La difficoltà delle scelte, troppo rimuginio?

Salve a tutti!
Sono un ragazzo di 26 anni e ho un quesito da porvi.

Da anni ormai, dopo aver abbandonato l'università per una scelta sbagliata, sto lavoricchiando negli uffici del mio comune (part time).
La cosa non mi entusiasma molto visto che il mio pensiero fisso è sempre stato quello dello studio e che la curiosità per le cose che mi circondano è il campo fertile su cui voglio poggiare le basi per il mio futuro (e presente).

Sono stato in una sorta di deadlock mentale per molto tempo, un limbo di scelte e rimuginio, finché non è arrivata un'esperienza che mi ha fatto pensare molto: l'aiuto docente in una scuola primaria.

Stare a stretto contatto con i bimbi e aver scoperto di avere una sorta di predisposizione naturale (perché sono molto giocherellone e sono sempre rimasto a contatto con il "me" bambino) mi ha dato grande soddisfazione, tanto da avermi fatto pensare di cominciare Scienze Motorie per poi diventare insegnante.

Perché Scienze Motorie?
Perché concilia con la mia grande passione per lo sport e per la scienza del movimento.

Qui però arriva il bivio.
Perché l'altra mia passione forte è sempre stata l'ingegneria (astronautica-nucleare): la fisica di ciò che ci circonda, la matematica più complessa, la grande soddisfazione nel problem solving e la bellezza del poter lavorare con tecnologie di ultima generazione (anche se, in questo caso, non ho avuto modo di entrare in uno studio ingegneristico).

Dunque, sono due vettori di pari intensità che spingono in direzioni opposte.

Quali sono le mie paure per entrambe?

Scienze Motorie: ho 26 anni; facendo una telematica + i 60 CFU per l'abilitazione uscirei idealmente a 32 anni con tutta la documentazione necessaria e mettendoci i concorsi potrei iniziare a lavorare dignitosamente tra 10/15 anni, veramente troppo tempo.
Ingegneria: gli orari massacranti, i picchi di progetto e tutta la burocrazia.

Aggiungo che Scienze Motorie mi darebbe tantissimo tempo libero per le altre mie passioni, cosa alla quale do molto peso visto che quest'età non torna più e ho veramente troppe cose belle da fare! Mentre ingegneria nutrirebbe appieno la mia voglia di sapere, cambierebbe il mio modo di vedere le cose e forse mi permetterebbe di realizzare il sogno di viaggiare per scoprire il mondo.

Se solo fare l'ingegnere avesse lo stesso monte ore settimanali dell'insegnante forse avrei meno dubbi nella scelta...

Negli ultimi mesi comunque non sono stato fermo, anzi: ho ripreso a studiare tutto il malloppo della matematica/fisica delle superiori e mi piace molto visto che sto migliorando tanto il mio metodo di studio.

Aggiungo una cosa su di me che non è mai cambiata, ovvero la mia "mission", se così si può chiamare: vivere una vita serena e ricca di curiosità, portando agli altri me stesso e creando legami unici.

Bene, ho finito.
Grazie mille a chiunque abbia voglia di darmi qualche consiglio!
Dr.ssa Elisabetta Carbone Psicologo, Sessuologo 251 10
Ciao LukeT,

Quello che racconti non è semplicemente un dubbio vocazionale, ma una forma di paralisi da significato: ogni opzione sembra caricata del compito di rappresentarti pienamente, e ogni rinuncia è vissuta come una mutilazione.

È importante notare che non stai scegliendo solo cosa fare, ma chi essere. E in questo, rischi di restare intrappolato in una progettualità infinita, dove ogni decisione viene rinviata per paura di perdere una parte di te, il tempo libero, il desiderio di sapere, la connessione con gli altri, il bambino interiore, ecc.

Ma nessuna scelta può garantirti tutto. Ogni strada, anche la migliore, comporta una perdita. E forse il nodo non è tanto ingegneria o scienze motorie , quanto la difficoltà a tollerare il limite, il conflitto interno, il dispiacere di dire no a una parte di sé.

Stai cercando di arrivare alla scelta giusta prima di fare esperienza del rischio. Ma a volte è solo scegliendo (e affrontando anche la frustrazione che ne deriva) che si forma davvero un’identità.

La domanda che forse puoi porti ora non è: qual è la scelta perfetta? , ma: quale parte di me sono disposto a sacrificare, oggi, per costruire qualcosa che duri nel tempo?

Rimango a disposizione,

Dott.ssa Elisabetta Carbone
Psicologa sistemico relazionale | Sessuologa clinica |
psicologa@elisabettacarbone.it | 351.777.9483

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Salve dott.sa Elisabetta e grazie mille per la risposta!
Ha centrato uno dei punti fondamentali e mi ritrovo in ciò che dice.

Le pongo un quesito però: è giusto pensare che la conseguenza sia un "sacrificio" di una parte di sé?
Quest'ultima poi rimarrebbe sopita o potrebbe venire fuori con forme diverse, magari inaspettate?

Io credo che per trovare il bandolo della matassa serva realmente sentire ciò che si ha dentro, specialmente quello che non si vuole ammettere.

Tornando alla sua proposta di domanda, la potrei codificare in questo modo:
-Scegliendo scienze motorie, le perdite più grandi sarebbero la possibilità di lavorare con tecnologie avanzate, fare esperienze più articolate con tanti viaggi, avere più stabilità economica, perdere la flessibilità mentale che dà il continuo esercizio e avere un ventaglio di conoscenze ampio.
-Scegliendo ingegneria, le perdite più grandi potrebbero essere il tempo libero, la spensieratezza dello stare con i bambini/ragazzi, lo spazio per le passioni più radicate e forse una vita più dolce (ma mediamente più statica).

Con ciò voglio dire che la mia percezione delle cose potrebbe essere alterata benissimo dalle poche esperienze che ho fatto.
Però, alla luce del mio anno passato in una scuola (pluriclasse, pochi bambini, ambiente tranquillo) posso affermare che dopo il periodo di adattamento (breve, non ho mai bisogno di tanto tempo per legarmi a un contesto) ogni mattina non vedevo l'ora di svegliarmi per andare a scuola con i "miei" bimbi e mi sentivo super energico.
Tuttora li vado a trovare e per loro sono diventato una figura di riferimento importante.

Ho paura che questi siano tutti segni che mi spingono verso scienze motorie a discapito di ingegneria. Però potrei essere influenzato dal fattore della familiarità.

D'altra parte (ingegneria), quando studio matematica o fisica, mi appassiono sempre di più e non vedo l'ora di scoprire nuovi orizzonti di calcolo per sfide sempre più complesse.

Per figurare il problema, è come se ci fossero due individui di pari forza che stanno tirando una corda.
Uno dei due deve cadere?
C'è uno più forte che sta lasciando vincere l'altro per svariati motivi?
Devono smettere di tirare la corda e unire le forze?
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Dr.ssa Elisabetta Carbone Psicologo, Sessuologo 251 10
Gentile LukeT,

La situazione che descrive sembra un conflitto intrapsichico a contenuto identitario. Non è solo una questione di scelta accademico-professionale, ma di ridefinizione dell’immagine di sé e delle proprie priorità evolutive.

Il punto cruciale non è cosa scegliere tra due opzioni, ma il tipo di struttura interna che si attiva davanti alla necessità di scegliere. In questo senso, si evidenzia una tendenza al pensiero dicotomico ( o l’uno o l’altro ) e a un funzionamento esplorativo, in cui ogni opzione viene analizzata fino a esaurimento, senza però passare all’azione
Ingegneria richiama tratti orientati alla performance, alla sfida cognitiva, alla verticalità del sapere, al riconoscimento esterno (valore, prestigio, padronanza).
Scienze Motorie invece si collega a tratti più ludici, affettivi, corporei, alla funzione di cura, alla relazione educativa con l’altro, alla continuità con aspetti regressivi-integrati (il sé bambino ).
Questa ambivalenza può essere letta anche in chiave evolutiva: la tua mente cerca una sintesi tra parti di sé che non sono in conflitto patologico, ma che devono ancora trovare una gerarchia funzionale. Il rischio, però, è rimanere in uno stato di pseudo-decisione cronica, in cui il tempo passa e l’identità non si struttura.
Un passaggio fondamentale può allora consistere nello spostare il focus dalla perfezione della scelta alla sua funzione trasformativa: ogni scelta, se portata avanti con continuità, permette il consolidamento del Sé adulto. E solo da lì, con l’identità più definita, potrai eventualmente tornare ad integrare ciò che oggi ti sembra inconciliabile.

Infine, rispetto alla metafora della corda: clinicamente parlando, è frequente che due parti interiori si contendano il controllo decisionale. Il lavoro terapeutico, in questi casi, mira a non far vincere una parte sull’altra, ma a trasformare la dinamica competitiva in una più integrativa. Questo implica anche la capacità di tollerare perdita, limite e frustrazione come elementi strutturanti, non come fallimenti.

Un percorso psicologico (anche breve) potrebbe essere utile per mappare le funzioni prevalenti (es. affettive, cognitive, motivazionali) e a costruire una gerarchia decisionale sostenibile nel tempo.

Resto a disposizione,

Dott.ssa Elisabetta Carbone
Psicologa sistemico relazionale | Sessuologa clinica |
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Grazie mille dottoressa.

Riconosco nel mio modo di pensare la tendenza al tutto o niente e la paura di sbagliare.
Mi piace la sua idea di usare la scelta come esperienza trasformativa, più che come ricerca della soluzione perfetta.
Devo riuscire a far dialogare le due parti di me senza restare bloccato nell’analisi.

Dunque, dopo aver stuzzicato il mio interesse, sarei interessato, se possibile, a un percorso breve e focalizzato sul problema, mi faccia sapere!
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Dr.ssa Elisabetta Carbone Psicologo, Sessuologo 251 10
Buongiorno LukeT,
Trova in calce la mia mail, oppure cliccando sul mio nome tutti i contatti.

Un caro saluto,

Dott.ssa Elisabetta Carbone
Psicologa sistemico relazionale | Sessuologa clinica |
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