Ho un bruttissimo rapporto col cibo

Cari Dottori,
ho 33 anni,peso attualmente 85 kg e sono alta 160 cm.
La mia è una storia complicata da scrivere.
fin da piccolissima,il mio rapporto col cibo è stato sempre molto brutto,mangiavo sempre di nascosto e male perche'la mia famiglia non mi permetteva di stare seduta a tavola(tu sei una femmina e devi servire i piu' grandi,se ci avanzera' qualcosa,mangerai!).
E,allora,quando rimanevo sola,trangugiavo tutte le schifezze che trovavo(salati con dolci,montagne di cioccolate che i miei conservavano RIGOROSAMENTE per gli ospiti,ecc).
In piu',mio padre ha abusato di me e del mio fratello piu' piccolo(sessualmente,fisicamente e psicologicamente),da che ero bambina fino ai miei 20 anni(anno in cui sono scappata di casa).....l'avessi fatto prima|
Nonostante queste mangiate poco salutari,il mio peso è stato sempre nella norma(54 kg)...probabilmente perche'mi facevano lavorare come un mulo,nei campi,e quindi smaltivo tutto.
Una volta andata via di casa,ho trovato un lavoro sedentario ,mi sono calmata ,ma ho continuato a mangiare in modo sbagliato....e cio',mi ha portata a raggiungere 70 kg in un anno.
Nel frattempo mi sono sposata,ho avuto 3 aborti spontanei e un bimbo che oggi ha 5 anni ,e Dopo altri gravi problemi affettivi,ho deciso di darmi da fare per me.
Mi sono iscritta all'universita'(psicologia),mi sono messa nelle mani di una bravissima psicoterapeuta ed ho risolto tanti problemi che avevo,eccetto quello dell'alimentazione ed un'altro.
Vi scrivo per questo motivo:un mese fa',supportata dagli effetti della psicoterapia,mi sono decisa ad andare al centro obesita'per un consulto.
Quando sono arrivata li,pero',nessuno mi ha chiesto nulla sul mio rapporto col cibo,mi hanno SEMPLICEMENTE DETTO:Signora,si spogli,e rimanga solo con le mutande.
Siccome l'altro mio problema non risolto è proprio quello del non riuscire a spogliarmi(indosso maglioni a manica lunga anche l'estate),mi sono bloccata ed ho detto loro che non me la sentivo di spogliarmi.
Una delle dottoresse ,mi si è messa a ridere in faccia ,divertita da tanta stranezza e mi dice:" non faccia la bambina,si spogli!" e l'altro collega aggiunge:"anche perchè oggi,le bambine non sono affatto timide!
A quel punto,mi sono innervosita ed ho risposto:"sara' che io faccio la bambina,ma voi siete capaci di fare i medici?"
Tralascio le umiliazioni che mi hanno vomitato addosso e chiedo ,gentilmente,a voi.
So' bene che al cibo noi,individulmente,attribuiamo svariati significati,probabilmente è questo il motivo per il quale non riesco a "guarire".
Ho notato che,non appena un uomo mi fa dei complimenti,torno a casa e mi metto a mangiare con voracita' di tutto(la mia terapeuta dice che assumo questo comportamento per imbruttirmi,in modo che nessuno si azzardi a guardarmi);la stessa cosa la faccio quando mi sento sola.
Inoltre,i miei 85 kg,cominciano ad essere davvero troppi,non riesco a camminare,ho le caviglie gonfie,e mi vedo goffa al punto da non uscire di casa(esco solo per andare a lavoro e per seguire i corsi all'universita'),ma voglio vivere e non sopravvivere.
Sapreste consigliarmi su cosa fare,visto che non riesco(per ora)a spogliarmi per una visita?
Secondo voi,non è possibile aiutarmi senza per forza visitarmi?
Affinchè venga data una dieta,è necessario rimanere in mutande?
Spero in una vostra risposta.
Intanto,grazie per l'attenzione.
Saluti
[#1]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 993 248
Qualunque siano i significati che noi attribuiamo al cibo, lei descrive comunque un problema di comportamento alimentare (alla fine il problema è che di fatto il suo appetito è come una spia che si accende in circostanze anche neutre o favorevoli). Non si tratta di fame, cioè di quel meccanismo che ci garantisce il pronto ricorso al cibo se siamo "in carenza" di energie da utilizzare immediatamente, ma della spinta ad assumere cibo, che può essere vissuta come un piacere da consumare, ma anche semplicemente come una smania da soddisfare "come se" fosse un piacere, ma senza che in realtà poi ci sia questa grande gratificazione. Il pensiero del cibo accompagna in genere più i preliminari che non la consumazione.
Questo tipo di rapporto cronicamente alterato configura un disturbo della condotta alimentare che può essere affrontato con mezzi psicoterapici e psichiatrici classici.
Inserisco a questo proposito uno scritto nella sezione MinForma per vedere sono i sintomi in cui si riconosce.
Saluti

Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini

[#2]
dopo
Attivo dal 2008 al 2008
Ex utente
Caro Dottore,
grazie per avermi dedicato la sua attenzione.
Alla fine della sua risposta mi ha scritto:
"Inserisco a questo proposito uno scritto nella sezione MinForma per vedere sono i sintomi in cui si riconosce.
Saluti"
..ma non mi è arrivato nessuno scritto!!!...c'è stato un errore d'invio ,oppure ho capito male?
Riguardo al mio modo di mangiare,è davvero rivoltante,mi creda,e non provo alcuna soddisfazione nel farlo(come ha detto anche lei).
Credo che se mi concentrassi un po,riuscirei a contarle sulle dita le poche volte che ho mangiato per fame.
Purtroppo,i miei 3 anni di psicoterapia,hanno esasperato il mio gia' cronico problema(anche se tanti altri problemi me li ha risolti);è stato come se,l'aver preso coscienza della gravita' di cio' che mi è successo,mi avesse fatta isolare dal mondo sociale e rinchiudere col cibo(che si puo' masticare e mandare giu',a differenza delle persone che ancora mi circondano)...non so' se sono riuscita a spiegarmi bene.
Un caro saluto

[#3]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 993 248
Sì, ci deve essere stato un problema tecnico, inserisco qui il testo scritto da me in cui descrivo questa condizione.

Dipendenza da cibo

Il comportamento alimentare è soggetto ad alcuni disturbi, in parte inquadrati in maniera precisa, come la bulimia e l’anoressia, in parte ancora poco conosciuti e descritti. Di fatto, i casi di obesità o di disagio per l’incapacità di controllare il proprio appetito sono gestiti in base all’elemento “peso corporeo”, in genere con approcci quali diete e rieducazione alimentare, oltre che terapie farmacologiche. In verità, molti soggetti sovrappeso che quotidianamente si confrontano e lottano contro il pensiero del cibo e falliscono nel tentativo di ignorare o controllare il proprio appetito, non traggono alcun beneficio da misure dietologiche, semplicemente perché non sono in grado di gestirle. Non si tratta di volontà ma del fatto che l’appetito e quindi il comportamento di ricerca del cibo non sono controllabili nemmeno avendo una forte motivazione al dimagrimento. Al contrario, spesso la dieta in queste persone esacerba pensieri e istinti riguardanti il cibo, ed è vissuta come un tentativo fallimentare ma anche odioso di sottrarre il cibo. La persona, anziché vedere ridotto il proprio appetito, che è il centro della preoccupazione, vede ridotto l’oggetto da consumare, che il cervello identifica come un elemento essenziale e irrinunciabile, per cui reagisce con un aumento della voracità e della frustrazione per l’evidente incapacità di fare quello che in condizioni normali sarebbe possibile (mangiare di meno e dimagrire). Ma soprattutto, queste persone sanno che il problema non si esaurirà nella perdita di peso, e che il problema dell’appetito ritornerà anche dopo essere dimagriti, causando o un nuovo ingrassamento, o comunque un disagio cronico rispetto alla necessità di arginare questo aumento. Le terapie farmacologiche per il controllo dell’appetito sono efficaci nella bulimia, ma non esiste ad oggi un farmaco affidabile e sicuro per tenere l’appetito sotto controllo, che possa essere usato in maniera continuativa . La dipendenza da cibo è quindi una “nuova” patologia, di definizione recente, che tuttavia risponde al modello generale di una dipendenza, una di quelle dipendenze non direttamente chimiche.

Quadro clinico

Dipendere dal cibo può comprendere anche episodi di vere e proprie abbuffate, con consumo di grandi quantità di cibo, come nella classica bulimia, ma non è necessariamente così. L’alterato rapporto con il cibo, vissuto in maniera eccessivamente urgente e intensa, si può esprimere nei seguenti modi:

- Mangiare più velocemente del normale, con il risultato di gustare di meno il cibo stesso

- Mangiare anche quando ci si sente pieni. Alcuni usano magari bevande o alcol o caffè per favorire un rilassamento o uno svuotamento dello stomaco in maniera da poter introdurre ancora cibo, o al limite il vomito autoindotto.

- Mangiare senza avere più la capacità di distinguere tra fame e sazietà (mangiare senza fame).

- Compiacersi nell’immaginarsi mentre si consuma cibo, pensare mentre si compiono altre attività a quando si andrà “finalmente” a mangiare.

- Accorgersi che le proprie spese per il cibo, e anche il tempo dedicato al mangiare stanno aumentando in maniera imbarazzante.

- Mangiare in maniera solitaria, con la tendenza a mangiare di meno quando si è altri.

Sostanzialmente la dipendenza da cibo si definisce quando

a) la persona desidera il cibo in maniera continua e intensa, ma di fatto la gratificazione durante il pasto non è soddisfacente, e anzi diviene fastidiosa per il dolore addominale, la vergogna e il peggioramento dell’umore e dei livelli di energia dopo i pasti, magari con l’insorgere di sonnolenza. Questi sintomi possono essere anche sfumati, in persone che magari non sono obese ma soltanto sovrappeso, e non sono evidenti dall’inizio, ma con il tempo.

b) la persona si trova a pensare da una parte a consumare il cibo come se fosse la cosa più gratificante della sua giornata, dall’altra a coltivare l’intenzione di eliminare il cibo dalla sua giornata, o meglio il pensiero del cibo. In alcuni momenti si può stabilire un corto-circuito mentale con l’idea che l’unico modo di sfuggire a questa “ossessione” per il cibo sia quello di mangiare abbastanza e in piena libertà.



Esistono forme eclatanti per quantità , che inducono quindi la persona a comprarsi il cibo di nascosto, a tenerlo nascosto e portarlo con sé sempre, a consumarlo di nascosto. Vi sono però anche forme subdole, dominate da questa lotta quotidiana tra appetito e intenzione di controllare il comportamento, compensate per quanto riguarda il peso dalla possibilità di saltare pasti, di fare esercizio fisico o altro.

La terapia spesso inizia con un errore fondamentale, ovvero quello di trattare questi casi come se derivassero da un appetito abnorme per il modo in cui si genera: si cerca di ripristinare un contesto normale di alimentazione, e di modulare fattori affettivi, cognitivi e quant’altro al fine di riportare l’appetito in linea con la fame, ed evitare che si associ ad altre valenze, come la gratificazione o l’automedicazione di stati depressivi. In realtà, il dramma dei dipendenti da cibo è un appetito eccessivo, spesso fin dall’infanzia, e ogni ragionamento sul cibo e l’alimentazione non ha un grande impatto poi sul comportamento. Diversi antidepressivi che riducono l’appetito nella persona depressa/ansiosa, o curano la bulimia classica, non sono di fatto utili in queste forme. Il vantaggio che danno è spesso quello di minori sensi di colpa e una minore tendenza a rimuginare sul proprio problema, ma non producono i risultati attesi sul controllo alimentare o sul dimagrimento. Il successo delle diete è possibile, ma temporaneo, e non è seguito da un equilibrio soddisfacente e stabile con un regime alimentare più controllato, che è vissuto comunque come una privazione o una rinuncia.

Altri approcci farmacologici per il controllo dell’appetito e della voracità, o chirurgia correttiva dell’obesità possono essere alternative percorribili per soggetti affetti da questi disturbi.
[#4]
dopo
Attivo dal 2008 al 2008
Ex utente
Caro Dottore,
il suo articolo centra in pieno la mia problematica.
E' tutto cosi come l'ha descritto lei....BRAVO.
Ed è proprio per questa serie di motivi,da lei divinamente descritti, che sono sfiduciata.
Il mio percorso psicoterapeutico iniziato a causa dei miei "tabu'"sessuali ,della mia (ex)bassissima autostima,ecc,si è concluso con successo un anno fa e ,da allora,io e la mia terapeuta siamo ripartite con un'altra intenzione:"curare l'aspetto alimentare",ma mannaggia quant'è dura la questione!...non vedo miglioramenti ad oggi,vedremo piu' in la'(anche se la mia terapeuta dice che il solo fatto di preoccuparmi è gia un successo :-) ).
Lei ha piu' che ragione riguardo ad una probabile dieta,m'innervosisce il solo pensare di dover pesare i cibi.....probabilmente non sono ancora pronta,converra' aspettare.E quindi,a questo punto,la mia richiesta rivolta alla scienza dell'alimentazione non ha piu' ragion d'essere(fermo restando che i dietisti da me incontrati al centro obesita',tanto bravi non lo erano proprio...soprattutto a livello umano).
Dottor Matteo,cos'altro dirle se non un sentito GRAZIE?...anche perchè si è interessato ad un argomento inviato in altra sede.
Grazie per l'articolo che ,non so perche,ma in qualche modo mi rincuora e mi rende piu' forte(consapevolezza???)
Un caro saluto e stia bene.
[#5]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 993 248
Mi fa piacere che Le sia stato utile leggerlo.
La sindrome è descritta in effetti, ma non ben codificata. Ricalca il concetto di "dipendenza" utilizzato per le sostanze d'abuso.
L'interesse per le dipendenze da oggetti non direttamente chimici nasce in parte perché mi occupo anche di questo settore della psichiatria, e dall'esperienza che ha portato alla mia attenzione svariati casi di persone con problemi alimentari inutilmente trattate o in ambito psichiatrico come "bulimia", che è una categoria precisa, o come mangiatori in eccesso in rapporto a problemi di ansia/depressione/stress e quant'altro, mentre invece ad un certo punto della storia il rapporto con il cibo, comunque sia nato, può assumere una piega autonoma e divenire il centro del disagio secondo un meccanismo che ricalca quello della dipendenza (anche sul piano biologico e cerebrale presumibilmente).
Saluti
[#6]
dopo
Attivo dal 2008 al 2008
Ex utente
Si,credo anch'io che ,di base,ci sia sempre la biologia.
Io sono per il buon senso e per la chimica,e sono piu' che convinta che ,le strutture cerebrali(e di conseguenza,funzioni "fini"come quelle neurotrasmettitoriali,ecc) si sviluppino grosso modo in modo simile in tutte le persone,ma con variazioni significative ed individuali a seconda delle esperienze,ripetute nel tempo,che ognuno di noi affronta nella vita......il classico discorso sulla lotta per la sopravvivenza. La macchina umana è disposta a rivoluzionarsi pur di garantirci la sopravvivenza.
Ho cominciato a volermi bene da poco,e questo mi fa sperare in una buona risoluzione del problema,anche se per ora(oltre che a comprendere e studiare) non so da dove partire.
Grazie ,è stato molto gentile,e mi permetta di dirle che,il suo,è un campo molto affascinante.
Le auguro di fare ulteriori passi avanti nella ricerca sulle dipendenze alimentari e non,anche perchè ho l'impressione che non se ne sappia ancora molto.
Le chiedo una cortesia,se pubblichera' altri Minforma inerenti questi argomenti,le sarei grata se me lo faesse sapere.....se non puo'non si preoccupi.
Un caro saluto e ancora GRAZIE.
Cinzia
[#7]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 993 248
Non ho un suo contatto diretto. Se vuole lasciarmelo perché le mandi aggiornamenti può andare alla mia scheda personale cliccando sul mio nome e scrivermi alla posta elettronica che trova lì lasciando il suo indirizzo di posta elettronica. In alternativa ovviamente può lasciarlo qui sul topic, ma per riservatezza forse preferisce il primo modo.
Saluti
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