Il decorso e la prognosi del primo episodio psicotico

Buongiorno, dottori!

La mia terapia farmacologica, per "disturbo dello spettro bipolare", è attualmente composta da: mezza compressa di Bupropione, da 150 mg, ed Efexor a rilascio prolungato (quest'ultimo di marca) da 150 mg - entrambi al mattino presto; una compressa orodispersibile di Aripiprazolo da 10mg, la sera. Ciò premesso, occorre che racconti, brevemente, la mia storia clinica fin dall'inizio, per chiarire così i motivi delle domande finali.

Anni fa, a 24 anni, ebbi un violento litigio con mio padre, in seguito al quale iniziai a schiaffeggiarmi da sola, per disperazione. Mio padre, quindi, chiamò la guardia medica: il medico che venne a casa mia, anziché occuparsi solamente di me, valutando la situazione globale, decise invece di accompagnare in ospedale mio padre, a cui sarebbe poi stato diagnosticato un disturbo bipolare - in fase maniacale al momento dell'ammissione in reparto, in fase mista al momento della dimissione dopo 40 giorni. Lo stesso medico di guardia consigliò a me di andare in un altro ospedale: venni quindi ricoverata volontariamente in Spdc, ma dimessa dopo 4 giorni con diagnosi di "reazione di adattamento".

L'anno seguente, venni ricoverata nuovamente e con urgenza, perché la psichiatra del Csm, che mi seguiva dal momento del ricovero precedente, durante l'ultima visita mi trovò in "stato confusionale". Fui dimessa con diagnosi di "disturbo di personalità" e iniziai una cura a base di Aripiprazolo 15mg e Sertralina 50mg, più Felison (non ricordo il dosaggio, penso fosse 15mg) la sera per dormire. Questa diagnosi non mi convinse mai... e non solo: la psichiatra del tempo, che mesi dopo sarebbe andata in pensione, disse d'essere parzialmente in disaccordo coi medici del reparto psichiatrico, ma non specificò mai chiaramente su cosa.

Lo psichiatra che la sostituì, e che mi segue da allora, si disse, pure, in disaccordo; secondo lui il mio secondo ricovero fu dovuto a una "psicosi", che, di seguito, proverò a descrivere con parole mie: grossi problemi di memoria, di concentrazione; perdevo sempre il filo del discorso, ma l'umore, come scritto anche nel foglio di dimissione, era "in asse"; ero molto angosciata e preoccupata d'avere una malattia fisica. Da allora, lo stesso psichiatra ha osservato solo depressione, ma mai una fase maniacale (nemmeno "ipo") o un ritorno di psicosi, e la mia diagnosi definitiva resta da sempre "in itinere", per così dire.

Considerando il disturbo bipolare di mio padre e il fatto che il mio primo e unico episodio psicotico fosse, probabilmente, una psicosi "pura", senza alterazioni d'umore: qual è la probabilità che rimanga l'unico episodio della mia vita? Come faccio a capire se si tratti d'una psicosi non persistente, non ricorrente, se la terapia, forse, "copre" appunto il ritorno del sintomi? Se si è trattato d'un unico episodio, quanto deve durare la terapia di mantenimento a base di Aripiprazolo perché non si ripresenti più il problema in futuro?

Ringrazio chi mi risponderà.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 986 248
Primo e unico episodio prima della terapia, ma poi ha proseguito una terapia antipsicotica, per cui sulla base di cosa si dovrebbe stabilire un rischio di recidiva ? Il rischio di recidiva si intende dopo un primo episodio e senza trattamento, ma se c'è un trattamento e non ci sono più stati episodi...
La cura è compatibile con diversi tipi di psicosi, quindi sul piano diagnostico non distingue tra l'una e l'altra. Certamente "disturbo di personalità" non è una diagnosi, di nessun tipo. Psicosi è una diagnosi generica sull'episodio acuto, e poi la cosa resta in sospeso. Strano, perché anche in assenza di fasi acute si riesce comunque a inquadrare il tipo di situazione.

Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini

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dopo
Attivo dal 2017 al 2019
Ex utente
Per quanto concerne il primo punto da lei sollevato, provo a formulare diversamente la mia domanda: avendo avuto un primo episodio, trattato efficacemente e non ripresentatosi, correrei rischi, in futuro, se dovessi sospendere l'antipsicotico attuale (ovviamente se il mio psichiatra fosse d'accordo)? La psicosi potrebbe tornare, anche a decenni di distanza? Ci sono studi in merito, in letteratura scientifica? L'idea di subire un altro episodio del genere mi terrorizza.

In secondo luogo, lei ha confermato un sospetto: che la mia cura attuale sia compatibile con diversi tipi di psicosi... è come se gli psichiatri del reparto di allora, non sapendo che pesci pigliare, mi avessero "rifilato" qualcosa che potesse andar bene un po' per tutto. Me ne domando la motivazione, ma naturalmente non la domando a lei (ormai ci scherzo su).

Aggiungo, come avevo già scritto, una cosa: l'attuale psichiatra, colui che mi ha seguita dopo il pensionamento dell'altra, pur in assenza di fasi psicotiche, ha sempre - e solo - rilevato gravi sintomi depressivi. A parole mie, la mia "depressione" è sempre stata caratterizzata da forti sentimenti di frustrazione e di disperazione, da difficoltà di concentrazione e di memoria e dal fatto di non aver la forza d'alzarmi dal letto, salvo che per ingozzarmi di cibo ogni tanto. Ho rivisto la luce dal fondo del tunnel solo grazie all'Efexor e al Buproprione... oltre, naturalmente, all'Abilify.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 986 248
Il concetto di "non ripresentatosi" si definisce in assenza di cura, in presenza non si può dire che non si è ripresentato e distinguere questo da un semplice e costante funzionamento della cura in corso.
Quindi, per intenderci, non si è ripresentato, ok, ma non è quindi la prognosi statistica di un singolo episodio psicotico ormai risolto.
E' normale che si dia una cura che copra le principali psicosi, come si fa con un antibiotico prima di sapere di preciso che batterio è, ma questo mi pare corretto.
Ha rivisto la luce grazie a una cura in cui Lei vede importanti gli antidepressivi, e poi in coda mette l'altro. Ma fino a prova contraria ha funzionato la cura in sé. Per esempio l'episodio psicotico aveva caratteristiche non affettive, o affettive ? Era una depressione psicotica, uno stato misto psicotico, o una mania psicotica ? Questo intanto di solito si cerca di definire alla dimissione, anche perché ne deriva una prognosi e una strategia terapeutica più precisa.
Dopo di ci basa su altri fattori, tipo la familiarità, il tipo di decorso clinico, il tipo di adattamento che la persona recupera, altri elementi precedenti che erano magari stati trascurati perché non gravi o non patologici, ma indicativi di un tipo di diagnosi. E così via.
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dopo
Attivo dal 2017 al 2019
Ex utente
Per quanto riguarda la parte iniziale: grazie, dottore, ora i miei dubbi sono risolti. Non c'è modo di sapere se la mia psicosi sia "passata" del tutto o se sia semplicemente "coperta" dall'antipsicotico, che funziona egregiamente e che non sottovaluto rispetto agli antidepressivi, mi creda (quel periodo è stato un inferno, avevo al tempo l'impressione d'avere una qualche demenza, e non voglio ripetere l'esperienza, dovessi anche assumere Aripiprazolo a vita per evitarlo, sul serio). Mi facevo domande, solo, in merito alla durata, forse stimabile, della mia terapia antipsicotica, nonché di quella antidepressiva.

Non so dirle molto del mio unico episodio psicotico, in quanto gli psichiatri del reparto, sul foglio di dimissione, oltre a "disturbo di personalità", non scrissero cose significative, almeno non per me, eccettuato il fatto che l'umore apparisse "in asse". Non ho modo di contattare la psichiatra del Csm ormai in pensione, né gli psichiatri del reparto, perché si sono trasferiti o sono andati in pensione a loro volta. Il mio psichiatra attuale, comunque, è convinto che si sia trattata d'una psicosi "molto accelerata"... il che, tenendo per buono il fatto che l'umore fosse davvero "in asse", farebbe pensare a un episodio psicotico, ma non affettivo (secondo un mio ragionamento fallibile, sia chiaro). Non so se fosse una depressione psicotica o altro, però c'è un dato: avevo preoccupazioni somatiche ed ero quasi convinta d'avere una malattia (e quindi forse deliravo, ma nel foglio di dimissione nemmeno ciò è stato specificato, purtroppo).

Basando tutto sulla familiarità, visto il d. bipolare di mio padre, potrebbe essere quello, ma fasi "up" non ci sono mai state, stando al mio psichiatra. Secondo quest'ultimo, il mio decorso denota un "cambiamento di quadro" (spero d'aver usato le parole corrette): depressione, così grave che, dopo aver provato Sertralina a dosaggi crescenti (la quale, invero, m'era stata prescritta dai medici del reparto per tratti ossessivi di personalità, dallo psichiatra attuale ritenuti molto blandi e poi divenuti per così dire infinitesimali), ha aggiunto l'Efexor, partendo da 37,5 mg, fino a 150mg. A un certo punto, siccome accusavo letargia, affaticabilità (me ne stavo a letto con la mente vuota tutto il giorno), eccetera, ha rimosso la Sertralina e introdotto il Buproprione. Prima, come lei mi ha fatto notare, ho messo in coda l'Abilify, ma non intendevo sminuirne l'importanza: grazie a esso non sono più psicotica, ma senza il Buproprione sarei ancora un vegetale, francamente. Grazie al Buproprione, infatti, il cosiddetto "funzionamento" ha subito un'impennata: ho ripreso l'università e ho ricominciato ad avere impegni e a riuscire a concentrarmi come 10 anni fa; non sono diventata euforica, al contrario mi sento più calma e riposo meglio, di notte.

Il fatto che chieda sulla durata della terapia è in previsione del mio futuro: se, prima o poi, mi sposassi e programmassi una gravidanza, per esempio? Per ora è uno scenario lontano, ma mai dire mai.

In ultimo, devo dire d'essere arrabbiata, non con lei, né col mio attuale "psi", ma per come si siano comportati quelli del reparto: hanno sbagliato diagnosi e creato solo confusione (ad altri, me compresa).
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 986 248
Le diagnosi possono essere lasciate in sospeso inizialmente, però si tende a definirle proprio per avere un'idea di quale sia lo sviluppo, e anche le terapie, che magari inizialmente possono anche essere simili.
Le psicosi cosiddette brevi o gli episodi singoli, nell'era in cui le cure esistono, non si osservano quasi più. O meglio, si osservano spesso perché molti sospendono le cure, e quindi di fatto è vero che il modo per capire se si ripetono o meno non è più diretto.
Le fasi "up" sono spesso equivocate per fasi euforiche-gioiose, quindi non è detto che uno le riconosca come tali, non è la forma più frequente di fase up quella gioiosa-euforica.

La diagnosi di "disturbo di personalità" è in pratica una non-diagnosi, cioè vaga e comunque poco stabile nel tempo, oltre che non associata a nessuna particolare indicazione terapeutica. In presenza di una psicosi, pare strano in asoluto che si parli di "personalità".
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dopo
Attivo dal 2017 al 2019
Ex utente
Chiedo scusa: non c'è modo di sapere, quindi, se il mio sia stato un singolo episodio d'una psicosi che non tornerà più, anziché l'inizio d'una psicosi ricorrente, o addirittura persistente... senza aver prima interrotto i farmaci?

Non c'è un modo "diretto" per capirlo, senza farmi correre i rischi derivanti dalla sospensione d'un antipsicotico che, forse, per l'appunto elimina i sintomi d'una psicosi che in assenza di terapia potrebbe ricomparire per poi aggravarsi?



Per il resto, è stato molto chiaro... e la ringrazio.

Il disturbo bipolare è una patologia che si manifesta in più fasi: depressiva, maniacale o mista. Scopriamo i sintomi, la diagnosi e le possibili terapie.

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