Partner donna di un dipendente affettivo

Credo che il mio compagno soffra di dipendenza affettiva nei miei confronti.
Sono una donna di 43 anni con dei bisogni enormi, oceanici da sempre, bisogni che sono "scappati fuori" tutte le volte che mi sono innamorata (parecchie), ovviamente non ho mai potuto dare libero sfogo alla mia "fame" perché aimé non sono mai stata ricambiata fino il mio attuale compagno quindi essendo peraltro molto attraente ho collezionato un infinità di relazioni sessuali mai andate a buon fine.
Tutto questo è durato circa 20 anni finché non ho incontrato lui.
L ho conosciuto un n un momento molto positivo della mia vita dovuto a una lunghissima psicoterapia che mi ha fatto molto maturare, ritrovare la mia moribonda autostima e soprattutto mi ha fatto elaborare le atroci sofferenze e deprivazioni affettive del passato dandomi una consapevolezza profonda di me stessa.
In breve tempo da arrendevole e passiva sono diventata risoluta e combattiva, ho imparato a divertirmi finalmente a ridere, scherzare, dire la mia esprimermi in poche parole ho imparato a godere, cosa che per me era sempre stata lontana anni luce.
Cominciò ad avere molto successo con gli uomini e per la prima volta non per il mio aspetto ma anche per la mia personalità cosa che mi riempie di gioia.
Ma ho scelto lui,.
E la persona più buona del mondo ma ha i suoi problemi.
Dice di amarmi alla follia ma io credo proprio si tratti di dipendenza, percepisco tanta sofferenza in lui dietro la sua facciata di persona solare e divertente.
Ero molto innamorata di lui, ha un anno meno di me è bello e solare e molto passionale proprio come me ma per n breve ha cominciato a manifestare una folle gelosia nei miei confronti e a sospettare di tutti gli uomini a cui dico semplicemente ciao cosa che mi ha causato molta rabbia e frustrazione.
Inoltre sono stata parecchio delusa dalla sua mentalità parecchio tradizionalista e chiusa e mi dispiace dirlo anche borghese e benpensante al contrario di me che sono molto aperta con un forte senso di giustizia fratellanza e uguaglianza.
A causa di queste divergenze abbiamo litigato furiosamente.
Ma queste liti lo hanno ferito profondamente forse più di me perché lo hanno fatto sentire inferiore rispetto a me, un giorno sfogandosi me lo ha detto io l'ho consolato con tutta me stessa provando una tenerezza e una "compassione" infinità.
Il problema e tutto qui: la sua sofferenza mi uccide mi annienta, mi sconvolge l anima fino alle viscere, so che in questa relazione sono io quella che deve dare senza ricevere ma so anche che non riuscirò mai a lasciarlo per soddisfare altrove i miei bisogni.
Mi chiedo: io non sono madre Teresa di Calcutta anzi sono molto tosta e ribelle e se qualcuno mi fa un torto state certi che se ne pentira', quindi cosa mi tiene legata a lui?
Sono dipendente anch'io da lui stesso n un certo senso?
E quale è il mio tornaconto dal momento che è tutta la vita che aspetto un uomo che sia in grado di amarmi profondamente e non in maniera infantile come lui?
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.9k 186
Gentile utente,
per prima cosa le raccomando di discutere la problematica che si è prodotta nella sua relazione con il/la terapeuta che l'ha seguita. Il fatto che la terapia sia stata dichiarata conclusa non ha importanza, in quanto a mio avviso quello che lei sta attualmente vivendo è proprio il frutto del suo passato e in un certo senso la conseguenza della sua guarigione.
Faccio un'ipotesi, ma posso sbagliare perché non la conosco. Lei vorrebbe vivere da donna rinnovata e libera, sfidando anche le difficoltà dei rapporti d'amore, e insieme vorrebbe pagare l'obolo della sua guarigione beneficando un altro "malato", nel quale ravvisa: 1) lei stessa di in tempo; 2) l'uomo capace di quell'amore devoto e assoluto che un tempo l'avrebbe tanto gratificata e che non ha potuto avere.
Alcune sue frasi sono indicative: "so che in questa relazione sono io quella che deve dare senza ricevere ma so anche che non riuscirò mai a lasciarlo per soddisfare altrove i miei bisogni".
Si tratta di due frasi: nella prima afferma di sapere che in questa relazione lei deve dare senza ricevere. Perché mai? Per dovere? Per fatalità? Per scelta? In ogni caso ne consegue un rapporto dispari, malato, inevitabilmente a rischio di finire prima o poi fuori strada, come una bicicletta con una ruota sgonfia.
Nella seconda frase c'è la debolezza di una sua guarigione imperfetta, l'obolo che sente il dovere di versare alla sorte, come se dicesse: "Chi sono io per respingere un uomo che mi ama così tanto?".
Lei è una persona intera, con desideri e diritti, anche quello di sbagliare, anche quello di ferire un partner debole (che vuol dire anche aiutarlo a crescere).
Infine la sua parte sana emerge nella domanda: "E quale è il mio tornaconto dal momento che è tutta la vita che aspetto un uomo che sia in grado di amarmi profondamente e non in maniera infantile come lui?"
Questo è appunto ciò su cui deve interrogarsi con il/la terapeuta, per uscire davvero dalle acque torbide della malattia e guardare coraggiosamente in avanti.
Auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com