non fossero davvero in grado di risolvere i problemi delle persone e che, in realtà, fossero interessati solo al denaro.
Non so esattamente cosa mi stia succedendo, ma in poche parole il mio problema è che faccio fatica a provare emozioni.
Le uniche che riesco a sentire davvero sono rabbia, stress e fastidio.
All’inizio non ero così: riuscivo a sentirmi felice nei momenti belli o triste quando mi accadeva qualcosa di brutto.
Adesso, invece, è come se nella mia testa ci fosse il vuoto, non riesco a provare niente.
Sono fidanzato da un anno e mezzo e spesso la mia ragazza (ma anche altre persone) mi chiede: A cosa stai pensando?.
Io rispondo A niente, perché davvero non penso a nulla.
Però lei crede che io stia nascondendo qualcosa, e questo ci porta spesso a litigare.
Vi giuro che non riesco a concentrarmi su nessun pensiero in quei momenti: è solo vuoto.
Anche al lavoro, quando c’è un momento di tranquillità, capita che mi perda nel vuoto come se stessi riflettendo, ma in realtà non penso a nulla.
Parlando del lavoro, da quando ho iniziato mi sono convinto di dover apparire agli altri come il ragazzo più innocente del mondo, anche se non è affatto così.
Adesso i miei colleghi mi vedono proprio in quel modo, come avevo sperato, ma non capisco perché ho sentito il bisogno di crearmi questa maschera.
Forse mi fa sentire protetto, come se fosse uno scudo per nascondere la mia vera personalità.
Non ho amici, e la cosa non mi pesa affatto: mi piace stare da solo.
Dentro di me mi arrabbio molto facilmente e provo fastidio verso le persone.
Però, allo stesso tempo, soprattutto con i colleghi o con i vecchi compagni di scuola, mi mostro sempre sorridente e gentile, anche se dentro brucio di nervosismo anche per cose insignificanti.
Mi sento depresso, e questo influisce anche sulla mia vita sessuale.
A soli 19 anni, dopo un rapporto, ho bisogno di almeno tre giorni per ricaricarmi, come se fossi molto più vecchio.
Per quanto riguarda la mia ragazza, non riesco nemmeno a capire cosa provo davvero per lei.
A volte, ad esempio, quando mi scrive tantissimi messaggi dicendomi che mi ama, io mi infastidisco.
Però le rispondo comunque con lo stesso entusiasmo, anche se dentro di me sto impazzendo dal nervosismo.
Il nostro rapporto è complicato e ci vorrebbe tempo per raccontarlo tutto, anche perché in passato lei ha tradito la mia fiducia più volte.
In conclusione, non so cosa mi stia succedendo e non so se dovrei rivolgermi a uno psicologo.
Non l’ho mai fatto e non so nemmeno bene come funzioni.
Gentile Utente,
ti ringrazio per la fiducia che hai mostrato nel condividere tutto questo.
Quello che racconti parla di uno sforzo continuo, a volte invisibile anche a te stesso, per contenere qualcosa che dentro di te spinge, si agita, si contrae. E nel tempo (forse senza accorgertene) hai iniziato a proteggerti. Dalle emozioni, dalle delusioni, dagli altri, ma anche da te.
Dici che un tempo riuscivi a sentire: adesso, invece, tutto si è fatto ovattato, spento. Solo la rabbia riesce a passare. Ti sei mai chiesto da cosa sta cercando di proteggere quella rabbia?
Perché spesso, proprio quando sentiamo "solo" rabbia, sotto c’è qualcosa che non vogliamo (o non possiamo ancora) sentire.
Anche quel vuoto che descrivi (quando dici di non pensare a nulla, quando ti perdi) potrebbe non essere un’assenza, ma una forma di difesa. Da cosa? Da quali pensieri, da quali immagini, da quali emozioni ti stai scollegando? E cosa succederebbe se iniziassi lentamente a dare loro spazio?
Parli poi della maschera che ti sei costruito: l’immagine del ragazzo innocente, sempre gentile e sorridente. A cosa serve quella maschera? Cosa succederebbe se per un attimo potessi mostrarti davvero, senza filtri? Hai mai provato a immaginare cosa potrebbe pensare di te qualcuno che ti vedesse nella tua parte più autentica, anche quella arrabbiata, anche quella stanca?
La relazione con la tua ragazza sembra complessa: dici che lei ha tradito la tua fiducia, e allo stesso tempo senti di non riuscire a capire bene cosa provi. Ti sei mai chiesto cosa stai cercando in questa relazione? E cosa, invece, ti manca?
Il fastidio che senti quando lei ti dice che ti ama potrebbe parlare di qualcosa che non ti è stato riconosciuto o ascoltato?
Non avere amici per te non è un problema, ma il fatto che tu lo sottolinei, e che tu abbia scelto di scrivere tutto questo, forse parla di una parte di te che ha bisogno di essere vista.
Cosa vorrebbe dire, per te, sentirti visto davvero?
Infine, la riflessione riguardo la figura dello psicologo. Hai ragione a dire che, certo, per uno psicologo è un lavoro aiutare le persone. Ma non è un lavoro come un altro.
Perché ciò che accade nello spazio di una seduta lo si costruisce insieme. È un lavoro, sì. Ma fondato sulla presenza, sull’ascolto profondo, sull’interesse autentico per ciò che una persona vive, anche quando non sa metterlo in parole.
Il lavoro di uno psicologo non è risolvere i problemi al posto tuo, ma accompagnarti a capire da dove vengono, come si ripetono, cosa cercano di dirti. Uno psicologo ti aiuta, quando sei pronto, a guardare con altri occhi quello che vivi, a scoprire che le emozioni che hai imparato a silenziare magari avevano solo bisogno di un posto sicuro in cui mostrarsi.
E sì, è il suo lavoro. Ma non si può fare davvero questo lavoro senza una parte umana che entra in relazione con te, senza la capacità di restare lì, con te, anche quando non sai spiegarti, anche quando senti solo rabbia, o solo vuoto.
Forse non si tratta di fidarti dello psicologo in quanto figura.
Ma di chiederti se, per la prima volta, puoi concederti la possibilità di essere ascoltato senza dover apparire in un certo modo.
Non è necessario avere tutte le risposte. A volte basta iniziare a farsi le domande giuste.
E a concedersi uno spazio in cui farle emergere.
Magari, uno spazio che non hai mai avuto.
Spero che queste riflessioni possano esserti utili.
Resto a disposizione, un caro saluto
E.S.
ti ringrazio per la fiducia che hai mostrato nel condividere tutto questo.
Quello che racconti parla di uno sforzo continuo, a volte invisibile anche a te stesso, per contenere qualcosa che dentro di te spinge, si agita, si contrae. E nel tempo (forse senza accorgertene) hai iniziato a proteggerti. Dalle emozioni, dalle delusioni, dagli altri, ma anche da te.
Dici che un tempo riuscivi a sentire: adesso, invece, tutto si è fatto ovattato, spento. Solo la rabbia riesce a passare. Ti sei mai chiesto da cosa sta cercando di proteggere quella rabbia?
Perché spesso, proprio quando sentiamo "solo" rabbia, sotto c’è qualcosa che non vogliamo (o non possiamo ancora) sentire.
Anche quel vuoto che descrivi (quando dici di non pensare a nulla, quando ti perdi) potrebbe non essere un’assenza, ma una forma di difesa. Da cosa? Da quali pensieri, da quali immagini, da quali emozioni ti stai scollegando? E cosa succederebbe se iniziassi lentamente a dare loro spazio?
Parli poi della maschera che ti sei costruito: l’immagine del ragazzo innocente, sempre gentile e sorridente. A cosa serve quella maschera? Cosa succederebbe se per un attimo potessi mostrarti davvero, senza filtri? Hai mai provato a immaginare cosa potrebbe pensare di te qualcuno che ti vedesse nella tua parte più autentica, anche quella arrabbiata, anche quella stanca?
La relazione con la tua ragazza sembra complessa: dici che lei ha tradito la tua fiducia, e allo stesso tempo senti di non riuscire a capire bene cosa provi. Ti sei mai chiesto cosa stai cercando in questa relazione? E cosa, invece, ti manca?
Il fastidio che senti quando lei ti dice che ti ama potrebbe parlare di qualcosa che non ti è stato riconosciuto o ascoltato?
Non avere amici per te non è un problema, ma il fatto che tu lo sottolinei, e che tu abbia scelto di scrivere tutto questo, forse parla di una parte di te che ha bisogno di essere vista.
Cosa vorrebbe dire, per te, sentirti visto davvero?
Infine, la riflessione riguardo la figura dello psicologo. Hai ragione a dire che, certo, per uno psicologo è un lavoro aiutare le persone. Ma non è un lavoro come un altro.
Perché ciò che accade nello spazio di una seduta lo si costruisce insieme. È un lavoro, sì. Ma fondato sulla presenza, sull’ascolto profondo, sull’interesse autentico per ciò che una persona vive, anche quando non sa metterlo in parole.
Il lavoro di uno psicologo non è risolvere i problemi al posto tuo, ma accompagnarti a capire da dove vengono, come si ripetono, cosa cercano di dirti. Uno psicologo ti aiuta, quando sei pronto, a guardare con altri occhi quello che vivi, a scoprire che le emozioni che hai imparato a silenziare magari avevano solo bisogno di un posto sicuro in cui mostrarsi.
E sì, è il suo lavoro. Ma non si può fare davvero questo lavoro senza una parte umana che entra in relazione con te, senza la capacità di restare lì, con te, anche quando non sai spiegarti, anche quando senti solo rabbia, o solo vuoto.
Forse non si tratta di fidarti dello psicologo in quanto figura.
Ma di chiederti se, per la prima volta, puoi concederti la possibilità di essere ascoltato senza dover apparire in un certo modo.
Non è necessario avere tutte le risposte. A volte basta iniziare a farsi le domande giuste.
E a concedersi uno spazio in cui farle emergere.
Magari, uno spazio che non hai mai avuto.
Spero che queste riflessioni possano esserti utili.
Resto a disposizione, un caro saluto
E.S.
Dott.ssa Elisa Scuderi
Psicologa | A Genova e online
📧 elisascuderi.ge@gmail.com
3774810243
www.psicologoagenova.wordpress.com
Utente
Grazie mille per la risposta, la apprezzo davvero tanto.
Non so bene da cosa sto cercando di proteggere la mia rabbia, ma ci ho riflettuto e nella mia mente appare chiaro che mi sono sempre sentito giudicato e disprezzato da mio padre. Fin da bambino mi ha fatto sentire stupido e incapace, e questa sensazione continua ancora oggi.
Tra me e lui non c’è un buon rapporto: in casa non riesco nemmeno a guardarlo negli occhi.
Mia madre mi ha rivelato che mio padre non voleva nemmeno che io nascessi. Dopo la nascita di mio fratello, lei rimase di nuovo incinta, ma lui non lo prese affatto bene, al punto da cercare di costringerla ad abortire.
So quindi di non essere stato un figlio desiderato, e questo l’ho accettato; il vero problema è stato il comportamento che mio padre ha sempre avuto nei miei confronti. Non ha mai avuto un vero metodo educativo: preferiva alzare le mani su di me, approfittando del fatto che non fossi in grado di difendermi. Crescendo, però, ho iniziato a reagire, e a quel punto lui ha smesso di picchiarmi.
Con mia madre il rapporto è più complesso: a volte sembra volermi bene, altre volte sembra odiarmi. Quando litighiamo, spesso mi rinfaccia di non avermi mai picchiato, a differenza di mio padre. Ma in realtà lei era quella che lo incitava a reagire contro di me, pur sapendo come ragionava. Nonostante questo, non posso negare che è sempre stata presente nella mia vita: non mi è mai mancata la sua presenza, anche se a volte la percepisco come egoista.
Per quanto riguarda la maschera , le uniche persone a cui ho mostrato davvero la mia vera faccia sono i miei genitori, mio fratello e la mia fidanzata. Tra tutti, è lei la persona che mi conosce meglio. Però, quando litighiamo, a volte mi giudica con durezza: mi dice che non ho empatia, che sono egoista, e arriva persino a definirmi manipolatore e masochista.
Quando ascolto queste parole, però, non riesco a sentire né tristezza né delusione: resto immobile, come se non mi avesse detto nulla. E questo lo odio, perché a volte vorrei disperarmi, piangere per ore, ma non ci riesco. Perfino quando provo a sforzarmi di piangere in situazioni dolorose, non succede nulla.
Mi sento stanco di vivere costantemente tra frustrazione e rabbia. Vorrei almeno capire perché faccio così tanta fatica a provare le emozioni che gli altri sembrano vivere in modo naturale.
Non so bene da cosa sto cercando di proteggere la mia rabbia, ma ci ho riflettuto e nella mia mente appare chiaro che mi sono sempre sentito giudicato e disprezzato da mio padre. Fin da bambino mi ha fatto sentire stupido e incapace, e questa sensazione continua ancora oggi.
Tra me e lui non c’è un buon rapporto: in casa non riesco nemmeno a guardarlo negli occhi.
Mia madre mi ha rivelato che mio padre non voleva nemmeno che io nascessi. Dopo la nascita di mio fratello, lei rimase di nuovo incinta, ma lui non lo prese affatto bene, al punto da cercare di costringerla ad abortire.
So quindi di non essere stato un figlio desiderato, e questo l’ho accettato; il vero problema è stato il comportamento che mio padre ha sempre avuto nei miei confronti. Non ha mai avuto un vero metodo educativo: preferiva alzare le mani su di me, approfittando del fatto che non fossi in grado di difendermi. Crescendo, però, ho iniziato a reagire, e a quel punto lui ha smesso di picchiarmi.
Con mia madre il rapporto è più complesso: a volte sembra volermi bene, altre volte sembra odiarmi. Quando litighiamo, spesso mi rinfaccia di non avermi mai picchiato, a differenza di mio padre. Ma in realtà lei era quella che lo incitava a reagire contro di me, pur sapendo come ragionava. Nonostante questo, non posso negare che è sempre stata presente nella mia vita: non mi è mai mancata la sua presenza, anche se a volte la percepisco come egoista.
Per quanto riguarda la maschera , le uniche persone a cui ho mostrato davvero la mia vera faccia sono i miei genitori, mio fratello e la mia fidanzata. Tra tutti, è lei la persona che mi conosce meglio. Però, quando litighiamo, a volte mi giudica con durezza: mi dice che non ho empatia, che sono egoista, e arriva persino a definirmi manipolatore e masochista.
Quando ascolto queste parole, però, non riesco a sentire né tristezza né delusione: resto immobile, come se non mi avesse detto nulla. E questo lo odio, perché a volte vorrei disperarmi, piangere per ore, ma non ci riesco. Perfino quando provo a sforzarmi di piangere in situazioni dolorose, non succede nulla.
Mi sento stanco di vivere costantemente tra frustrazione e rabbia. Vorrei almeno capire perché faccio così tanta fatica a provare le emozioni che gli altri sembrano vivere in modo naturale.
Gentile Utente,
ti sei già dato una risposta molto più profonda di quanto forse immagini.
Hai parlato di un'infanzia vissuta in un ambiente dove l'amore era condizionato, la sicurezza assente e l’espressione delle emozioni pericolosa.
Quando un bambino cresce così, spesso impara a non sentire per sopravvivere.
Chiudere le emozioni diventa una forma di protezione, una corazza. E a volte quella corazza resta anche quando non serve più, anche quando fa male.
Quel vuoto che descrivi (il non riuscire a piangere, a sentire, a reagire) potrebbe non essere un’assenza, ma una difesa automatica che si è attivata troppo presto, troppo a lungo.
Non c’è nulla di sbagliato in te. C’è qualcosa che si è adattato, probabilmente per non crollare. Quel vuoto che percepisci potrebbe essere il risultato di tutto questo: un corpo e una mente che si sono abituati a chiudere il rubinetto delle emozioni per evitare di affogare.
E intanto, però, quella parte viva dentro di te, quella che si interroga, che si arrabbia, che osserva, continua ad esserci. Continua a cercare un modo per venire fuori, forse per la prima volta, in un luogo dove non deve più essere né giudicata né zittita.
Ti chiedi "perché faccio così tanta fatica a provare le emozioni?". Forse la domanda potrebbe essere un’altra: dove sono finite tutte quelle emozioni che non ti è stato permesso di vivere? E cosa succederebbe se oggi trovassero finalmente un posto in cui essere accolte?
Tu dici "Vorrei almeno capire". E forse questo è già un inizio.
Non per cercare colpe, ma per dare finalmente un senso alla fatica che porti dentro da anni e che non merita di restare inascoltata.
Nel tempo giusto, nello spazio giusto, anche ciò che oggi appare come vuoto può iniziare a parlare.
E non è mai troppo tardi per ascoltarlo davvero.
Resto a disposizione, un caro saluto
E.S.
ti sei già dato una risposta molto più profonda di quanto forse immagini.
Hai parlato di un'infanzia vissuta in un ambiente dove l'amore era condizionato, la sicurezza assente e l’espressione delle emozioni pericolosa.
Quando un bambino cresce così, spesso impara a non sentire per sopravvivere.
Chiudere le emozioni diventa una forma di protezione, una corazza. E a volte quella corazza resta anche quando non serve più, anche quando fa male.
Quel vuoto che descrivi (il non riuscire a piangere, a sentire, a reagire) potrebbe non essere un’assenza, ma una difesa automatica che si è attivata troppo presto, troppo a lungo.
Non c’è nulla di sbagliato in te. C’è qualcosa che si è adattato, probabilmente per non crollare. Quel vuoto che percepisci potrebbe essere il risultato di tutto questo: un corpo e una mente che si sono abituati a chiudere il rubinetto delle emozioni per evitare di affogare.
E intanto, però, quella parte viva dentro di te, quella che si interroga, che si arrabbia, che osserva, continua ad esserci. Continua a cercare un modo per venire fuori, forse per la prima volta, in un luogo dove non deve più essere né giudicata né zittita.
Ti chiedi "perché faccio così tanta fatica a provare le emozioni?". Forse la domanda potrebbe essere un’altra: dove sono finite tutte quelle emozioni che non ti è stato permesso di vivere? E cosa succederebbe se oggi trovassero finalmente un posto in cui essere accolte?
Tu dici "Vorrei almeno capire". E forse questo è già un inizio.
Non per cercare colpe, ma per dare finalmente un senso alla fatica che porti dentro da anni e che non merita di restare inascoltata.
Nel tempo giusto, nello spazio giusto, anche ciò che oggi appare come vuoto può iniziare a parlare.
E non è mai troppo tardi per ascoltarlo davvero.
Resto a disposizione, un caro saluto
E.S.
Dott.ssa Elisa Scuderi
Psicologa | A Genova e online
📧 elisascuderi.ge@gmail.com
3774810243
www.psicologoagenova.wordpress.com
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 342 visite dal 27/08/2025.
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