Non riesco a sbloccarmi
Salve
C'è qualcosa in me che, fino a poco tempo fa riusciva a farmi stare bene, perche riusciva a isolarmi dal mondo delle emozioni che qualsiasi avvenimento potesse accadere, in me non suscitava nulla.
Sono sempre stato etichettato come quello che non prova nulla, come quello che non esprime mai un malessere.
Perché quando accade qualcosa che potesse farmi male, è come se nella mia testa ci fosse un angolo dove riesco a rifugiarmi e niente può arrivare fin li.
Ma io, da questo angolo vedo tutto, ma non vengo coinvolto emotivamente, come se fossero immagini mute.
So quando questo " problema " è iniziato, ma in me ha preso il sopravvento lentamente e man mano che capivo che rifugiarmi riusciva a salvarmi, ormai è normale per me riuscire a chiudermi e isolarmi.
Ero piccolo, non ricordo bene l età ma circa sui 10 anni.
Mia madre fu operata di un male, io non ne ero a conoscenza, e mi proposero in maniera di gioco, di andare a dormire per un paio di giorni da una mia zia.
Io notai fin fa subito che questa mia zia era troppo dolce con me.
Quando poi capii che in quei giorni mia madre era in ospedale, iniziai a collegare che se una persona si prende cura di me e si interessi a me, mi innesca una reazione di allontanamento, perché è come se interessandosi a me, c'è qualcosa da cui vorrebbe difendermi.
Negli ultimi 2 anni, andai da 3 psicologici, 1 per motivi personali ma non parlammo di questo problema, e successivamente altri 2 per via della separazione con la moglie che sto avviando.
La prima psicologa, improvvisamente mi chiese
Ma tu adesso dove realmente ti senti di essere?
Questa fu la prima e ultima seduta con questa psicologa perché lei capii il mio problema, e io non ebbi il coraggio di rispondere e nemmeno il coraggio di tornare da lei, soprattutto quando mi disse di aver capito e di voler fare il test di rorschach.
Il primo psicologo in cui andammo per affrontare la separazione, ascoltò me e mia moglie sui motivi della separazione e parlammo di noi.
Mia moglie gli disse che in 8 anni di relazione non ha mai trovato un riscontro in me durante una discussione o una lite, perché in me trovava solo silenzi e secondo lei indifferenza.
Lui gli chiese se avesse mai cercato di capire il perché di questo mio comportamento, perche anche lui capii e mi disse di fare un percorso con uno psicologo.
Mia moglie non sapeva di questa mia cosa, e una volta uscita fuori da questo psicologo, a cui non dissi di questa cosa, dapprima ne rideva, poi quando forse ha realmente capito, mi chiese come mai non ne parlai mai con lei.
Perché appunto, ne hai riso.
Di questo mio problema ne parlai solo con una coppia di amici, perche per me è come mostrarti il mio punto debole e avere paura che venga usato contro di me.
Adesso mi ritrovo troppo dipendente da questa cosa, non riesco a fidarmi e non ho voglia di voler conoscere nessuno perche non voglio avere in un certo senso un rapporto con qualcuno.
Da solo sto bene, però mi manca ogni tanto una carezza.
C'è qualcosa in me che, fino a poco tempo fa riusciva a farmi stare bene, perche riusciva a isolarmi dal mondo delle emozioni che qualsiasi avvenimento potesse accadere, in me non suscitava nulla.
Sono sempre stato etichettato come quello che non prova nulla, come quello che non esprime mai un malessere.
Perché quando accade qualcosa che potesse farmi male, è come se nella mia testa ci fosse un angolo dove riesco a rifugiarmi e niente può arrivare fin li.
Ma io, da questo angolo vedo tutto, ma non vengo coinvolto emotivamente, come se fossero immagini mute.
So quando questo " problema " è iniziato, ma in me ha preso il sopravvento lentamente e man mano che capivo che rifugiarmi riusciva a salvarmi, ormai è normale per me riuscire a chiudermi e isolarmi.
Ero piccolo, non ricordo bene l età ma circa sui 10 anni.
Mia madre fu operata di un male, io non ne ero a conoscenza, e mi proposero in maniera di gioco, di andare a dormire per un paio di giorni da una mia zia.
Io notai fin fa subito che questa mia zia era troppo dolce con me.
Quando poi capii che in quei giorni mia madre era in ospedale, iniziai a collegare che se una persona si prende cura di me e si interessi a me, mi innesca una reazione di allontanamento, perché è come se interessandosi a me, c'è qualcosa da cui vorrebbe difendermi.
Negli ultimi 2 anni, andai da 3 psicologici, 1 per motivi personali ma non parlammo di questo problema, e successivamente altri 2 per via della separazione con la moglie che sto avviando.
La prima psicologa, improvvisamente mi chiese
Ma tu adesso dove realmente ti senti di essere?
Questa fu la prima e ultima seduta con questa psicologa perché lei capii il mio problema, e io non ebbi il coraggio di rispondere e nemmeno il coraggio di tornare da lei, soprattutto quando mi disse di aver capito e di voler fare il test di rorschach.
Il primo psicologo in cui andammo per affrontare la separazione, ascoltò me e mia moglie sui motivi della separazione e parlammo di noi.
Mia moglie gli disse che in 8 anni di relazione non ha mai trovato un riscontro in me durante una discussione o una lite, perché in me trovava solo silenzi e secondo lei indifferenza.
Lui gli chiese se avesse mai cercato di capire il perché di questo mio comportamento, perche anche lui capii e mi disse di fare un percorso con uno psicologo.
Mia moglie non sapeva di questa mia cosa, e una volta uscita fuori da questo psicologo, a cui non dissi di questa cosa, dapprima ne rideva, poi quando forse ha realmente capito, mi chiese come mai non ne parlai mai con lei.
Perché appunto, ne hai riso.
Di questo mio problema ne parlai solo con una coppia di amici, perche per me è come mostrarti il mio punto debole e avere paura che venga usato contro di me.
Adesso mi ritrovo troppo dipendente da questa cosa, non riesco a fidarmi e non ho voglia di voler conoscere nessuno perche non voglio avere in un certo senso un rapporto con qualcuno.
Da solo sto bene, però mi manca ogni tanto una carezza.
Gentile utente,
dal suo racconto emerge in modo molto chiaro come il meccanismo che descrive (questo angolo interiore dove riesce a rifugiarsi) non sia un semplice tratto del carattere, ma una vera e propria strategia di protezione sviluppata molto presto nella sua storia. In un momento infantile di forte incertezza e paura (la malattia della mamma e la sensazione che se qualcuno si prende cura di me, allora c’è un pericolo ), lei ha trovato una modalità per difendersi: chiudere le emozioni in uno spazio separato, osservare senza lasciarsi coinvolgere.
Dal punto di vista sistemico, possiamo dire che questa modalità ha avuto una sua funzione adattiva: da bambino l’ha aiutata a sopravvivere a un’esperienza che poteva risultare troppo dolorosa da elaborare. Ma oggi, nella vita adulta e nelle relazioni significative, lo stesso meccanismo diventa un ostacolo. Non a caso sua moglie ha percepito spesso silenzio e indifferenza , laddove in realtà c’era una difesa antica e molto rigida.
Quello che lei chiama problema non è un difetto, ma un pattern relazionale che affonda le radici nella sua storia affettiva e familiare. Non può essere sciolto semplicemente con la forza di volontà o con un consiglio rapido: richiede un percorso terapeutico più approfondito, che la aiuti a riconoscere le emozioni senza sentirsi sopraffatto, e a sperimentarsi in rapporti in cui l’intimità non venga automaticamente vissuta come una minaccia.
Il fatto che lei sia riuscito a raccontarlo qui, con tanto dettaglio, è già un passo molto importante: significa che una parte di sé desidera uscire dall’isolamento.
L’indicazione che mi sento di darle è di riprendere in considerazione un percorso terapeutico, scegliendo uno spazio in cui sentirsi accolto e in cui questo angolo interiore possa essere guardato non come un nemico, ma come una risorsa che oggi va trasformata. È proprio nella relazione terapeutica (sicura, stabile, non giudicante) che potrà sperimentare gradualmente nuove modalità di fidarsi ed esporsi.
Resto a disposizione,
dal suo racconto emerge in modo molto chiaro come il meccanismo che descrive (questo angolo interiore dove riesce a rifugiarsi) non sia un semplice tratto del carattere, ma una vera e propria strategia di protezione sviluppata molto presto nella sua storia. In un momento infantile di forte incertezza e paura (la malattia della mamma e la sensazione che se qualcuno si prende cura di me, allora c’è un pericolo ), lei ha trovato una modalità per difendersi: chiudere le emozioni in uno spazio separato, osservare senza lasciarsi coinvolgere.
Dal punto di vista sistemico, possiamo dire che questa modalità ha avuto una sua funzione adattiva: da bambino l’ha aiutata a sopravvivere a un’esperienza che poteva risultare troppo dolorosa da elaborare. Ma oggi, nella vita adulta e nelle relazioni significative, lo stesso meccanismo diventa un ostacolo. Non a caso sua moglie ha percepito spesso silenzio e indifferenza , laddove in realtà c’era una difesa antica e molto rigida.
Quello che lei chiama problema non è un difetto, ma un pattern relazionale che affonda le radici nella sua storia affettiva e familiare. Non può essere sciolto semplicemente con la forza di volontà o con un consiglio rapido: richiede un percorso terapeutico più approfondito, che la aiuti a riconoscere le emozioni senza sentirsi sopraffatto, e a sperimentarsi in rapporti in cui l’intimità non venga automaticamente vissuta come una minaccia.
Il fatto che lei sia riuscito a raccontarlo qui, con tanto dettaglio, è già un passo molto importante: significa che una parte di sé desidera uscire dall’isolamento.
L’indicazione che mi sento di darle è di riprendere in considerazione un percorso terapeutico, scegliendo uno spazio in cui sentirsi accolto e in cui questo angolo interiore possa essere guardato non come un nemico, ma come una risorsa che oggi va trasformata. È proprio nella relazione terapeutica (sicura, stabile, non giudicante) che potrà sperimentare gradualmente nuove modalità di fidarsi ed esporsi.
Resto a disposizione,
Dott.ssa Elisabetta Carbone
Psicologa sistemico relazionale | Sessuologa clinica |
psicologa@elisabettacarbone.it | 351.777.9483
Utente
Salve
Grazie per la risposta, molto esaustiva.
Le racconto un sogno che non riesco a coglierne a pieno il significato ma per me molto importante.
Mi trovavo su un pullman che era diretto alla mia città natale, e seduto accanto a me c'era un mio amico d infanzia.
Improvvisamente questo pullman si ferma e l autista ci dice che non può proseguire per via del traffico, e questo mio amico scende , e salgono una coppia di amici miei che mi sono stati molto vicini in questo periodo .
Mi chiedono di scendere e tornare a casa con loro ( adesso vivo da circa 10 anni lontano dalla mia citta natale, e con questa coppia di amici miei ho legato tantissimo anche conoscendoli da pochi anni ) rifiuto dicendo che volevo a tutti i costi tornare dove ero nato e cresciuto , loro decidono di sedersi e proseguire questo viaggio con me standomi vicini.
Mi ritrovo poi nella mia città natale , scendo da questo pullman da solo e mi incammino verso casa dei miei genitori ma, una volta accorto di non aver preso la valigia che avevo con me, cerco di correre verso il pullman ma sentivo le gambe pesantissime come se fossero di cemento.
Allora decido di correre utilizzando anche le mani , ma il risultato non cambia, sforzo enorme ma restavo quasi immobile, vedendo il pullman allontanarsi con la mia valigia, sentivo come se il mio corpo volesse perdere quella valigia ma la mente no.
Mi fermo cercando di capire come fare e arriva questa coppia di amici miei che mi invita a salire in macchina con loro e tornare con loro nella città dove abito adesso e di non avere paura
Grazie per la risposta, molto esaustiva.
Le racconto un sogno che non riesco a coglierne a pieno il significato ma per me molto importante.
Mi trovavo su un pullman che era diretto alla mia città natale, e seduto accanto a me c'era un mio amico d infanzia.
Improvvisamente questo pullman si ferma e l autista ci dice che non può proseguire per via del traffico, e questo mio amico scende , e salgono una coppia di amici miei che mi sono stati molto vicini in questo periodo .
Mi chiedono di scendere e tornare a casa con loro ( adesso vivo da circa 10 anni lontano dalla mia citta natale, e con questa coppia di amici miei ho legato tantissimo anche conoscendoli da pochi anni ) rifiuto dicendo che volevo a tutti i costi tornare dove ero nato e cresciuto , loro decidono di sedersi e proseguire questo viaggio con me standomi vicini.
Mi ritrovo poi nella mia città natale , scendo da questo pullman da solo e mi incammino verso casa dei miei genitori ma, una volta accorto di non aver preso la valigia che avevo con me, cerco di correre verso il pullman ma sentivo le gambe pesantissime come se fossero di cemento.
Allora decido di correre utilizzando anche le mani , ma il risultato non cambia, sforzo enorme ma restavo quasi immobile, vedendo il pullman allontanarsi con la mia valigia, sentivo come se il mio corpo volesse perdere quella valigia ma la mente no.
Mi fermo cercando di capire come fare e arriva questa coppia di amici miei che mi invita a salire in macchina con loro e tornare con loro nella città dove abito adesso e di non avere paura
Questo consulto ha ricevuto 2 risposte e 315 visite dal 26/08/2025.
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