Stalking passato, sensi di colpa, depressione, alcol: come gestire il dolore e andare avanti?

Gentili dottori,

sono diverse volte che scrivo ultimamente.
E mi scuso anche con gli specialisti che mi hanno risposto, mi scuso per non aver replicato.

Sono molto agitato ultimamente: scelte importanti per la mia vita, mostri del passato che mi perseguitano.
Anzi, il mostro sono (ero) io, quando feci stalking ad una ragazza che amavo.
A volte dimentico di prendere i farmaci, e infatti quando accade non sto bene.
E salgono tante emozioni: rabbia, dolore, voglia di farmi del male.
Mi sto uccidendo con l'alcool e il cibo.
Mi ingozzo e bevo schifosamente.
Poi mi impongo di non farlo, ma poi lo faccio.
Tutta la questione venne risolta con una telefonata dove mi si diceva di non contattarla più.
Che non ci sarebbe stata nessuna conseguenza per me, solo di non contattarla più.
Piansi tanto quel giorno, perché non ho mai avuto intenzione di fare nulla di male.
Volevo stare con lei a tutti i costi, ho insistito troppo.
Telefonate, messaggi, appostamenti sotto casa, frequentazione dei luoghi da lei frequentati.
So bene quello che ho fatto, col senno di poi, e mi sento orribile, ho disgusto verso di me.
I miei curanti dissero che non ero consapevole della gravità delle mie azioni quando le facevo.
Non ero lucido.
Ma ora lo sono.
Ed è un dolore immenso.
Non lavoro, ho anche momenti di depressione.
Adesso vorrei entrare in seminario, vorrei dimenticare tutto ma non ci riesco.
Ho parlato tantissimo di questo ai miei curanti e a numerosi sacerdoti.
Tutti mi hanno sempre risposto allo stesso modo: vai avanti, dimentica, punto e stop.
Non cercarla per nessun motivo.
Basta tormentarti.

E mi ripeto questa cosa spesso.
Ma non riesco a dimenticare.
Perché è una ferita troppo grande, per me e per lei.

Vorrei una riconciliazione, ma sento che se tornassi a cercarla sarebbe devastante.
Sarebbe grave.

A volte ho infranto la regola di non cercarla, e puntualmente arrivavano telefonate di ammonimento.
Una volta, consumato dal dolore, ho detto che mi sarei suicidato.
A volte lo vorrei fare, ma non ne ho il coraggio.
Poi mi vergogno, piango e mi deprimo.
Sono sei mesi che non la cerco.
L'ultima volta hanno telefonato a mia madre, le hanno chiesto dettagli sul mio stato di salute mentale.
E lei ha spiegato che non stavo bene.
So benissimo di non stare bene.
Lo sanno tutti quelli che mi conoscono.
Quella sera piansi di nuovo e mi ubriacai.

Ora sto ricominciando a bere.
E sono in duro combattimento.
Tutti mi dicono che posso farcela.
Che prima o poi il dolore passerà.
Che prima o poi starò bene.
E tutto sarà dimenticato.

La psicoterapia è sospesa per le vacanze natalizie, sto scrivendo alla mia terapeuta ogni giorno su wathsapp ma non mi risponde.
Lo psichiatra lo vedrò a febbraio.

Sono avvilito, i ricordi mi perseguitano.
Ho bisogno di essere compreso, rassicurato.
Ho bisogno di supporto, ringrazio se qualcuno risponderà e sarà disposto a consolarmi.

Un cordiale saluto.
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 5k 204
Gentile utente,
ho letto tutti i messaggi che ci ha inviato; due volte ho risposto io stessa ricevendo anche sue repliche alle quali ho nuovamente risposto.
Lei sa bene che il suo disturbo ostacola la capacità di bypassare i pensieri negativi, ma se lei vuole superare gli aspetti più invalidanti della sua malattia proprio questo deve fare: allenarsi a resistere al desiderio di ripetere sempre le stesse domande senza mai passare ai fatti, cioè all'allenamento idoneo a distogliersi dall'ossessione per realizzare altro.
Lei ha una psicoterapeuta e uno psichiatra. Della prima tempo fa ha scritto: "la prendo più come uno sfogo".
Male, gentile utente. Esistono dei precisi protocolli per curare i pensieri ossessivi, elaborati nell'ambito della terapia cognitivo-comportamentale, e non consistono nel permettere al paziente di replicare questi pensieri incessantemente, in quello che lei chiama "sfogo". Altrimenti avviene proprio quello che emerge attraverso i suoi numerosi consulti: l'ossessione cambia oggetto, ma sempre rimane un doloroso rimuginio e sempre inibisce ogni iniziativa di cambiamento.
Ora rimugina su una cosa, ora su un'altra, che ogni volta le appaiono centrali e devastanti, e intanto non prende iniziative concrete per alzarsi dalla sedia e andare in palestra, rinunciare a mangiare e a bere troppo, prendere i farmaci, cercare un lavoro e così via.
Il fatto è che negarsi il facile compenso dell'alcol e del cibo, accedere a gesti concreti come l'attvità sportiva, la stesura di un curriculum e la ricerca di un lavoro realistico sono per lei più difficili che incartarsi nel rifugio dell'ossessione.
Più si arrovella, più soffre del suo rimuginio, più si illude che sia questa pena insormontabile, e non l'inerzia e la paura, che la tiene lontano dalla vita concreta.
Di quest'ultimo suo messaggio vorrei farle notare alcuni passaggi:
- "La psicoterapia è sospesa per le vacanze natalizie, sto scrivendo alla mia terapeuta ogni giorno su wathsapp ma non mi risponde".
Che altro si aspetta? Ma soprattutto si chieda sinceramente se una qualunque risposta della curante potrebbe giovarle, o finirebbe piuttosto per alimentare altre sue domande ossessive.
- "Lo psichiatra lo vedrò a febbraio" e anche: "A volte dimentico di prendere i farmaci, e infatti quando accade non sto bene".
Quindi prenda i farmaci che le sono già stati prescritti ed eviti di unirli all'alcol, per le ragioni che le saranno stato spiegate mille volte.
- Infine: "non riesco a dimenticare. Perché è una ferita troppo grande, per me e per lei".
Eh, no, caro utente! La smetta di giustificare il suo desiderio di contattarla di nuovo, col pensiero che anche la ragazza sia vittima di rimuginio ossessivo. La ragazza sta dimenticando il fastidio ricevuto, per andare avanti, come deve fare anche lei.
Ancora una volta, ma è l'ultima, le ricordo di rileggere i consulti precedenti La invito a non fare nuove domande e le chiedo: ma lei vuole davvero guarire, sapendo che questo vuol dire affrontare con energia la vita?
Auguri, anche per le feste. Per il suo bene, io non le risponderò più.

Prof.ssa Anna Potenza
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