Ritornare a stare bene da sola con me stessa

Buonasera gentili dottori,
Sono una donna di più di 40 anni, lavoro, sono sposata e con figli.

Mi sono sempre considerata una persona autonoma ed indipendente, concentrata sulla famiglia e sul proprio lavoro.

Un paio di anni fa, per caso, ho iniziato a stringere un po’ di amicizia con una collega, scambiando qualche parola più che altro per sfogo lavorativo.

Per un lungo periodo tutto è proseguito in modo equilibrato fino a quando questa persona ha cominciato a diventare sempre più pressante nei miei confronti, cercandomi da mattina a notte fonda e pretendendo una mia continua presenza via chat.

Da un lato anche per me era una valvola di sfogo dalla mia vita molto impegnativa e pesante, ma a causa delle sue modalità possessive, ambigue, gelose e controllanti, ho cominciato a vivere un forte malessere.

Questa persona alternava momenti di grande attenzione a momenti di improvviso distacco, si dimostrava infastidita se avevo degli impegni con la mia famiglia o con altre amiche, si arrabbiava se non rispondevo subito o se le davo meno attenzioni.

La situazione è diventata molto pressante, con continui litigi e continue sue suppliche di fare pace e riavvicinarci.
Per uscirne ho dovuto chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta ed è solo grazie al suo supporto che sono riuscita ad interrompere questo rapporto malsano.

Il discorso è che adesso anche se dopo due mesi di mia completa sparizione (ma questa persona mi ha contattata con centinaia di messaggi di suppliche e/o accuse, telefonate, un secondo numero e terze persone) continuo ad avvertire un malessere che in automatico attribuisco a questa esperienza.
Mi sento sola, soprattutto la sera, continuo a dirmi che quella persona è stata la mia rovina, a volte mi sembra addirittura che mi manchi ma probabilmente mi manca quello che credevo di aver trovato, cioè un’amica.
Mi vergogno di dire al mio terapeuta che continuo a sentire un malessere che lui crede io abbia superato, perché sono consapevole di sfiorare il ridicolo e che per l’età che ho dovrei avere la maturità di accettare che sono stata manipolata e perdonarmi.
Eppure non ci riesco, non sono più in grado di stare bene con me stessa, sento sempre che mi manca qualcosa anche se davvero non capisco cosa.
Vorrei tornare libera ed indipendente e cercare quello di cui ho bisogno solo in me stessa e nella mia famiglia come facevo un tempo.
Cosa mi consigliate?
Di cercare di rimuovere e smetterla di parlare di questa delusione sperando se ne vada da sola ritornando prima o poi a trovare la pace in me?

O devo accogliere questo mio malessere che continua a convivere in me e parlarne sinceramente in terapia?
Quanto mi ci può volere per metabolizzare definitivamente tutto questo considerando che questo legame tossico e’ durato per un anno intero (più un anno e mezzo precedente di amicizia apparentemente sana)?
Non dovrei già esserne uscita?
Vi ringrazio per l’attenzione, sperando di essere riuscita a spiegarmi bene, porgo cordiali saluti.
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 5k 204
Gentile utente,
lei pone un quesito molto interessante.
La causa scatenante del malessere che ci descrive è stato il comportamento invasivo e prepotente (lei lo definisce addirittura manipolatorio) di quella che avrebbe voluto come amica, confidente, supporto e che si è invece rivelata, almeno a quello che lei scrive, una persona squilibrata, dominata da un'ansia fuori misura di possesso.
La conseguenza è un suo vasto malessere, un senso di mancanza ma anche un continuo rimprovero a sé stessa, un'assenza di comprensione per il dolore e lo smarrimento che prova: "per l’età che ho dovrei avere la maturità di accettare che sono stata manipolata e perdonarmi".
Sembrerebbe che non da adesso lei si sia imposta un ruolo rigido che le preclude addirittura l'abbandono col suo curante. Vediamolo nelle sue frasi.
"Mi sono sempre considerata una persona autonoma ed indipendente" (e come mai, essendo sposata, tutta questa autonomia?); l'amica "era una valvola di sfogo dalla mia vita molto impegnativa e pesante" (suo marito non lo è?); "Mi sento sola, soprattutto la sera"; "sento sempre che mi manca qualcosa anche se davvero non capisco cosa"; infine addirittura: "Mi vergogno di dire al mio terapeuta che continuo a sentire un malessere che lui crede io abbia superato".
In altre parole, lei non si appoggia, non chiede aiuto, nemmeno alle persone preposte per legami affettivi e addirittura per professione a fornirglieli.
Su questo versante forse dovrebbe cercare di capire cosa l'ha spinta a questa feroce autonomia e indipendenza, anche senza azzardare l'ipotesi che proprio il mancato appoggio dei suoi più vicini l'abbia resa disponibile ad esporsi ad una figura ambigua come la ex amica.
Venendo al suo malessere, certe ferite devono avere il tempo e il modo di venire allo scoperto, per essere curate. Guarda caso, per sottrarsi alle pretese della ex amica lei non ha agito con un semplice e deciso stop, ma ha avuto bisogno addirittura di una psicoterapia. Non pensa che ci sia dunque qualcos'altro che non va, nella sua vita? E non crede che sia un'imprudenza, per non dire altro, il suo nascondere al curante gli elementi essenziali del suo disagio, come se anche con lui volesse recitare il ruolo della donna forte, autonoma, autosufficiente?
Veniamo alle sue domande.
1 "Cercare di rimuovere e smetterla di parlare di questa delusione sperando se ne vada da sola ritornando prima o poi a trovare la pace in me?"
Sarebbe come nascondere lo sporco sotto il tappeto, lasciando che si accumuli e si riempia di scarafaggi.
2. "O devo accogliere questo mio malessere che continua a convivere in me e parlarne sinceramente in terapia?"
Esattamente. Parlarne e tornare a parlarne anche più volte, ogni volta che dentro di lei ci sarà un nuovo stimolo doloroso, l'aiuterà ad elaborare quello che è accaduto, e finora non le è pienamente comprensibile. Vedrà che anche i sogni la condurranno a capire, se non li censura ma li accoglie.
3. "Quanto mi ci può volere per metabolizzare definitivamente tutto questo considerando che questo legame tossico e’ durato per un anno intero (più un anno e mezzo precedente di amicizia apparentemente sana)? Non dovrei già esserne uscita?"
Crede che un'esperienza dolorosa si superi in un tempo proporzionale alla sua durata? Chi ha avuto la famiglia distrutta da un terremoto durato pochi secondi, allora, in altrettanto tempo dovrebbe superare il trauma!
Perdoni quella che può sembrare ironia: è un metodo per farle capire quanto lei tenda a sovrapporre una sua razionalità difensiva al flusso incoerente delle emozioni. Lasci che pensiero e sentimenti scorrano dentro di lei e li osservi con empatia verso sé stessa: questo, nei tempi giusti, le renderà la guarigione.
Le faccio molti auguri e le sarò grata se ci terrà al corrente.

Prof.ssa Anna Potenza
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Ex utente
Gentile dottoressa Potenza, La ringrazio per la celere ed accurata risposta.
Quando mi definisco autonoma ed indipendente, lo faccio riferendomi a relazioni interpersonali che vadano al di la’ della mia famiglia. Mi è sempre bastato confidarmi con mio marito e con un altro mio parente per me molto importante, dedicandomi ai miei figli, al mio lavoro, mantenendo un muro verso l’esterno.
Ma poi è accaduto appunto che questa persona avesse catturato la mia fiducia, nonostante il mio terapeuta dica che ci fossero stati già dei segnali iniziali che io non ho voluto o saputo vedere: una eccessiva intensità iniziale con frasi troppo intense, come mi fiderò solo di te’, dirò tutto solo a te , a cui io più di tanto non avevo dato peso.
Mi sfogavo con lei per il lavoro, in modo di non appesantire troppo la mia famiglia con lunghi discorsi e ragionamenti che amo fare.
Ma poi la
Situazione mi è sfuggita di mano ed è questo che non riesco a perdonarmi tuttora. Come ho potuto permettere che questa persona mi cercasse da mattino presto a notte fonda? Come ho potuto permettere che mi insultasse, prendesse in giro, giudicasse? Perché ho dedicato il mio tempo ad ascoltare i suoi problemi, a darle supporto? Perché continuavo a dirmi che sarebbe cambiata o che ero io ad esagerare e ad interpretare sempre male? Cercavo solo un’amicizia semplice ed invece ho trovato un tormento che mi ha allontanata dai dialoghi che avevo con mio marito e dall’altra mia figura di riferimento familiare. E’ stato il terapeuta a dirmi che mi sono fatta manipolare, per empatia e per ingenuità, da una persona che secondo lui avrebbe a sua volta bisogno di supporto. Ma adesso recupererò mai la fiducia in me stessa e nelle persone ?Provero’ a ritrovare il coraggio di aprirmi in terapia e di esternare che il mio malessere non è ancora superato, nonostante ne provi vergogna. Vorrei solo non aver mai conosciuto questa persona , ma ormai non posso fare altro che raccogliere i miei cocci e cercare di riattaccarli con meno crepe possibili. Che nella mia vita non sia tutto perfetto lo so, altrimenti non mi sarei mai fatta agganciare in questo modo. Continuerò a lavorare su me stessa. Grazie Dottoressa, buona giornata
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 5k 204
Grazie a lei del significativo riscontro, gentile utente.
Conservi il nostro scambio e lo rilegga -soprattutto si rilegga- tra qualche tempo.
In queste sue email lei dimostra ancora una volta delle pretese verso sé stessa, e non si perdona... cosa? Di aver incontrato una persona problematica? Ma questo può capitare sempre, a tutti, e le fornirà un'esperienza in più per il futuro.
Si rimprovera di non aver capito che l'amicizia sarebbe degenerata in persecuzione? Ma nessun essere umano è onnisciente, nessuno legge dentro le persone o vede il futuro, nemmeno gli psicologi.
Al contrario, la tendenza a fidarsi è indice del fatto che lei stessa è una persona affidabile, e interpreta gli altri coi suoi stessi parametri. Dubiterebbe di tutti solo se fosse paranoica o fosse una manipolatrice opportunista come la persona che ha incontrato.
Inoltre nessuno ha una sola faccia, in bianco o nero.
In quest'ottica, le frasi iniziali della ex amica potrebbero non essere state allarmanti (ma il fatto che lei le abbia registrate nella memoria indica che possiede un suo sistema di allerta agli eccessi di confidenza).
Si chiede: "Come ho potuto permettere che questa persona mi cercasse da mattino presto a notte fonda?" e anche "Perché ho dedicato il mio tempo ad ascoltare i suoi problemi, a darle supporto?".
Questo ha la sua spiegazione nell'amicizia, che è disponibilità ai momenti di sofferenza dell'amico/a. Giustamente ha pensato che fosse un momento transitorio, e ha concesso il sostegno che in circostanze simili avrebbe lei stessa voluto.
Di rilievo appare la frase: "Come ho potuto permettere che mi insultasse, prendesse in giro, giudicasse?"
Ma lo ha davvero permesso, o semplicemente non ha reagito per buona educazione, mentre questi comportamenti si facevano strada dentro di lei e le segnalavano che l'amicizia non poteva andare avanti?
Praticamente, di fronte a situazioni che ci sfuggono di mano, tutti siamo portati a leggerle non solo come una nuova sfaccettatura del mondo più o meno sgradevole, ma come cartine di tornasole di noi stessi. Ci chiediamo: "Come mai non ho capito? Perché ho agito senza tutelare me stesso, il mio tempo, la mia autostima?"
La risposta è nel fatto che non siamo onniscienti né onnipotenti, e la guarigione della ferita alla nostra pretesa di invulnerabilità e perfetto autocontrollo passa attraverso l'accettarci in questa fragilità, senza vederla più grave di quello che è, senza auto-flagellarci.
Molto saggia è la sua intenzione di parlarne con chiarezza al curante.
Buone cose.

Prof.ssa Anna Potenza
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Ex utente
La ringrazio nuovamente, gentilissima Dott.ssa Potenza.
Effettivamente ha ragione, alle offese e prese in giro ho reagito con cautela, penso anche per il fatto che questa persona, pur non lavorando attualmente con me, è comunque molto vicina alle persone con cui lavoro, e volevo cercare di mantenere la pace’, cosa che mi è stata impossibile fare perché non è stato possibile trovare un equilibrio nel sentirci e ho dovuto solo sparire, senza spiegazione alcuna, come consigliatomi dal mio terapeuta.
Il campanello di allarme mi si era acceso quando ha cominciato ad inviarmi foto e messaggi di persone che conosciamo entrambe, per cercare di instillarmi dubbi sulla loro sessualità e loro intenzioni verso di lei. Io ho sempre cercato di risponderle con la mia logica e la mia razionalità, ma probabilmente hanno poco senso i discorsi lineari, con chi logica coerente non ne ha.
Ha cominciato ad avere atteggiamenti ambigui nei miei confronti, esternando gelosia in modo palese ma quello che continua a turbarmi e’ perché io abbia accettato e giustificato continuamente questi atteggiamenti, forse per non accettare che questa persona avesse serie difficoltà.
Capirà che trovandomi molto imbarazzata dinnanzi a certe frasi ( il tuo pensiero mi distrae’, abbiamo un’intesa inspiegabile’, ho bisogno di te ) io non me la sia sentita di spiegare a mio marito nella sua totalità il disagio che ho vissuto con questa persona , perché non vorrei che mio marito fraintendesse le mie intenzioni, che non erano certo intense e morbose come quelle che invece ho ricevuto io.
Grazie ancora dottoressa, cercherò di lavorare su questi miei aspetti di rigidità e di non accettazione del fatto che a chiunque possa capitare un incontro così difficile, nonostante nel caso della mia ex amica si tratti di una persona sposata, inserita in un tessuto lavorativo e sociale in cui apparentemente non manifesta problemi.
Leggerò come mi ha consigliato questi scambi con lei tra qualche tempo. La ringrazio di cuore !
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