Dubbio su psicoterapia in corso, non sono sicura che sia efficace

Sono in cura con una psichiatra e una psicoterapeuta. Alle visite sono presenti entrambe, anche se a condurre i "giochi" è soprattutto la psichiatra.
Mi sono rivolta all'ospedale perché ero a un passo dal suicidarmi e una parte di me (quella che ha chiesto aiuto) non voleva farlo. Ho già tentato il suicidio 6 anni fa. Sono autolesionista, ho sofferto di disturbi del comportamento alimentare e ogni volta che si ripresenta una crisi profonda torno a ricaderci. Inoltre ho problemi nella sfera affettiva, emotiva e sessuale, non riesco a gestire alcuni tipi di emozioni, oscillo tra l'apatia e l'emotività incontrollabile; ci sono periodi in cui mi sembra di vedermi vivere dall'esterno e non provo niente, altri in cui il mondo si trasforma in un palcoscenico e io sono il mangiafuoco che regge in mano i fili dei burattini, e altri ancora in cui sono "troppo dentro" alle cose, non riesco a essere obiettiva, vivo tutto in maniera troppo forte e violenta, fino a consumarmi. A volte penso che metà della mia vita si sia svolta solo nella mia testa.

Il problema per cui mi rivolgo a voi è che non sono sicura dell'efficacia della terapia. Non mi sento ascoltata. Ho l'impressione che la psichiatra minimizzi i miei problemi, non capendo lo sforzo che faccio ogni giorno per allontanare i pensieri negativi, soprattutto quelli relativi al suicidio. È come se il fatto che mi sia fermata prima di provarci mi renda una paziente di serie B.
Inoltre non mi dice mai quello che pensa del mio fantomatico problema. Mi aveva prescritto un farmaco, ma senza spiegarmi quale disturbo si prefiggeva di curare.
Non vuole sottopormi a nessun test, né accenna minimamente a una diagnosi. Non voglio un'etichetta, ma vorrei sapere almeno quello che pensa!

Secondo voi è normale tutto ciò?

Vi ringrazio in anticipo.
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Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
Gentile Utente,

Le faccio qualche domanda per capire meglio la situazione:

va bene la coterapia, ma come mai le due professioniste La vedono insieme? Nello stesso momento, se ho capito bene...

in che cosa consiste la psicoterapia che sta facendo fin qui? Ha avuto risultati per il momento? Quali?

Ha provato a parlare di questo Suo disagio con il curante?

Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica

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dopo
Attivo dal 2012 al 2018
Ex utente
Non ho idea del perché siano presenti entrambe nello stesso momento. Io preferirei vedere separatamente la psicoterapeuta (con la quale tra l'altro mi trovo meglio), ma provo molta soggezione e non riesco a dirlo.

Non so che tipo di psicoterapia sto facendo, anche se sono in cura da quasi tre mesi. Prima delle vacanze ci vedevamo una volta a settimana. Durante la seduta parlavo dei miei problemi, di eventuali miglioramenti o peggioramenti, oppure rispondevo alle domande che mi ponevano. Inizialmente sembrava che la psichiatra stesse pensando a una diagnosi (e una conseguente cura farmacologica), poi non ne ha più parlato, finché non ho insistito io per avere un farmaco. Purtroppo non mi sento abbastanza supportata, mi sembra di essere in balia di me stessa e delle poche informazioni che riesco a scucire alla psichiatra, perciò (e per altri motivi) il farmaco non l'ho preso.

I miglioramenti sono altalenanti e, credo, slegati dalla psicoterapia. Ho sempre avuto un umore fluttuante che solo negli ultimi mesi era diventato stabilmente depresso (fino a ricadere nell'autolesionismo e nei pensieri suicidari). Adesso alterno momenti in cui mi sento apatica, e non voglio né vivere né uccidermi, a momenti di disperazione "fredda", in cui vorrei solo spostare le lancette avanti di ottant'anni, a quando sicuramente sarò morta.
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Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
"... finché non ho insistito io per avere un farmaco..."

Che sintomi aveva? Che difficoltà incontrava? In che modo, secondo Lei, il farmaco poteva aiutarla? Posso chiederLe che tipo di farmaco Le avevano prescritto?

Quello che Lei descrive, in termini di umore fluttuante, fa parte del disturbo, ma ci vuole un po' di pazienza.
Soprattutto ci vogliono strategie molto chiare per fronteggiare la situazione. Ad esempio, quando ha bisogno di farsi male con le condotte autolesive, Le hanno spiegato quali comportamenti (che sono certamente più funzionali, come ad esempio usare il ghiaccio sui polsi, anzichè tagliarsi, se questo è il Suo problema) sostituire?

Solo dopo queste primissime indicazioni (che Le preservano la vita) sarà possibile occuparsi di tutto il resto.

Questo è stato fatto?

[#4]
dopo
Attivo dal 2012 al 2018
Ex utente
Ho insistito per avere il farmaco perché ero disperata; continuavo a oscillare tra "stati di grazia" in cui improvvisamente pensavo di poter andare avanti con la mia vita, e momenti in cui arrivavo a legarmi le mani per impedirmi di fare qualcosa di sciocco. Mi ha prescritto il topamax, credo per stabilizzare l'umore. Prima di quella visita l'avevo implorata di darmi un antidepressivo, perché ero costantemente, perennemente, insostenibilmente depressa, senza barlumi di luce, e la mia vita era un continuo cercare dei diversivi per non uccidermi. Lei a ogni visita diceva "alla prossima ti prescrivo qualcosa", ma la prossima non arrivava mai.
Ho deciso di non prendere il topamax anche perché il periodo coincideva con le vacanze e non avrei visto la psichiatra per tre settimane. Inoltre l'umore era tornato stabilmente depresso e avevo paura che uno stabilizzatore non fosse ciò che mi serviva (so che non è compito mio deciderlo, ma non avendo abbastanza rassicurazioni dalla psichiatra è ovvio che non mi fido).

Non mi è stato suggerito nessun comportamento alternativo all'autolesionismo. Anzi, la psichiatra diceva che se tagliarmi mi aiutava a tenere a bada l'impulso di uccidermi, allora potevo continuare a farlo, a patto di non andare in profondità.
A volte al posto di tagliarmi mi brucio. Altre volte mi sfogo sul peso, dimagrendo anche se dovrei necessariamente ingrassare. Eppure la psichiatra sembra non attenzionare neanche questi problemi... sembra che niente abbia importanza.
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Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
Scusi, solo per capire bene, se questi aspetti non sono importanti, a che cosa dà importanza il curante?

In poche parole, come si svolgono queste visite/colloqui e come funzionano?

Dal punto di vista del modello cognitivo-comportamentale, in prima battuta si cerca sempre di preservare la vita del pz. Continuare a tagliarsi o a non mangiare o a fare altre cose che possono mettere a rischio la Sua vita non va bene perchè il trattamento (psicoterapico o farmacologico) deve essere fatto con il pz... vivo!

In seconda battuta si lavora proprio sul problem solving. Tagliarsi non è una delle possibili azioni che possiamo implementare per risolvere un problema, per gestire l'angoscia o l'ansia. O meglio, sappiamo che se lo facciamo, corriamo seri rischi. Allora quale comportamento possiamo sostituire?

E tutto il processo psicoterapico deve fornirci questo tipo di strumenti per poter arrivare a stare bene e a vivere pienamente. Questo in futuro riguarderà tutti gli aspetti della Sua vita.

Ma Lei deve per prima cosa trovare il coraggio di parlarne con i curanti. So che Le costa, ma poi potrà avere tutto l'aiuto che Le serve e di cui ha bisogno. Non crede?
[#6]
dopo
Attivo dal 2012 al 2018
Ex utente
Io ho parlato di questi problemi a entrambe, psichiatra e psicoterapeuta, ma la psichiatra non mi fornisce nessuna soluzione utile, non cerca nemmeno di aiutarmi ad adottare comportamenti diversi. Sembra che vada bene così. Perciò ho continuato a farlo in questi tre mesi, addirittura pensando che stessi facendo la cosa giusta, perché mi aiutava a non uccidermi. Il problema è che qui non migliora niente. Poco a poco sto sotterrando di nuovo le cose che non vanno, come se nasconderle servisse a farle sparire.
Il motivo per cui vi ho scritto è proprio che non so a cosa serva questa psicoterapia, dal momento che non mi aiuta in nulla. Va bene se mi taglio, va bene se non mangio, va bene addirittura se penso al suicidio, purché non lo faccio. Tutti i miei problemi nell'ambito relazione, emotivo ed affettivo sembrano accolti con una scrollata di spalle, della serie "noi non ti possiamo aiutare". Le sedute sostanzialmente consistono nel farmi parlare, ma non so a che serva parlare se poi non ho un riscontro utile!
Vorrei sapere cosa c'è che non va in me, perché non riesco a instaurare delle relazioni sane e vivo i rapporti come un gioco di forza, in cui qualcuno deve soccombere, perché mi faccio del male da sola andando incontro a situazioni che mi faranno soffrire, perché mi lego soprattutto a chi mi fa del male e respingo, quasi disprezzo, chi vorrebbe solo il mio bene.
Si era parlato una volta di disturbi della personalità, ma hanno subito accantonato il discorso dicendo che sono troppo giovane (anche se ho 22 anni?) per determinare se il mio è un disturbo di personalità. Lei cosa ne pensa?
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Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
Gentile ragazza,

qualche precisazione:

"Il motivo per cui vi ho scritto è proprio che non so a cosa serva questa psicoterapia"

Si comincia una psicoterapia per curare una psicopatologia.
E nel Suo caso, da ciò che riferisce qui, direi che va bene fare una psicoterapia.
Però bisogna precisare anche che ci sono diversi tipi di fare psicoterapia.
Ci sono approcci più attivi e focalizzati e altri che prevedono di dare maggiore spazio al pz. e il terapeuta rimane di più sullo sfondo.
E ci sono diversi disturbi (ad esempio i disturbi della personalità, come quello borderline) per cui alcuni trattamenti psicoterapici sono più indicati di altri perchè più efficaci.

Io Le ho descritto quello che avviene, in maniera estremamente sintetica in un trattamento di tipo cognitivo-comportamentale.

Quello cognitivo-comportamentale per questo tipo di disturbi è molto efficace e prevede delle soluzioni molto pratiche per affrontare le difficoltà, oltre a lavorare su quelle funzioni che in genere sono compromesse in tali situazioni (es la funzione metacognitiva -cioè la lettura dello stato mentale altrui e le intenzioni- che potrebbe spiegare in parte la Sua difficoltà nelle relazioni).

Lei chiede: "perché non riesco a instaurare delle relazioni sane e vivo i rapporti come un gioco di forza, in cui qualcuno deve soccombere, perché mi faccio del male da sola andando incontro a situazioni che mi faranno soffrire, perché mi lego soprattutto a chi mi fa del male e respingo, quasi disprezzo, chi vorrebbe solo il mio bene."

Ci sono molte spiegazioni e molte teorie potrebbero spiegarcelo.
Una di queste è la teoria dell'attaccamento, in base alla quale nelle prime relazioni d'amore (con la mamma o con l'adulto di riferimento) possiamo costruire e apprendere una memoria traumatica dei legami affettivi.
Ovviamente poi, caso per caso, si affronta e si ricostruisce in terapia.

L'ho spiegato nella seconda parte di questo articolo.
https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/1210-trauma-psicologico-che-cosa-accade-nella-mente-di-chi-ha-subito-un-trauma.html

Nei momenti di difficoltà tutti noi abbiamo bisogno di protezione e vicinanza.
Ma se sperimentiamo che la persona che dovrebbe (per definizione perchè noi nasciamo con questo mandato biologicamente determinato) accudirci, si presenta da noi in maniera spaventata e spaventante o discontinua o addirittura traumatizzandoci, avremo una memoria di una relazione di accudimento che ci spaventerà e dalla quale vorremo scappare.
Però è anche vero che il bimbo ha pochi strumenti per comprendere di essere ugualmente amabile; capirà al contrario di non essere amabile e degno di attenzioni.
Da qui è poi possibile fare infiniti test per verificare questo nelle relazioni, anche da adulti.

E' chiaro però che il tutto è molto più complicato di come sto sintetizzando io qui.

Per finire: "sono troppo giovane (anche se ho 22 anni?) per determinare se il mio è un disturbo di personalità."

No, a 22 anni è possibile porre diagnosi anche di un disturbo di personalità. Dopo i 20 anni si fa. Sotto i 20 no perchè nell'adolescenza la personalità non si è ancora strutturata definitivamente.

Siamo proprio ai limiti comunque.

Io mi permetterei di suggerirLe, a questo punto, considerata anche la sofferenza che Le provoca questo stato, di chiedere un'altra valutazione.

Che cosa pensa di quest'ultima idea?
[#8]
dopo
Attivo dal 2012 al 2018
Ex utente
Ho raccontato molto di me alle persone che mi hanno in cura, ma non ho mai ricevuto un riscontro di questo tipo, ovvero un tentativo di individuare le "cause" dietro il mio problema. Ma più che le cause (che forse nel mio caso possono sembrare ovvie, visto che ho avuto un'infanzia infelice), mi interesserebbe capire come sbloccare il meccanismo inceppato che mi fa inciampare sempre nelle stesse difficoltà. È un circolo vizioso che si ripete quasi sempre uguale, con poche variazioni sul tema. Quando lo dico alla psichiatra, lei alza gli occhi al cielo e mi chiede "come fai a sapere che accadrà di nuovo?". È ovvio che non posso metterci la mano sul fuoco, ma se da 22 anni va avanti così ho ragione di credere che non cambierà nulla se non faccio niente per cambiarlo!

Cosa intende con "chiedere un'altra valutazione"? Consultare un altro specialista?
Forse è quello che vorrei; forse. Ho pensato di contattare qualcun altro (ma chi? sono approdata a questa psichiatra praticamente alla cieca, indirizzata dalla psicoterapeuta che mi ha gentilmente raccolta dal dipartimento di salute mentale in cui ero andata per chiedere un consulto), solo che l'idea di aprirmi ad altri sconosciuti un po' mi mette ansia. E poi mi sembra di tradirle. In un certo senso, mi sono affezionata, anche se finora mi hanno fatto più male che bene (in queste tre settimane senza visite, ero riuscita a smettere di tagliarmi... dopo la visita, ho ricominciato).
Ho provato a chiedere di sottopormi a dei test, ma respingono l'idea e sembra quasi che mi diano della paranoica. È paranoico voler sapere che ho problema ho? (Soprattutto ora che mi sono decisa a capire. Prima rifiutavo di chiedere aiuto. Ho sabotato tutti i tentativi di psicoterapia fatti in passato. Loro dicono che sto cercando di boicottare anche questo, ma a me sembra esattamente il contrario.)
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Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
Infatti le cause non sempre (o almeno non in prima battuta vengono discusse) in terapia.
Ai pz interessa stare bene ed uscire dal meccanismo che fa soffrire, esattamente come sta dicendo qui Lei.
Io ho provato a rispondere alle Sue domande anche sulle cause, in merito alla Sua domanda molto precisa sulla difficoltà di relazione.

La sensazione di tradire il curante fa parte di Lei e del Suo disturbo?
Ma scusi, se non sente di fare passi avanti, che cosa intende fare?
[#10]
dopo
Attivo dal 2012 al 2018
Ex utente
Nel mio caso è accaduto il contrario, ovvero abbiamo passato tre settimane a discutere delle cause (lo definirei un corso monografico sulla mia vita).

"La sensazione di tradire il curante fa parte di Lei e del Suo disturbo?"

Non lo so, non riesco a capirlo. Dicono che ho un'ottima capacità di auto-analisi, ma in certi ambiti mi sembra quasi di non conoscermi. Questo è uno di quelli.
A volte penso di essere troppo menefreghista; altre volte i fatti dimostrano il contrario, perché mi affeziono troppo e troppo in fretta. Non sopporto la psichiatra, però non voglio lasciarla. Passo i giorni successivi alla visita chiedendomi se non mi sopporta o se addirittura mi odia, e mi tormento per questo. Però non faccio nulla per rendermi amabile ai suoi occhi, anzi, litighiamo anche. Vorrei parlare da sola con la psicoterapeuta, che è più dolce, ma non riesco a chiederlo perché mi sembra di ferire/tradire la psichiatra e non sopporto l'idea (come se alla psichiatra gliene importasse qualcosa... sono solo una nel mucchio, lo so, razionalmente me ne rendo conto). Questo farebbe di me una persona insicura, ma allora perché sono estroversa, egocentrica e non ho problemi a stare sotto i riflettori? Eppure per ogni contatto umano che instauro, passo il triplo del tempo a tormentarmi per qualcosa che ho detto o non ho detto, ho fatto o non ho fatto, rivedendo mentalmente la scena in maniera morbosa, autocolpevolizzandomi per dettagli di minimo conto a cui attribuisco un'importanza madornale. Mi odio, mi faccio schifo, mi considero un essere repellente, eppure vengo percepita come una persona molto sicura di sé, anche troppo, "una calamita di attenzioni". Voglio piacere, faccio in modo di piacere, ma nel momento in cui piaccio, mi faccio ancora più schifo. Se al contrario non piaccio, mi sento rifiutata e vado in crisi, reagendo come se la persona più cara al mondo mi avesse voltato le spalle, mentre magari è un perfetto estraneo (mi si apre la voragine sotto i piedi anche per emerite cavolate, come un barista che non ricambia il sorriso o una commessa che mi tratta in modo sgarbato). È come se pensassi che le persone a cui sono indifferente necessariamente mi odiano. L'alternativa è farmi amare. Solo che mi reputo troppo nauseante per credere che qualcuno possa amarmi davvero.
Quindi, in risposta alla sua domanda iniziale, credo che la sensazione di tradire il curante faccia parte del mio disturbo.

"Ma scusi, se non sente di fare passi avanti, che cosa intende fare?"

Forse iniziare un'altra psicoterapia senza abbandonare quella che già seguo, e quindi senza far sapere alla psichiatra e alla psicoterapeuta attuali che le sto "tradendo". La cosa che più mi mette ansia è sapere che se interrompessi la terapia con loro, non le vedrei più. Da un lato mi dà sollievo (odio le persone con cui mi scopro), ma dall'altro non riesco a pensare di eliminarle dalla mia vita.
[#11]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
Gentile ragazza,

ha spiegato molto bene che cosa Le accade. Tutto questo lo ha comunicato anche alle terapeute?

A parte che tre mesi di trattamento sono pochissimi per questo tipo di problematiche che qui stiamo ipotizzando (un disturbo della personalità).

Prima accennavo ad alcuni deficit che le persone con questo disturbo hanno. Un deficit importante e grave è quello della regolazione emotiva. Che cosa vuol dire? Vuol dire soffrire di una particolare vulnerabilità emotiva e di una difficoltà a regolare le emozioni. La vulnerabilità secondo il modello cognitivo-comportamentale della Linehan, risente di fattori genetici e temperamentali e in pratica consiste in una tendenza a reagire in modo molto intenso a stimoli anche minimi.
Invece la disregolazione emotiva consiste nell'incapacità, quando è attiva questa emozione, di mettere in atto strategie necessarie per ridurre l'intensità di questa emozione e tornare al tono emotivo di base. Le cause di questa disregolazione e l'apprendimento di questa possono essere un ambiente invalidante in cui si è cresciuti, in cui le risposte erano piuttosto caotiche o contraddittorie o estreme.

Questo deficit che impedisce di modulare e regolare le emozioni (quindi tornare al tono di base) determina nei pz. che soffrono di questo disturbo una tendenza pervasiva a entrare e rimanere in questi meccanismi cognitivi ed emotivi che si autoalimentano. In estrema sintesi il meccanismo è questo: il pz. non è in grado di utilizzare i processi cognitivi per regolare gli stati intensi e negativi, ma creano circoli viziosi che amplificano e mantengono lo stato mentale problematico. Il pensiero allora diventa davvero distorto.

C'è anche un altro deficit che si collega poi a questo e che è quello di differenziazione, cioè la difficoltà a saper distinguere e differenziare tra fantasie, ipotesi, aspettative, previsioni, ... Manca così la capacità di distanza critica. Accade allora che la propria visione del mondo venga elaborata come realtà e non come semplice ipotesi.

Anche il tema della colpa, di danno provocato o della pena, nonchè la rabbia sono centrali in questo disturbo.

Forse questa spiegazione potrebbe permetterci di comprendere ciò che motiva le Sue scelte.

Saluti,
[#12]
dopo
Attivo dal 2012 al 2018
Ex utente
Anzitutto, la ringrazio per la gentilezza e la disponibilità che mi sta dimostrando. Quando ho inviato la richiesta di consulto, non mi aspettavo di ricevere risposte così approfondite.

Sì, ho comunicato le stesse cose alle terapeute, ma in parte ho l'impressione che non mi capiscano (o che minimizzino), e in parte che sia io a non sapermi spiegare bene come faccio per iscritto.

Mi rivedo in quello che scrive sulla disregolazione emotiva, soprattutto nella "tendenza a reagire in modo molto intenso a stimoli anche minimi". Questo problema però è intermittente: in certi periodi della mia vita sono tutto l'opposto, le emozioni si spengono, la realtà mi sembra irreale, "io" è un'entità distante che posso guardare dall'esterno mentre manovro le altre pedine, tutto senza esserne coinvolta. Poi accade qualcosa che mi scuote, e cado nell'estremo opposto.

Invece mi ritrovo perfettamente, sempre e da sempre, in questa sua descrizione:

"C'è anche un altro deficit che si collega poi a questo e che è quello di differenziazione, cioè la difficoltà a saper distinguere e differenziare tra fantasie, ipotesi, aspettative, previsioni, ... Manca così la capacità di distanza critica. Accade allora che la propria visione del mondo venga elaborata come realtà e non come semplice ipotesi."

Soprattutto per quanto riguarda fantasie e aspettative. A volte penso di vivere nella mia testa più che nel mondo vero... il problema è che me ne accorgo dopo; sul momento invece sono convinta che le cose stiano esattamente così come le immagino. Posso costruire interi castelli su un misero scheletro di realtà. Non sarebbe un problema, se non fosse che agisco di conseguenza a ciò che immagino. Idealizzo persone e rapporti... mi è capitato proprio di recente e questo è stato il motivo scatenante della mia depressione. Ho attribuito a una persona il ruolo di "salvatore", anche se non si era proposto per la parte e, soprattutto, non sapeva di esserlo. Forse l'ho scelto proprio perché era il candidato peggiore e sapevo che ci sarei stata male. In parte, poi, ha alimentato la mia fantasia, ma la fantasia è venuta molto prima della realtà, quasi a manipolarla.

Adesso sono combattuta. Non so se riprendere in mano la mia vita, il lavoro, lo studio, eliminando tutta la parte "guasta" che riguarda le emozioni... ma così facendo so, o almeno temo, che cadrei nella fase apatica, in cui vivo come un automa.
Oppure affrontare il problema, magari cercare una relazione sana, conoscere qualcuno... correndo il rischio di fare un altro disastro, perché la mia emotività è sregolata.
Ho provato a dire alla psichiatra che mi spaventa l'idea di iniziare una relazione, perché ormai ho la fobia di provare emozioni che non so controllare, ma non mi capisce. Sono stata davvero sull'orlo del baratro, mi vengono i brividi se ripenso a pochi mesi fa, ai momenti in cui sembrava che nella mia testa ci fosse un'altra persona, una che voleva uccidersi, e io mi sentivo impotente. Ho paura che qualcosa possa scuotermi di nuovo, e al contempo ho paura del vuoto, dell'apatia, del non sentire nulla. Voglio un equilibrio. L'ho detto alla psichiatra, ma, non so, sembra che lei non abbia soluzioni da darmi e nemmeno suggerimenti per trovarle da sola.
[#13]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
"...Adesso sono combattuta...."

Gentile ragazza, in qualità di psicoterapeuta, io posso soltanto consigliarLe vivamente di riprendere in mano la Sua vita e, se questa conversazione on line, Le è in qualche maniera stata utile per avere spunti di riflessione o per comprendere un po' meglio la Sua situazione, valutare un eventuale cambiamento, pensando in prima battuta alla Sua salute e al Suo benessere.

Un cordiale saluto,
Disturbi di personalità

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