Non riesco a sacrificarmi per mio figlio, forse non lo amo?

Salve, sono una donna di 37 anni diagnosticata borderline a 17.
Sono attualmente in cura con un ottimo psicoterapeuta DBT e assumo farmaci.

Negli ultimi anni le cose sono cambiate tanto, la mia vita é stata stravolta.
Ho lasciato il mio lavoro storico c é stato il covid e sono diventata madre di un bimbo che compie due anni il mese prossimo.

Ho sempre amato i bambini e desiderato dei figli ma credevo con la mia patologia fosse meglio non averne ma sono rimasta incinta ed ero felicissima.
Ho vissuto però molto male la gravidanza in cui sono tornati brutti sintomi come attacchi di panico e derealizzazioni.

Parto regolare ma non provavo nulla.

Sono caduta in una profonda depressione da cui sto cercando di riprendermi tutt’ora (fino al 2019 la mia vita era ok, avevo perso praticamente tutti i tratti del disturbo).

In poche parole non mi sono mai alzata una notte per mio figlio.
Ci sta sempre mio marito che è un padre favoloso.

Io non voglio responsabilità perché mi sale la rabbia.

Non l'ho mai portato in giro o al parco mi sono sentita messa da parte e sono peggiorata sempre più.

Come se questo potesse non essere abbastanza ero convinta che il bambino fosse autistico già verso i 9 mesi perché notavo atteggiamenti che mi facevano sospettare ed ho passato MESI a studiare.

Tutti ovviamente mi prendevano per pazza.

Portato da uno dei miglior neuropsichiatri infantili italiani a 12 mesi, tenuto in osservazione ora il 25 agosto ricevuto diagnosi di autismo medio lieve.

Il NPI é molto ottimista il bambino non ha compromissioni cognitive e pensa che con una diagnosi così precoce e le terapie fatte subito (che stiamo facendo) potrebbe diventare lievissimo meno di un livello 1, o addirittura cadere un giorno la diagnosi.

Ecco crollato tutto già non lo accettavo prima ora é ancora peggio.
Lo maledico.
Lo odio perché é neurodivergente.
Lo odio perché non é come gli altri (come odio la mia diagnosi dopotutto)
Lo odio perché dopo una vita di terapie ricoveri (prima di scoprire negli Stati Uniti Marsha Linhean e la DBT) iniziata a 17 anni, di shock anafilattici a psicofarmaci io volevo solo un po’ di tranquillità non dico felicità ma banale quotidianità.

E invece no eccoci qui.
Di nuovo una diagnosi senzaq cure che suona come una sentenza sul fatto che non sarò mai felice.

Non mi merito tutto questo.

Nel frattempo però soffro perchè è mio figlio, non mi cerca come gli altri bambini non vuole la mamma e come biasimarlo.

Lo stanno crescendo il nido e i nonni perché mio marito lavora ed io non posso rientrare perché devo portarlo a fare le terapie.

Quindi anche carriera addio.

Alle volte penso che non abbia piu senso continuare a vivere.
Una vita cosi che senso può avere?

Vorrei solo non svegliarmi più sono troppo vigliacca per fare qualcosa di estremo.
Grazie se leggerete non so perché ho scritto.
[#1]
Dr. Mariateresa Di Taranto Psicologo 157 17 3
Gentile utente,

comprendo la sua profonda desolazione; dal suo racconto emergono le varie tonalità e sfumature della sua disperazione e della sua rabbia, nonché una rappresentazione della sua persona che la inchioda o nella posizione della vittima o in quella della colpevole.

Fermo restando che non bisognerebbe parlare di innocenza e colpevolezza, la verità non solo si situa nel mezzo di tali posizioni, ma è molto più complessa e sfaccettata, irriducibile a qualsiasi giudizio o parola.

Le suggerirei di discostarsi dalle diagnosi, (sua e di suo figlio), che servono per orientare ad una cura o un trattamento, ma spesso finiscono col divenire un'identità, magari sofferta ma alla quale forse nel tempo non si riesce a rinunciare. Si centri sul suo essere e sull'essere di suo figlio.

La sua è la testimonianza reale e spesso taciuta, negata e ripudiata, del lato oscuro insito nella maternità, che in forme e gradi differenti, appartiene a tutte le madri. Tale lato, coesiste con quello conosciuto e mitizzato di amore illimitato e beata fusionalità, e necessita di essere riconosciuto ed elaborato, magari in un contesto accogliente e non giudicante come quello della stanza di uno psicologo.

Durante i primi mesi di vita di suo figlio, la responsabilità di un essere che dipendeva in tutto e per tutto da lei, le è apparsa forse eccessivamente spaventosa, schiacciante. E il sentire di poter creare una vita, ha probabilmente risvegliato in lei l'antica sensazione di onnipotenza infantile, che però successivamente ha forse conferito alle sue emozioni ambivalenti e ai suoi vissuti di rabbia, desolazione, paura di perdere la sua persona nel dover vivere per un'altra, un peso insostenibile.

Forse è stata anche costretta a misurarsi con la separazione da sua madre (dalla quale, come ho appreso dai precedenti consulti, non riusciva a distanziarsi), e con la perdita dell'aspettativa di essere la madre ideale di un figlio ideale, per poi scoprirsi, nella realtà, una madre imperfetta di un figlio imperfetto.

Tutto ciò, avvenendo sullo sfondo di mutamenti e vacillamenti profondi, quali la pandemia e la perdita del suo lavoro, da cui si è sentita "stravolta", ha forse intaccato ancor più un fragile equilibrio, forse faticosamente costruito.

Io le suggerirei di intraprendere un percorso psicologico di sostegno alla genitorialità, a cui potrà eventualmente associare un percorso psicologico per suo figlio.
Ritengo sia importante lavorare sulla relazione che ha con suo figlio, sugli aspetti consci e inconsci del materno e su come hanno inciso e continuano ad incidere sulla stessa.

Simultaneamente, o successivamente, si potrà forse intervenire anche su suo figlio, aiutandolo a riscoprire l'affettività, a riaffacciarsi sul mondo.
Pian piano le sarà possibile creare o recuperare le sue risorse genitoriali a partire dallo sviluppo della sua concezione di madre, cominciando a rappresentarsi sufficientemente buona, capace, adeguata, e sintonizzandosi emotivamente ad un figlio che aveva perso il suo contatto intimo e profondo.

Inoltre, non solo non è tenuta a scegliere se essere una madre o una donna con una carriera, ma vorrei dirle che una madre abitata da un proprio desiderio, che sa rivolgere il proprio sguardo anche a qualcos'altro oltre che al proprio figlio, mescolando sapientemente presenza e assenza nella vita di quest'ultimo, generalmente è una madre più appagata, che oltre a rendere il proprio figlio più sereno, gli potrà anche donare tutto quell'oltre che si trova al di là di lei.

Auguri per tutto.

Psicologa e Assistente Sociale
www.psicosocialmente.it

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