Iperattività a lavoro: come devo fare?

Gentili Dottori,
vi ringrazio in anticipo per ascoltare le mie parole.

Lo scorso anno ho intrapreso un percorso con una psicologa, di cui poi mi sono sentito abbastanza sicuro da volerlo interrompere.

Uno dei frutti di questo percorso è avermi dato una grande forza nel lanciarmi in un lavoro.

Sto ancora terminando gli studi, ma la presa di coscienza della mia voglia di indipendenza mi ha spinto nella direzione di cercare di studiare e lavorare.
Le due cose si conciliano perfettamente e anzi, devo essere onesto forse i risultati universitari sono anche migliori rispetto a quando non lavoravo, anche se ormai sono in dirittura d'arrivo.
Ho iniziato questo lavoro da circa un mese; non si tratta di un "lavoretto del fine settimana", ma un lavoro vero e proprio, di cui ne sento tutto il peso

Purtroppo però inaspettatamente l'ansia è aumentata: il lavoro mi piace relativamente, è quello per cui ho studiato ma... c'è un ma: mi sento morire a passare tutto il giorno davanti ad un pc dalle 8: 30 alle 18.
Mi sento letteralmente morire, mi sento a disagio per il continuo alzarmi andare a bere, andare in bagno, provo a chiacchierare con qualcuno ma tutti presi nella loro postazione d'ufficio, sembra di disturbare.

Mi sento letteralmente fuori luogo, il tempo non passa mai.
La paura del rimpianto di non godermi la mia giovane età (23 anni), ed aver costretto me stesso alla rigidità del lavoro troppo presto.

Penso di essere iperattivo.

Non so che fare... non capisco: il lavoro mi piace, ma non mi permettono di sviluppare quello che voglio, bisogna stare nei rigidi canoni e tempistiche aziendali.

Ho chiesto e provato a lavorare su un progetto mio ma la risposta "ci porterebbe via troppo tempo per lo sviluppo rispetto a quello che i nostri clienti vogliono".

L'unica motivazione che mi porta a continuare è quella di imparare il prima possibile e poi cercare di mettermi in proprio, dando sfogo alla mia creatività, ma poi penso che la spensieratezza dei 23 anni non la restituisce nessuno indietro.

Non so che fare.
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Dr. Ferdinando Toscano Psicologo 193 10
Gentile utente,
Innanzitutto ci fa piacere leggere del successo del percorso che ha svolto qualche tempo fa e saperla alle prese con un lavoro e alla fine del suo percorso universitario.

Venendo al suo quesito, c'è da riconoscere innanzitutto che il lavoro dipendente non è una realtà semplice.
Si è appunto dipendenti. Non solo dalle direttive delle persone che ricoprono posti gerarchicamente superiori nell'organigramma aziendale. Ma da tutto un contesto organizzato, fatto di regole, prassi, tempi, limiti d'azione che costituiscono, appunto, l'organizzazione, parola non scelta a caso, nella quale si lavora.

Lei è agli inizi e vive un adattamento non facile da svolgere, spesso sottovalutato, ma necessario.
Il consiglio che le do è di darsi un tempo perché questo incontro tra la sua persona e la sua azienda diventi più funzionale.
Psicologicamente, non si diventa lavoratori in un giorno!

In questa fase, non faccia di testa sua, non avanzi pretese. In questi primi tempi, se crede alla bontà della sua organizzazione, alla sua diciamo qualità, si lasci plasmare dal nuovo contesto. Impari non solo il mestiere, ma anche le regole che caratterizzano il lavoro (che segue innanzitutto la logica della massima efficienza produttiva, anche a discapito di una certa chiusura verso nuove idee se non ritenute "vantaggiose")!
Non le si chiede naturalmente di rinunciare alla sua persona, ma di calarla nel contesto sociale in cui lavora affinché una crescita sia possibile. Contesto che, se lavorerà bene, saprà apprezzarla
Eventualmente, anche l'idea di mettersi in proprio maturerà grazie a questa sua esperienza da dipendente. Non solo negli apprendimenti tecnici, ma anche nello sviluppo di un senso pratico, nella capacità di business, nel saper stare alle regole che pure un libero professionista o imprenditore deve, pur in maniera diversa, avere.

Un ultimo punto: la spensieratezza di cui parla non va sacrificata.
Nessuno le può togliere il suo tempo libero, dove può fare quello che desidera.
Certo il lavoro è un'altra cosa e richiede attenzione e un certo devolversi.
Ma avrebbe senso posticipare il suo ingresso nel lavoro, e un po' anche nel mondo dei "grandi" in nome di questa spensieratezza? E nel frattempo cosa farebbe? Il Peter Pan? :)

Un caro saluto e i miei auguri di buon lavoro

Dott. Ferdinando Toscano
Psicologo

[#2]
dopo
Utente
Utente
No Dottore, non avrei fatto "Il Peter Pan" io ho sempre studiato e mi sono sempre dato da fare, tra qualche lavoretto mi sono anche pagato il percorso da solo.
Studiare mi dava un senso di meraviglia, ed infatti l'ho sempre fatto con interesse e passione: cosa che non riesco ora ad intravedere nel mondo del lavoro.
Lei dice di farmi "plagiare dall'organizzazione", le dico la verità: mi spaventa diventare come qualche mio collega, testa bassa sul pc e assenti da tutto il resto che li circonda.
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Dr. Ferdinando Toscano Psicologo 193 10
Gentile utente,
quello che voglio dirle è che il passaggio da studente a lavoratore è una tappa più o meno inevitabile della vita (guai se non fosse!) e non c'è dubbio che tolga qualche libertà... ma dopotutto, a 23 o a 25 o a 28... cosa le cambia?
Se è in procinto di terminare gli studi, passare al lavoro è la cosa più naturale del mondo... altrimenti il rischio è di diventare un eterno Peter Pan... Cosa che non ho detto che lei è, ma che diventerebbe se, terminati gli studi, diciamo si rifiutasse di passare al lavoro pur avendone la possibilità.
Mi dispiace abbia accolto questo messaggio un po' sulla difensiva. Difensiva che traspare anche quando coglie il mio "plasmare" in "plagiare".
Non deve farsi plagiare, mai sia, ma plasmare. Il lavoro organizzato, se lavora in un'azienda seria e capace di trattare con rispetto i suoi dipendenti, è una scuola di vita.
All'inizio si arriva pensando di avere il mondo in tasca, e magari pure di essere migliori degli altri... poi si scopre che il lavoro non è solo idee, entusiasmo, ma anche molto pragmatismo, scelta di come spendere il proprio, strategia. E' anche un saper stare al mondo quando non si è d'accordo coi superiori e coi colleghi.
Non deve perdere se stesso, assolutamente no, né diventare uno "yes man"... Ma c'è un compromesso da fare, altrimenti non impara nulla da questa esperienza.

Cari saluti

Dott. Ferdinando Toscano
Psicologo