Problemi di relazione?

Ho quasi 29 anni e da diverso tempo penso di avere problemi di relazione e di affettivita’ (non so se chiamarli con il termine “anaffettivita’” e/o “disaffettivita’” e cosi’ lascio pertanto il parere agli esperti).
Ricordo che e’ da quando avevo circa 6 anni che ho sempre cercato di limitare moltissimo le mie emozioni per la paura del rifiuto, di stare male e di soffrire; ho imparato, lentamente, dapprima a non piangere, poi a tollerare il dolore ed infine a chiudere pian piano il mio cuore (sempre se mai ne ho avuto uno). Ho sempre fatto molte attivita’ individuali (scuola di musica, sport) in cui il coinvolgimento degli altri era limitato e non ho mai avuto, per esempio, un/a migliore amico/a con cui scambiare segreti e confidenze; sicuramente ho avuto tanti compagni di giochi e non posso dire certo di esser stata totalmente infelice, ma quando sentivo dentro di me che qualcuno era per me “speciale” sfortunatamente questa caratteristica era sempre a senso unico: per gli altri non ero “cosi’ speciale” come loro lo erano per me. Immaginate le delusioni…
Sono stata mandata da una neuropsichiatra infantile a partire dai 7 anni di eta’ seguendo una seduta di psicoterapia alla settimana. Credo pero’ che questa cosa mi abbia profondamente segnato, nel senso che non sono riuscita MAI a trovare NESSUNO che mi ascoltasse con la medesima attenzione come faceva lei (che ovviamente LAVORAVA in quel momento e svolgeva una PRESTAZIONE dietro PAGAMENTO); non mi sentivo di confidarmi con altre persone, per quanto potessi ritenerle fidate, perche’ non mi parevano interessate minimamente ad ascoltarmi. Ancora oggi ho serie difficolta’ a parlare dei miei problemi; non riesco a fidarmi di nessuno, nascondo il piu’ possibile eventuali stati d’animo infelici e cerco di risolverli per conto mio trovando magari risposte sul web senza disturbare nessun altro, anche perche’ oggi vivo all’estero e non ho concretamente nessuno accanto che mi possa aiutare.
Mi sono infatti resa conto che non sono in grado di aver fiducia in NESSUNO: non riesco ad accettare un complimento, in nessun campo, od a credere che siano rivolti a me, perche’ penso sia sempre una presa in giro oppure un complimento di circostanza. Ho molti rapporti “superficiali” (amicizie, conoscenze, colleghi di lavoro) con cui esco sempre volentieri e condivido anche molti interessi e hobbies; non sono un “lupo solitario”, esco e mi diverto, ma nel contempo non riesco ad approfondire di piu’ le cose. E’ come se sentissi sempre che non sono le persone giuste perche’ tanto non possiam provare le stesse cose gli uni per l’altra e forse cosi’ sto perdendo tante occasioni…
In soldoni, credo di non essere assolutamente capace di provare alcun tipo di sentimento e/o di emozione perche’ non ho la benche’ minima fiducia negli altri e cosi’ mi sto lentamente disinteressando ad avere rapporti con loro che prevedano un coinvolgimento affettivo superiore.
Che posso fare? Grazie.
[#1]
Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo 17.4k 317 528
Gentile Utente,
L' anaffettività o disaffettività necessitano di una diagnosi clinica adeguata, unitamente alla struttura della sua personalità e, soprattutto alle cause che hanno fatto emerge e mantenuto questo suo disturbo.
Ha qualche amico fidato?
Si è mai innamorato?
Che tipo di copione familiare ha ricevuto?
Cercò di spiegarmi i meglio: i suoi genitori, parlano di sentimenti, si toccano, abbracciano, baciano?

A volte il non provare emozioni, rappresenta un meccanismo difensivo della psiche, lei decide di non emozionarsi per non soffrire in seguito....una sorta di " profilassi dell' abbandono"

Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it

[#2]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
Gentile Utente,

Quali erano gli obiettivi della psicoterapia che ha fatto in passato?
Sono stati raggiunti questi obiettivi?

Mi ha colpito molto il fatto che Lei si sia sentita sempre NON ascoltata da tutti, ad eccezione della neuropsichiatra che lo faceva di lavoro...
Mi colpisce molto questa immagine perchè qui dovremmo ipotizzare un deficit narrativo da parte Sua (anche se la Sua mail è interessante e tiene alta l'attenzione... vien voglia di leggerla insomma), oppure a sfortuna (statisticamente com'è possibile che abbia incontrato Lei tutte le persone che non vogliono ascoltare?) oppure ad altro ancora...

Invece è un fatto che Lei NON riesca a fidarsi e ad aprirsi agli altri e ci dice anche la ragione:
"...non riesco ad accettare un complimento, in nessun campo, od a credere che siano rivolti a me, perche’ penso sia sempre una presa in giro oppure un complimento di circostanza. "

Allora Le chiedo -se queste sono le premesse- come pensa di riuscire a costruire un clima in cui Lei sia libera di esprimersi e per gli altri sia un piacere ascoltare...se appunto non si fida di nessuno e sa già a priori che tutto andrà male?
Ha mai sentito parlare della profezia che si autodetermina?
Mi pare che Lei sia proprio in tale meccanismo: che faccia di tutto per creare quelle situazioni che vanno poi a confermare quanto teme.

Mi pare anche che tutto questo possa essere legato in qualche maniera ad una bassa autostima: tutti quelli che incontra avrebbero interessere a prenderLa in giro?
Evidentemente è più probabile che le Sue insicurezze e anche la mancanza di esperienze correttive (es una psicoterapia che possa lavorare anche su tali aspetti) sono il vero problema.

Sentire le emozioni, etichettarle, imparare a riconoscerle e modularle può essere il primo passo, perchè le emozioni sono indicatori importantissimi di ciò che succede dentro di noi e fuori.

Un cordiale saluto,

Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica

[#3]
dopo
Utente
Utente
Gentilissime dottoresse, grazie innanzitutto per la risposta.
Ho dovuto contrarre di molto il mio intervento dato che 3000 caratteri non mi bastavano, cosi' cerchero' di essere piu' esplicativa.

Alla dott.ssa Randone rispondo che:

1) Non ho UN amico fidato, nel senso che ho tante amicizie piu' o meno profonde ed anche fidate (di certo non mi circondo di deficienti), ma nessuno con cui mi confiderei volentieri. Tendo ad evitarlo, perche' mi sembra anche di infastidire l'altra persona o comunque di avere poche attenzioni da parte sua.

2) Credo di si', nel senso che ho avuto una relazione di 7 anni e credo proprio di aver amato molto la persona con cui stavo, anche se poi la relazione si e' conclusa per divergenze varie e dopo ho sofferto, arrivando persino a dire che forse era meglio non averla avuta affatto piuttosto che averla avuta e poi persa (oggi sono contenta cosi', quindi forse era destino). Almeno CREDO di averlo amato.

3) Premesso che i miei genitori sono entrambi medici e che mi e' sempre parso di vedere una sottile competizione tra loro (io faccio meglio il mio lavoro, io avrei fatto cosi' ed avrei richiesto questo e quest'altro, etc...), non parlano in maniera esagerata di sentimenti. Sono certa che si vogliano ancora molto bene (si prendono per mano, si scambiano baci e coccole anche se non in pubblico e comunque non in modo eccessivo), anche se ho assistito a numerosi episodi di violenza verbale e talvolta a scatti di ira sfociati in qualche schiaffo.

Alla dott.ssa Pileci:

1) Non so rispondere alla sua domanda, in quanto GIURO che a tutto oggi e dopo tanti anni non ho ancora la benche’ minima idea del motivo per cui ci andassi e mia madre e’ sempre stata molto elusiva su questo! Ricordo che mi era stato tassativamente proibito di farne parola con chiunque ed a oggi penso in effetti di non averlo mai detto a nessuno. A me ai tempi sembrava solo di andare a far quattro chiacchiere con una persona piu’ grande e non ho mai compreso per quale motivo dovessi nasconderlo, comunque ho obbedito. Ho seguito la terapia settimanalmente per alcuni anni, finche’ in un momento di ira mia madre non mi urlo’ che non potevano pagarmi la terapia in eterno e pertanto di "darmi da fare" e cosi’, all’incontro seguente, ho detto alla psichiatra che non avevo piu’ intenzione di andarci (alle sue richieste di spiegazioni, piuttosto insistenti, ricordo che non ho risposto perche’ mi vergognavo a dirle che in realta’ lei “costava” e cosi’ sono rimasta diverso tempo in silenzio). La "terapia", chiamiamola cosi', e’ poi proseguita con meno frequenza, circa quattro volte all’anno (da quel che so, tra l’altro, gratis… Come sorta di favore tra colleghi), finche’ non ho compiuto piu’ o meno i 18 anni. A quel punto erano chiacchierate tra adulti.

2) Non so se faccio qualcosa o di tutto per evitare che certe situazioni accadano; e' che mi e' successo in passato e perdo a priori la voglia di creare determinate situazioni proprio per paura che succedano di nuovo! E' il motivo per cui sono anche piuttosto disinteressata ad avere una relazione di coppia od anche semplicemente alla sfera sessuale (che e' davvero l'ULTIMO dei miei interessi). Mi sembra sempre che l'unica persona che abbia voglia di ascoltarmi sia proprio la sottoscritta e nel contempo sento che nessuno sarebbe "alla mia altezza".

3) Non saprei dirle se soffro di bassa autostima, perche' in certi momenti sento di avere una grande considerazione di me stessa (vedasi le ultime righe del paragrafo precedente). Posso dirle pero' che da quando sono piccola e facevo qualcosa che ritenevo buono o corretto, mi sentivo dire che non erano quelle le modalita' di esecuzione (per esempio: "mamma, ho messo i piatti in lavastoviglie!" per poi sentirmi dire che avevo sbagliato e che le posate dovevo metterle nel cestello in basso insieme ai piatti piu' grandi, etc... Oppure se prendevo un buon voto a scuola mi veniva chiesto, in modo piu' o meno ironico, perche' non avessi preso 9 invece di 8... Cose "innocenti", a cui oggi risponderei con un bel VAFFA, ma che ovviamente all'epoca mi lasciavano un po' di stucco).
Ricordo molto bene un episodio accaduto quando avevo circa 7 anni, un pomeriggio di tarda primavera in cui mio padre era tornato dal lavoro; gli sono corsa incontro per salutarlo e lui mi ha risposto con un freddo "CIAO". Ero talmente abituata a scarse manifestazioni d'affetto (perche' c'e' stato un periodo in cui sberle e sculaccioni superavano di gran lunga gli abbracci e le carezze, tant'e' che ricordo si' il calore delle mani di mio padre sul viso, ma anche il dolore che mi provocavano certe sue sberle anche se oggi ci rido su perche' forse ero davvero terribile! :-D ) che me ne son andata senza dire una parola, come se per me fosse assolutamente normale non ricevere alcuno slancio. Pensi che dopo alcuni giorni mi ha chiesto scusa (la prima e forse unica volta in 29 anni!) dicendomi che quel giorno non mi aveva risposto con affetto perche' era arrabbiato per i fatti suoi; io avevo gia' dimenticato l'episodio cinque minuti dopo. :-)
E' molto piu' affettuoso adesso che sono adulta e che vivo fuori di casa! :-D

Ricordo che avevo intorno ai 16 anni una cara amica piu’ grande di me di qualche anno per cui nutrivo un’ammirazione smodata e che mi consigliava spesso libri da leggere e/o film da guardare; pensavo fossero dei semplici scambi di gusti ed invece era il suo modo per aiutarmi a trovare delle “risposte” ad alcune mie domande che da adolescente rivolgevo (forse inconsciamente… Non ricordo). Una volta mi ha regalato un acchiappa-sogni indiano e sul retro del foglio di accompagnamento aveva scritto una frase molto affettuosa, che pero’ non ho notato se non molto tempo dopo (quando la nostra amicizia era andata ormai a rotoli, purtroppo a causa della mia totale incapacita’ di gestirla in quanto non ero mai stata in grado di averne una cosi’ profonda e cosi’ trattavo questa persona con superficialita’ e rabbia proprio perche’ sapevo che da costei non potevo ottenere quell’affetto che invece provavo io).

Temo proprio pero' di non sapere riconoscere ancora bene tutte le emozioni "positive" che provo; so quando sono triste od arrabbiata, ma non so se la mia felicita' derivi dal sentirmi amata/apprezzata e soprattutto se quello degli altri sia amore, affetto, ammirazione o comunque qualcosa di buono. Mi sembra sempre "finto" o "di circostanza"; anche l'amore della persona con cui sono stata 7 anni mi sembrava finto, perche' non mi amava come volevo io e probabilmente nemmeno con la stessa intensita' (anche se lui alla fine della storia mi ha confessato che, pur avendo perso il sentimento per me, quando c'era proveniva dal cuore).

Il discorso e' che a quasi trent'anni mi pare un po' tardi per recuperare e mi sto lentamente rassegnando. Vivendo inoltre da sola e per di piu' all'estero non saprei proprio da dove partire per chiedere un eventuale aiuto.
[#4]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
Come in tutti gli evitamenti, l'intenzione è proteggersi da ciò che si percepisce come pauroso o doloroso:

https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/125-l-evitamento-nei-disturbi-d-ansia-e-nelle-fobie.html

Solo che evitare ciò che ci fa paura è come tenere una ferita sempre ben coperta: non guarisce mai e anzi peggiora con il tempo.

Perciò la tentata soluzione che ha adottato finora, quella di evitare, va ribaltata. Deve piano piano iniziare a somministrarsi piccolissime dosi di ciò che la ferisce, per imparare a immunizzarsi. Come facevano gli ospiti della famiglia Borgia. Ma le occorre anche motivazione e incoraggiamento per farlo, perché è abbastanza evidente che si trova in uno stato di morale abbattuto, è comprensibile.

Purtroppo anche il tentativo di risolvere il problema attraverso internet non funziona: occorre che si rivolga di persona a uno psicologo psicoterapeuta. Anche se vive all'estero, ci sarà senz'altro un modo per iniziare a reperire aiuto. Si attivi in questo senso.

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

[#5]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
Gentile Utente,

questa risposta sembra confermare alcune ipotesi che avevo menzionato...
Ad esempio mi pare di capire che ci sia realmente una tendenza all'evitamento di situazioni "critiche" (cioè una volta che si verifica qualcosa che in qualche maniera La turba, Lei ci mette una pietra sopra) e di chiusura. Questo in genere non permette di crescere e neppure di far conoscere agli altri significati quali sono i bisogni più autentici della persona. Ecco che poi va incontro a delusioni in cui nessuno L'ascolta nè si prende cura di Lei nella maniera in cui Lei vorrebbe (ex fidanzato).

Forse riprendere in mano il discorso con uno psicologo psicoterapeuta di persona potrebbe essere utile perchè non è vero che a trent'anni non si possa cambiare: la psicoterapia serve proprio a determinare un cambiamento anche nel modo in cui la persona vede se stessa e il mondo.

Un cordiale saluto,
[#6]
dopo
Utente
Utente
Ringrazio i dottori Santonocito e Pileci nuovamente per il loro consulto.
C'e' qualcosa, qualche sottospecie di "esercizio", che posso provare a fare autonomamente in attesa di capire come funziona la possibilita' di avere un consulto psicologico qui all'estero?

(per esempio far due chiacchiere con un collega riguardo a qualcosa di specifico, etc...)
[#7]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
No, non possiamo suggerirle nessun esercizio da qui direttamente. I motivi li trova descritti qui:

https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/3551-psicologo-devo-proprio-andarci-di-persona-perche-non-potete-aiutarmi-online.html
[#8]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
Gentile Utente,

le prescrizioni comportamentali che alcuni psicoterapeuti indicano ai propri pz hanno senso solo all'interno di un determinato contesto terapeutico ed è esattamente come prescrivere un farmaco: non ha molto senso, oltre ad essere vietato dalle Leggi e dal buon senso, prescrivere un farmaco on line perchè il medico NON ha potuto fare alcuna valutazione diretta.
Allo stesso modo le prescrizioni comportamentali date da uno psicoterapeuta possono avvenire solo se si conosce il pz. e se è chiara la diagnosi e la situazione complessiva.

Saluti,
[#9]
Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo 17.4k 317 528
Gentile Ragazza,
Non credo che le difficoltà siano risolvibili con qualche esercizio o chiaccherata amicale, ma mediante una scolto attento, empatico e soprattutto di tipo clinico.

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