Disturbo di personalità

Gentili Dottori

sono da più di una settimana in attesa che il mio psichiatra mi richiami.
Ho un disturbo di personalità, mi è stato detto di chiamare se avessi avuto problemi, comincio ad avere sintomi depressivi che conosco bene, non riesco a fare le attività quotidiane se non con grande sforzo e dormo.
Mi sento male e come da accordi chiamo, adesso, se mi arrabbio sono sempre la solita, se non chiamo sono sempre la solita ma meglio, ma provo enorme sofferenza per questo disinteresse.
È il disturbo di personalità, roba mia che in qualche modo devo gestire io, ma è come un tarlo.
Mi abbuffo ma non va bene, perché piena di farmaci sono ingrassata molto e perché spendo molti soldi in cibo e sto fisicamente male.
Altri modi di gestione fanno soffrire gli altri.
Passo le ore paralizzata a piangere, vorrei cavarmela da sola senza toccare il fondo.

Cosa dovrei fare secondo voi?
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
Ma come mai non lo richiama dopo più di una settimana ?

Dr.Matteo Pacini
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Utente
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Sarebbe la terza volta, e l'infermiere mi direbbe che ha tanto da fare con altri pazienti per la terza volta. Lei capisce, anche a voler razionalizzare è doloroso, ci sono conseguenze
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Utente
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Ho richiamato e l'infermiere mi ha chiesto perché chiamavo. Sforzo di educazione, mi ero scritta i sintomi su un foglio di carta e mica sono riuscita a dirglieli. Ogni volta che chiamo è più difficile, non è una cosa razionale, è come essere posseduta, adesso se mi richiama non so mica se rispondo o cosa dico
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
Ovviamente il suo atteggiamento non è congruo con lo scopo della chiamata, anche se poi in realtà riferire i sintomi all'infermiere non so se sia la prassi. Ma se lo è, in pratica lei chiama e non fa in modo che il medico sia informato del problema che sta avendo, dopo di che allora perché - se non lascia detto nulla, dovrebbe richiamare ?

Dr.Matteo Pacini
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Utente
Utente
La seconda volta ho lasciato detto di stare poco bene, l'infermiere non mi ha detto "dimmi che cos'hai", ma se potevo accennargli qualcosa. Mi sento, sono estremamente sensibile a come gli altri mi rispondono quando sto male e non è raro che un atteggiamento brusco mi faccia stare ancora più male. Sensibile non è un attributo positivo qui. Per questo sono timorosa, non perché deliberatamente voglia fare giochetti o perché non sappia lasciare un messaggio, ma perché c'è la possibilità di ritrovarmi in queste violente crisi che tra l'altro sono veramente lontane da come sognavo, volevo, speravo di essere.
Lo psichiatra mi ha dato delle gocce per Natale che almeno mi aiuteranno a dormire.
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Utente
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Gentile Dottore,
come è possibile dopo anni di cure che non funzioni niente? Il mitico litio, niente. La mitica quetiapina, niente. Ha più senso uccidersi adesso dopo tutti gli sforzi, ricette, visite, analisi, visite, ricette, psicoterapia, controlli, esami, visite. Io il prossimo mese ho 10 appuntamenti, più medico di base e farmacia, neppure la 104 ho, quindi tutti favori a colleghi da chiedere. Ore di vita per curarmi, niente. Prima avevo una speranza, ennesimo cambio di terapia, ho preso 5 kg, non riesco a smettere di mangiare tanto che esco a comprarmi la roba se non c'è, non riesco a concentrarmi, lascio cadere le cose perché non riesco a reagire. Ha sempre più senso uccidermi, perché tanto so che il mese prossimo starò ancora male.
Devo tagliare un po' le cure secondo lei? Forse riesco ad avere il senso di non aver già fatto tutto e che quindi potrò un giorno stare meglio.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
Forse però la diagnosi rimane un po' vaga. Avendo usato queste cure, presumo che invece sia stata definita di più. Altrimenti come prove non sono così generiche.
Non ha mai discusso del suo problema col medico, con qualche dettaglio in più, sul perché di determinati medicinali, sulle eventuali altre terapie non farmacologiche (non la psicoterapia) ?

Dr.Matteo Pacini
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Utente
Utente
Egregio Dottore,
ho fatto almeno due approfondimenti diagnostici con test a risposta multipla del tenore "hai mai avuto periodi con un desiderio sessuale particolarmente forte", "hai mai visto cose che altri non vedono", "hai amici intimi" ecc ecc
Ho tenuto per sei mesi un diario dell'umore. Ho fatto un eeg. Ogni volta che cambio psichiatra mi chiede di raccontare tutto di nuovo che, credo, vale come nuovo paio d'occhi. Lo sa che pregavo di avere il disturbo bipolare perché a quanto pare starei bene con una terapia persino più semplice della mia?
Mi hanno parlato di terapie come l'elettroconvulsivante, ma è una procedura lunga e difficile per benefici di breve durata, non può certo essere la mia terapia a vita, così assommiamo i problemi cognitivi alle crisi bulimiche. Per questo le dico che vorrei aver fatto meno per avere più speranze.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
Ma in questo caso come mai su una diagnosi molto generica (e soggetta a cambiamenti probabili nel corso del tempo) come quella che riporta, senza una terapia standard, sono state usate medicine molto specifiche invece ? Difficile che a monte non ci sia un'idea più precisa sulla natura del problema, per questo chiedevo se ne avesse discusso.

" l'elettroconvulsivante, ma è una procedura lunga e difficile per benefici di breve durata"

Direi l'esatto contrario, più breve di altre e dall'effetto protratto. Ma indicata per alcune cose, da qui il discorso della diagnosi.

Dr.Matteo Pacini
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Utente
A meno che un paio di psichiatri non mi abbiano guardato negli occhi e mentito, a meno che non abbiano mentito sui documenti, nonostante una mia diretta domanda in più occasioni con più professionisti, io non ho il disturbo bipolare.

Se lo avessi, sarei felice. Ho una terapia adeguata, la prendo da anni, sono una salutista, sono un po' ossessiva, starei bene, anche dal punto di vista della difficoltà a dirlo ad altri. Quante volte ho detto al medico, all'edocrinologo che prendo il litio, senza specificare, sperando che mi credesse bipolare perché avere un disturbo di personalità non ti fa guardare con occhio benevolo dagli altri. Ti guardano male, ti trattano male. Invece il disturbo bipolare non spaventa, è genetico, fa tenerezza, sono intelligenti, sono energici, se stanno bene fanno anche carriera. Io no
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Ma forse lei intendeva quale disturbo di personalità? Borderline
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
Non capisco il ragionamento. Perché se avesse il disturbo bipolare allora sarebbe felice e starebbe bene ?
Comunque il borderline ha delle correlazioni note con il bipolare. E i farmaci usati in effetti sono quelli. Però si sa che è un quadro di difficile gestione. Empiricamente si ottengono risultati su alcuni tipi di sintomi.

Dr.Matteo Pacini
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Utente
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Perché non mettere il disturbo bipolare sul referto delle valutazioni, così mi farebbe anche punteggio e potrei persino avere la 104, ossia i tre giorni al mese per l'accompagnatore, in modo che almeno quando mi sento male e vorrei davvero andare a schiantarmi contro un muro posso farmi accompagnare alle visite fuori regione e non dover fare affidamento sulla mia forza di volontà. Voglio lasciare l'auto ai miei familiari.
Perché invece mi hanno fatto una diagnosi di borderline che non posso dire a nessuno, pena il sorrisetto e quell'aria di attesa che io commetta chissà quali crimini. Lo sa che volevo arruolarmi nell'Arma? Ma per favore, è umiliante e basta.
Inoltre, lei dice che il disturbo bipolare è di difficile gestione, altri che guarisce in ore con la terapia giusta. La mia è giusta, forse sono sbagliata io.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
Ma non capisco: lei ritiene che i tratti borderline non le appartengano, oppure non vuole che siano indicati ? Perché la seconda mi pare una pretesa un po' strana. Negli arruolamenti fanno le loro valutazioni, per cui a parte la storia che può avere, conta quello principalmente. Di fronte ad un soggetto che riportasse una diagnosi psichiatrica come disturbo bipolare non sarebbero affatto rassicurati. Ho capito perfettamente cosa intende circa disturbi di personalità versus disturbi di asse I, ma il punto è: ritiene la diagnosi non sussistente o è vera ma preferirebbe non fosse comunicata come tale ?

Dr.Matteo Pacini
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Preferirei non averla, ma avendola non vorrei doverla comunicare, anche perché ne sento molto spesso parlare sui media, dai parenti, anche dai conoscenti. Una simpatica infermiera mi ha fatto una pittoresca descrizione di una ragazza con disturbo borderline il cui ingresso in comunità era fervidamente atteso in quanto costei si concedeva a tutti. Non c'è reato che sui media non ci venga attribuito ed è per questo che le parlavo del mio desiderio di fare parte delle Forze dell'Ordine. Probabilmente mi hanno subito riconosciuto ai test.
Dal momento che mi trovo in questa condizione mi rendo anche conto che non ci sono cure incisive. Dopotutto la cosa migliore sarebbe non esserci.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
Però mi sfugge una cosa. Se riconosce di averla, se ne protegga, e se vuole protegga anche gli altri. Non è che per forza di cose ci debba essere pericolosità, però alcuni aspetti sono spesso per gli altri problematici, non necessariamente lesivi alla fine.
Troverebbe giusto entrare con un test che indica un profilo non compatibile ? Si può discutere sul fatto che alla fine ci sia un rischio specifico, o che ce ne sia uno generico di tipo relazionale, ma a parte questo non capisco perché risentirsi.

Dr.Matteo Pacini
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[#17]
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Utente
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Perché mi vergogno ad essere associata a questi comportamenti, mi vergogno al pensiero che possano avere davanti agli occhi uno stereotipo che poi inevitabilmente inficerà il giudizio che avranno di me.
Lei è psichiatra, non avrebbe però difficoltà ad andare da un collega, magari un medico generico, e dirgli che soffre di schizofrenia?
Non le parrebbe quasi di sentire "andiamo bene?". Non serve che risponda, io si. Io non voglio più uscire di casa, sto male, le cure non funzionano e ho anche un marchio a fuoco che mi farà odiare e/o temere da chiunque lo venga a sapere, inclusi voi sanitari. Non vedo l'ora di finirla, la mia vita è cominciata male e non so perché ho tirato avanti finora, presumo per paura di morire e di non trovare niente neanche di là.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
Mi scusi, ma che si vergogni è un conto, ma ne parla come qualcosa che non è corretto e giusto per poi invece venire a dire che è una diagnosi che corrisponde. Un'informazione del genere salta fuori in ambiti medici, mica in generale con chiunque parli. E lì perché non dovrebbe aver senso conoscerla ?

Dr.Matteo Pacini
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Utente
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La mia diagnosi è disturbo borderline e io non posso discuterla, ma di sicuro sono diversa da altri borderline i cui comportamenti non adotterei mai.
Il fatto è che le cure non funzionano e che ho perso le speranze, tutta questa fatica per che cosa? Per farmi dire che il vero problema è che sono un pessimo essere umano?
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
Può anche discuterla, niente glielo vieta, ma da come si esprimeva pareva che si riconoscesse invece nella diagnosi in questione.

Quindi in quali dei comportamenti previsti per la diagnosi non si riconosce ?

Dr.Matteo Pacini
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[#21]
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Utente
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Ad esempio mi offende profondamente il dire che farei "sforzi disperati per evitare l'abbandono". Ho un'ansia intensissima con annesso bisogno di controllo, stabilità, routine e i cambiamenti mi fanno precipitare nel panico e quindi nella crisi di rabbia più o meno controllata e nell'impulso al suicidio, che di "minaccia" o "manipolazione" non ha niente, a meno di non considerare il semplice dirlo in un contesto di cura una minaccia. Se davvero qualcuno mi "abbandona", come spesso è successo, non viene certo stalkerizzato da me, chiudo molto facilmente le relazioni.

Visto che dell'ansia cronica sanno un po' tutti coloro che mi conoscono bene, la faciloneria con la quale mi gettano nel panico disorganizzando le mie giornate pare dolosa. Se non sapessero...Alcuni dicono che è a scopo didattico, se permette negli anni non mi ha insegnato nulla se non la scarsa empatia e l'inaffidabilità delle persone.

La famosa indealizzazione/svalutazione non mi riguarda, sono molto grata se mi si fa del bene e mi arrabbio proporzionalmente al dolore che mi viene causato, spesso senza chiedere scusa e attribuendomene completamente la responsabilità. Non so se in ospedale si potrebbe maltrattare un malato oncologico perché vomita, in psichiatria si può. Ad ogni modo, chi ammiravo vent'anni fa è ancora oggetto di ammirazione. La rabbia per qualcosa che uno fa non è "svalutazione".

Detto questo, se anche avessi tutti i criteri e non solo alcuni, nella diagnosi non si discrimina quali né perché li ho e soprattutto non ci sono cure.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
Però bisognerebbe vedere applicato ai singoli eventi, perché chiunque descrive i propri comportamenti come giustificati. A volte le storie raccontate sono completamente diverse da quanto è accaduto effettivamente.
Il punto di partenza è l'avere relazioni problematiche, sistematicamente, con fasi iniziali che non sono indicative degli sviluppi, se non in senso paradossale (inizi ottimi, sviluppi pessimi).
C'è un discorso di empatia (e di accusare gli altri di non averla, tipicamente), di visione di sè come "terza persona", di utilizzare determinati elementi, tra cui quelli allarmanti, come strumenti per suscitare interesse o allarme su di sé, non sempre con uno scopo preciso, anzi spesso sbagliando. Cercare e ottenere approvazione immediata e totale (e quindi indurla con mezzi ovvi ma di nessun peso generale), e poi lamentare il venir meno di questa alleanza; oppure scoprire intese profonde basate solo sull'idea che l'altro ci dia ragione, e poi scegliere circostanze improbabili in cui verificare se ci dà ragione e accusare di tradimento, incoerenza, falsità etc. Soprattutto ,cercare di impostare i rapporti sempre rispetto a qualcun altro, e condizionarli facendo riferimento ad altri (tipo "tizio ha detto che tu...", oppure "tu mi vuoi bene, non come lui...").

Questi alcuni degli elementi. Però ripeto, non si tratta di colpevolizzare, ma di indicare un quadro clinico, che, se quello è, comporta delle condotte di questo tipo. Si può descriverle senza evidenziarne la problematicità ? Bisogna tener presente che la personalità riguarda le relazioni, e quindi dicendo che uno ha un disturbo del "modo di relazionarsi", non è come dire che uno ha un disturbo ad una gamba.

Dr.Matteo Pacini
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[#23]
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Utente
Utente
Grazie, ha fatto esattamente una descrizione di me come una persona che ha problemi di umore e di pensiero gravi e cronici per i quali è assurdo che possa andare per il mondo ed avere relazioni di lunga data visto che è sistematicamente fuori come un terrazzo; la stranezza è c'è chi mi considera valida e affidabile in molti contesti.
Una persona che ha quindi reazioni esagerate/sproporzionate che elicitano quelle degli altri (sani e quindi perfettamente lucidi e giusti), delle quali è sempre responsabile.

Il tutto senza avere uno straccio di cura se non la famosa psicoterapia che consiste nel farci notare quanto siamo emotivamente pazzi e pericolosi. Poi vi lamentate se le persone si suicidano. Cominciate a domandarvi perché le persone fanno quello che fanno, anche io tollero centinaia di persone difficili per lavoro e lo faccio consapevole che lo fanno per un motivo, questa è empatia.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
Innanzitutto non si permetta di mancare di rispetto.

La descrizione è quella della diagnosi. Non di sé. E come mai abbia potuto prenderla come una descrizione di sé, non si capisce.

Se non le stanno bene le diagnosi fatte, chieda altri pareri per chiarire la situazione. Non è vero che c'è solo la psicoterapia, e lo sa bene perché ha citato altre cure farmacologiche.

Ma non ho capito, se per un disturbo non ci fosse neanche una cura, deve incolpare qualcuno ?

Un atteggiamento offensivo e polemico privo di senso.

Dr.Matteo Pacini
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Utente
Utente
La terapia farmacologica non funziona e non è colpa di nessuno tranne mia che offendo gli altri con le mie lamentele, sono tutte persone meravigliose in questo che è il migliore dei mondi possibili, tranne quando incontrano me. Il mio contributo personale e professionale al benessere altrui diventa minimo nel momento in cui si conosce la mia diagnosi, mentre prima ho un sorprendente valore d'uso di qualche tipo che è apprezzato.
Le ripeto, l'unico modo è andarsene, lo so che per lei questo è pura follia ma fare, dire, pensare e provare cose che "non hanno alcun senso" può essere inspiegabilmente, assurdamente fastidioso per qualcuno perché tra l'altro così perde anche il diritto di dire ai, smettila che mi fai male. E infatti mi fate male, continuamente, e poi mi dite non è vero, e mi rifate male, e io mi chiudo in casa e me ne vado. E non è una minaccia, perché questo comportamento assurdo e imprevedibile da parte di una persona pericolosa e folle non è colpa di nessuno. Basta dare il mio certificato e tutti annuiscono pieni di solidarietà per voi. Neanche sapete di cosa parlo, per dire. Neanche sapete cosa mi è successo, neppure ne parlo più perché non fa la minima differenza.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
A me pare che questo atteggiamento sia appunto un atteggiamento. E ci rinuncerei al fine di chiarirmi meglio le idee su come le cose si possono curare. Incluso il fatto che la diagnosi sia da rivedere o da specificare.
Non le serve porsi in questo modo, è chiuso. Non chiede, dice una cosa, decide già tutto, e soprattutto mette se da una parte, e gli altri sulla barricata opposta. Allora però perché chiede ? Se Lei chiede significa che vuol vedere se qualcuno le indica una soluzione. Non importa che abbia in questo fiducia in partenza, ma se denigra gli altri non li predispone umanamente ad avere un rapporto costruttivo con Lei.

Dr.Matteo Pacini
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[#27]
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Utente
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A me piacciono gli altri, anche troppo. Solo ho paura di loro ed è inutile dire che sono buoni e non ti fanno niente, non è vero. Ti fanno molto, molto male, un male insopportabile. Ti spaventano, ti tormentano, fanno ogni sorta di gioco per metterti in una posizione in cui sei tu la responsabile del male.
Un atteggiamento? Legga i giornali. Paranoia? Meglio la paranoia che far stridere i denti nel vuoto intorno, perché può stare sicuro che chi ti fa del male se ne va in giro sorridente e non si sente affatto in colpa, nessuno ti aiuta e tu hai l'unica scelta di constatare che essere deboli è la peggiore sfortuna del mondo e hai due scelte, andartene o diventare un diavolo. Io non voglio dare a chi mi fa del male la soddisfazione di dire che è stato provocato perciò me ne vado.
Questi tranquillamente mi ammazzano e nessuno mi aiuta, che ne sa lei.
[#28]
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Utente
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Scusi, adesso ho capito il problema. Nel mio mondo il buono non è buono. Non è buono il dottore, il pediatra, il nonno, il papà, il maestro, il sacerdote, l'avvocato, il poliziotto, l'infermiere, il passante, l'amico di famiglia, nessuno. Quindi io posso anche predispormi a farmi aiutare, ma non è possibile chr accada,, specie quando cominciano a dirmi che quello che mi fa male in realtà non mi fa male ma me lo cerco, mettendomi di fatto nella posizione di subire in silenzio. Non ho mai avuto vere alternative, forse le ho create io. Non la prenda sul personale, mi scuso se le ho mancato di rispetto, la ringrazio dal momento di introspezione e le auguro Buon Anno.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
Non è che la soluzione degli altri è considerare buone le figure. Il contrario, è considerarle potenzialmente buone. Lei ragiona evidentemente con una dicotomia: qualcuno può essere favorevole a Lei, o nemico. La quasi totalità dei rapporti si situa nel mezzo, a livello funzionale.
Con questo approccio la totalità delle persone in breve tempo diventa nemico altrimenti. E quelli che le paiono sono spesso e volentieri le persone che Lei inizialmente l'avevano convinta.
Cercare l'alleanza totale con qualcuno è un punto di partenza non funzionale. Non serve, anche se fosse. E' illusorio, fallace, e soprattutto è un arco teso.
Fondamentalmente, una terapia dovrebbe mirare a rendere le sue reazioni meno immediate, così sono meno nette e meno categoriche, e le consentono di regolarsi secondo l'esperienza, che significa conoscere la vita in un modo diverso.

Dr.Matteo Pacini
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[#30]
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Utente
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Da questo punto di vista riesce molto bene, tranne quando sono particolarmente stanca e stressata. È fondamentale non pensare al passato, ma a volte non dipende da me, magari vedo una notizia al telegiornale oppure come è successo qualcuno dice qualcosa di particolare, è difficile calmarsi. Ad esempio, poco fa ho sentito una signora raccontare alla figlia delle percosse e delle minacce da parte del suo compagno, fatto imprevedibile.
Inizialmente mi hanno attribuito una terapeuta comportamentale che continuava a propormi cose da fare, ma sono molto gelosa della mia indipendenza. Ora ne ho una psicodinamica con cui mi trovo meglio, ma comunque nella vita quotidiana ho sempre questa sensazione di disgrazia imminente tanto che sono preoccupata di farmi trovate pronta.
È bello che questa terapeuta si occupi di offrirmi soluzioni nella vita quotidiana, maternamente, ma nei momenti di stress mi sento sola e impaurita e non riesco a credere che farmaci sedativi come la quetiapina smettano di fare effetto.
Non dipende da me, ho paura e se ho paura non aspetto di capire se gli altri sono buoni o no, anche perché non ho fiducia nella giustizia. Mi sorprende che molti si sorprendano di questo fatto, dove trovano loro la forza di rischiare, probabilmente per beata incoscienza.
Non ho ancora trovato niente che mi facesse sentire al sicuro, in compenso è pieno di cose che mi sconvolgono e non è vero che non mi controllo, rispetto a quello che sento sono estremamente controllata, fosse per me mi sarei già buttata dalla finestra - non letteralmente, ho avuto tanto tempo per pensarci e ormai ho le idee molto chiare sul come.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
"non ho fiducia nella giustizia."

Non esiste questo concetto, in realtà è l'opposto, cioè lo vuole attribuire più e prima del dovuto, per poi lamentare che non c'è o che è stata disattesa l'aspettativa o quanto era lecito attendersi. Ma è la costruzione di un'aspettativa da imporre alle cose che non funziona. Bisogna seguirle per come vanno, non pretendere che vadano in una maniera in cui è improbabile, anche perché, se le cose andassero come noi ordiniamo in totale libertà, probabilmente per noi sarebbe molto peggio.

Le terapie non devono essere "belle". Questo pare un counseling più che un intervento mirato al cambiamento. A cui Lei fa resistenza evidentemente, perché è "gelosa" del suo modo di condurre i rapporti e in generale il rapporto con la realtà. Ma è proprio quello il nodo.

Dr.Matteo Pacini
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[#32]
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Utente
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Mettiamola in questo modo, c'è una mancata applicazione della legge da parte di un sistema pigro che favorisce i colpevoli a danno delle vittime, i "nipoti" rispetto agli orfani, i "nostri" rispetto agli estranei. Così come lo avrà sperimentato lei, immagini quanto lo può sperimentare un indifeso. Possiamo stare a parlare una settimana di quanto possa essere un parto della mia immaginazione, cosa che tra l'altro mi è stata detta più volte in vita mia. Ma io non ho fatto niente, sei tu...

La terapia non deve essere bella. Non ho detto questo! Ho detto che è bello che mi venga offerto aiuto, perché è esattamente quello che mi è mancato. Non mi è mancata la grande figura di riferimento che mi dice cosa fare dall'alto del suo sapere. Tutti mi dicevano cosa fare e bisognava farlo, senza appello. Mi è mancata una persona che mi facesse un certificato, che mi desse un consiglio pratico, un numero di telefono, un fazzoletto, una mano.

Tanti terapeuti si offendono perché non mi prostro ai loro piedi profondendomi in ringraziamenti per avermi donato il loro sapere. La verità è che spesso non riflettono su quello che dico loro, pensano che basti applicare questo o quel protocollo per darmi l'idea di aver capito la situazione, ma non riescono ad afferrarla davvero. Dicono sciocchezze che indicano che se la immaginano mettendo insieme spezzoni di film. Sono sola come sempre.

Magari si lamentano che non provo le loro tecniche e che sono arrogante. Io non sono arrogante, io ho paura e queste persone sono inconsapevoli, anche dopo aver spiegato loro sono inconsapevoli. Se avessi potuto guarire con la filosofia del "fidati e impegnati" non avrei bisogno di terapie.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
"La verità è che spesso non riflettono su quello che dico loro, pensano che basti applicare questo o quel protocollo per darmi l'idea di aver capito la situazione,"

No, non è detto. Seguire un protocollo non è per "capire" che è bene seguirlo, è per produrre dei cambiamenti. Se fosse solo seguire delle regole, si ridurrebbe a quello. Il comportamento induce dei cambiamenti nel tempo, non perché uno lo faccia avendo capito che funziona (come potrebbe saperlo ?). Non c'è da riflettere sulle procedure o gli esercizi di comportamento di quel tipo, quelli devono funzionare in quanto tali, e ovviamente non in tempo reale, nel tempo.

Se uno aspetta di esser convinto della bontà delle tecniche altrui, non impara mai. Vale da qualsiasi parte, a partire dalla scuola. "Fidati" forse non è richiesto, ma "impegnati" si. Anche prendere una medicina è un impegnarsi a far qualcosa, che produce un effetto, se lo fa.

Dr.Matteo Pacini
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[#34]
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Utente
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Guardi, se pensa che io non sia una paziente diligente si sbaglia. Appena sono diventata maggiorenne ho trovato un lavoro ed ho iniziato una terapia cognitivo comportamentale, la prima di una lunga serie. Perché avrai fatto due o tre sedute e poi smesso, perché avrai pasticciato coi farmaci, perché ti sarai dedicata ad uno stile di vita sbagliato e da sciocchina ora pretendi il risultato. Di solito mi si accoglie così, con sufficienza Io ho buttato risme di ABC, ancora oggi alcune tecniche acquisite le uso, ad esempio tecniche di rilassamento, il riconoscimento delle emozioni, una certa struttura delle giornate. È facile perché dei problemi veri non si parla o se ne parla in maniera teorica. Non si parla del fatto che le crisi arrivano non perché non so riconoscere le emozioni, ma perché qualcosa mi scatena la paura che mi facciano del male. Inutile dire che è irrazionale, devi trovare le prove che è irrazionale, si, ciao, lo sai dov'è Razionale? È scappato perché ha paura anche lui. E sa cosa dico ai terapeuti? Dovresti avere paura anche tu, perché l'uomo è una creatura di cui avere paura.
Dovresti avere paura anche di te stesso. Ecco perché le dico che preferisco chi mi da una mano in cose pratiche, anche se minime, perché mi ispirano maggiore fiducia dei maestri di vita, quali alla fine diventano alcuni terapeuti. Si accettano lezioni di vita dai propri simili, non dall'Emiro del Qwait che ha tutt'altro problemi.
Comunque sono passati 20 anni, eccomi qui con la sensazione di aver vissuto una vita di troppo, con grande sforzo mi rialzo e senza alcun potere decisionale vengo rigettata in un pozzo nero da una notizia del TG, dal racconto di un estraneo, da uno sguardo, da una frase. Sono molto stanca.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
Ma perché mette i terapeuti da un'altra sponda, come se loro appartenessero ad un'altra specie. Ma crede che non ci siano medici che si ammalano anche delle stesse cose magari ?
"Si accettano lezioni di vita dai propri simili,". Ma non dai medici, che devono occuparsi di altro, avente però a che fare con il pensiero, il comportamento e il modo di relazionarsi. Non per insegnarle uno scopo nella vita o il modo "giusto", ma per spiegarle se mai la parte non funzionale, che non le sarà utile e che genererà relazioni problematiche.
Nel suo modo di esprimersi qualcosa di relativo a questo effettivamente si percepisce.
La presentazione delle cose, e non è un storcere le bocca, in chi ha un certo tipo di problemi è sistematicamente piegata all'istinto a presentarsi bene, suscitare emozioni a proprio vantaggio o in maniera da risultare oggetto di attenzioni positive. O di indurre reazioni dell'altro in maniera strumentale ad uno scopo specifico.

Non so se questo sia il suo caso, parlo della diagnosi fatta.
Ma se non ritiene che questo le si addica, faccia rivedere la diagnosi.

Dr.Matteo Pacini
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Sono sicura che un medico o uno psicologo possano avere la mia stessa diagnosi, ma è difficile che possano lo stesso capirmi. Non ci si iscrive a medicina se non si ha niente, non si conosce nessuno e non si ha nessuno, si cerca di sopravvivere. Magari si diventa "manipolativi", ma ricordi che non si manipola se si può semplicemente chiedere. Anche l'essere umano più stupido impara qual'è il suo posto nel mondo e nei pensieri degli altri. Certo che ho finto e dissimulato, ma quelle menzogne che allora sembravano un'ulteriore fonte di vergogna oggi infiammano la mia rabbia. Hanno un senso, glielo assicuro.
Oppure sono pazza e allora mi serve un'altra diagnosi che riporti tutto questo a me e solo a me, come un tempo, perché ci sono stati alcuni che non era possibile "manipolare", perché avevano bisogno si fare solo e soltanto quello che hanno fatto, e spettatori del film della mia disperazione. Vogliamo proiettarlo di nuovo per vedere se è l'attrice o il copione? Complicato, mi rendo conto.
Lei è un uomo molto intelligente e io una persona che ha molta paura e che fa molta fatica a vivere e questo è del tutto autentico. Non so davvero come ho fatto ad arrivare ad oggi.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
"ma ricordi che non si manipola se si può semplicemente chiedere. "

No, appunto, c'è chi invece lo fa. Se il movente è emotivo, è un auto-condizionamento spontaneo. Ho sentito una cosa, ho agito di conseguenza. Il tutto in genere in maniera rapida.
Ma quel "sentire" è ovviamente parte del problema.
Se a chiunque si aumentasse la suscettibilità, ovvio che si indurrebbe la stessa cosa, infatti il problema è la disfunzionalità rispetto a sé, non la normalità statistica o la via che seguono gli altri.

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È vero, ci sono cose che chiedo tranquillamente (perché so che mi spettano) ed altre che sono alla discrezione dell'altro che chiedo solo se non mi servono. Difficilmente mi metto nella posizione di dipendere dell'aiuto altrui perché so che se l'altro si mostrasse aggressivo quando io sono in uno stato di bisogno questo mi metterebbe in una condizione di grande alterazione, di grande impulsività, di sensazione che la realtà vada in pezzi, di precipitare in un vuoto senza appigli, è terrificante ed io cerco in tutti i modi di evitarlo. Dipendo quindi dagli altri non tanto per il piacere o la parola di conforto, ma per la mia salute psichica. Non do volentieri questo potere alle persone, persino a quelle più gentili e "sicure", non me lo posso permettere.
Se è questa la "suscettibilità" cui si riferisce, capisce bene quanto abbia bisogno di indipendenza e controllo.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
L'ultima frase riassume un po' tutto. Indipendenza e controllo... Ma è il presupposto che appare comunque già teso, per motivi non chiari, presumo perché parte così la sua sensibilità. Il problema è che questo tipo di esigenza diventa facilmente una pretesa, e si confonde con la parte morale. Insomma, se uno pretende di guidare e si arrabbia perché ci sono le curve teorizzando che si debba circolare senza rotonde o senza angoli, magari è giustissimo, ma non è probabile, non è pratico, e probabilmente non sarebbe neanche la soluzione.

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Ha ragione, ma io sono costretta ad addrizzare le curve, altrimenti ho un'ansia terribile e divento veramente aggressiva. Mettere la situazione in prospettiva non è facile ed è meno facile proprio per via dei farmaci, che sono fondamentalmente anti-dissociazione, perché normalmente mi metto in uno stato di minima coscienza lasciandomi vivere, per così dire. Per carità, è giusto così, almeno contribuisco alla società, ho una vita meno striminzita, però non è una vita che ha senso vivere. Sono in balia degli eventi, non solo il mio corpo, la mia mente. Le faccio un esempio, sperando che non la disturbi. Qualche tempo fa mi dissero che un bimbo di tre anni era stato ucciso di botte dal compagno della madre e che era già stato visto in Pronto Soccorso per pregresse fratture. Nel sentire questo non posso che pensare a quanto questo bambino possa aver sofferto, non solo per il dolore fisico, ma per il fatto di vedere la madre probabilmente mentire sulla natura delle lesioni, ponendo il desiderio di accoppiarsi prima della protezione della prole, come molti animali tra l'altro. Probabilmente questi bambino avrà pensato di essere in parte responsabile e probabilmente sarà stato molto nervoso e confuso, magari insonne, motivo forse di altre botte. Avrà tentato di compiacere i "genitori" assumendosi la colpa, senza riuscirvi.
Sarà stato impaurito anche dal fatto che nessuno sembrava un possibile soccorritore. È orrendo da dire, ma sono quasi contenta che sia morto, perché poteva guarire dalle fratture, ma non da quello che rappresentano. Provo anche a non pensarci, ma il resto della vita è insensato, un teatrino, come quello della mamma preoccupata che porta il figlio in Pronto Soccorso.
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Dottore, lo psichiatra vorrebbe aumentare la quetiapina, ma io non ho voluto. Mi sento già troppo tesa e solitamente la quetiapina mi rende aggressiva. Già i miei colleghi hanno notato la differenza con l'ultimo aumento, dicendomi che sono "carica". Ho cominciato ad avere delle suggestioni, un animale feroce nel buio, un uomo che mi segue in un'ombra sulla spalla o in un piccolo rumore del vestito. Significa che ho una forte ansia. Inoltre, tendo a mangiare di più, ho veri e propri "morsi" anche a poca distanza dai pasti. Ho preso peso e questo mi pare un indizio che lo prenderò di nuovo, sebbene lo psichiatra mi dica che l'aumento di peso non è sempre dose-dipendente. Mi ha anche detto che vorrebbe tenermi solo con il litio, in futuro, ma fino ad ora i pochi tentativi di diminuire qualcosa sono stati fallimentari. Conosco due psicoterapeute che prendono il litio soltanto, perché? È merito di una maggiore fiducia nei loro stessi strumenti di cura, di loro caratteristiche, oppure del fatto che non delegano ad altri il compito di cambiare? Lei si occupa di dipendenze e si sa che i suoi pazienti non possono delegare a lei il compito di curarli. Può al massimo motivarli a fare l'eroico sforzo di disintossicarsi, e motivarli non con la pacca sulla spalla, ma con qualcosa di più saliente, che solo loro sanno. Io non ho motivo di cambiare e non credo sia depressione, credo di essere così arrabbiata che cambiare mi sembrerebbe un po' come ammettere che il passato è un capitolo chiuso e non si risolverà in un risarcimento come credevo, anzi, che dovrò fare i conti con le conseguenze di esso pur non essendone responsabile. Credo che lei con la rabbia e la rivendicazione si confronti spesso, cosa propone ai suoi pazienti?
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
Quello che afferma sulle dipendenze è una serie di idee completamente false.
La cura non consiste nel disintossicarsi, delegano a me il compito di curarli, non sono un motivatore a non usare droghe, se mai a curarsi per le dipendenze. La cura deve funzionare in sé.

Idem per gli altri disturbi. Sta facendo una serie di ragionamenti sbagliati per giustificare un comportamento di rifiuto che alla fine viene a priori.

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Per carità, io non ne capisco niente, non era mia intenzione né affermare che le cure non funzionano né affibbiarle un ruolo di "motivatore" alla Tim Robbins.
Quanto al "giustificare" mi pare un'espressione con una certa sfumatura di giudizio morale. Preferisco "spiegare". Certo, capisco il fastidio che può causare un paziente che rifiuta una cura, deve sapere che mia madre minaccia e tenta in suicidio da ben prima che io nascessi, l'unica terapia seria che ha assunto l'ha poi utilizzata per farne overdose. Anche io ho dovuto smettere di provare coinvolgimento per le sue sorti o avrei dovuto abbracciare una vita dedita al senso di colpa e all'allarme continuo. Mia madre però considera un tentativo di avvelenamento e di controllo mentale qualche goccia di paroxetina, io sto rifiutando l'ennesimo aumento su una terapia complessa portata avanti per anni. Voglio ancora morire, a fronte di due scelte di vita radicalmente diverse il risultato è identico, pensi quanto poco potere ho avuto sulla mia vita se non sono riuscita a farla deviare di un centimetro da un binario già stabilito.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
Dire che non si volevano fare affermazioni non ha senso, le ha fatte anche con tono di chi in proposito ha delle certezze, e quindi ha affermato volendolo fare, chiaramente. Ci tengo a dirle che le cose affermate non corrispondono alle cose a cui fa riferimento.

Giustificare significa trovare una giustificazione, certo anche morale, per un comportamento.
Con questa mania di dire che non bisogna giudicare va a finire che uno non può commentare i comportamenti, che sono ovviamente aspetti "morali", etimologicamente. Per cui: tende a trovare spiegazioni a non finire quando invece in sostanza Lei rifiuta un tipo di interazione o di indicazione, ancor prima che emergano dei motivi.
Il che è perfettamente in linea con quanto fino ad ora emerge e riferisce Lei come diagnosi.

Un commento è un giudizio, non è morale nel senso che intende Lei, anzi emerge proprio che questo piano lo vuole trovare Lei, per dirigerlo in suo favore (in questo consulto almeno). Se non le sta bene questo tipo di commenti, allora facciamo prima a non parlare dell'argomento.

Dr.Matteo Pacini
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Avere delle certezze errate o ingenue non è una colpa, così come non lo è non accettare 50 mg di quetiapina in più nell'ambito di una terapia già più che strutturata.
I motivi quelli si, posso dirli con certezza. Prima del Covid andavo da tre psichiatri storici. Uno se n'è andato con correttezza, avvisandomi qualche tempo prima. L'ho salutato con un piccolo pensiero, ho continuato a fargli gli auguri per Pasqua e Natale, una bella conclusione. Il secondo se n'è andato senza neppure avvisarmi, alla "chi ti conosce". Lì è stata veramente dura, anche perché la sua sostituta mi detto che se non mi stava bene potevo andarmene. Sono stata veramente molto male. La terza se n'è andata durante il Covid, lasciandomi da una sua compagna di università, che è andata in pensione poco dopo. Da lì hanno fatto in modo di affidarmi ad uno psichiatra che potesse offrirmi un po' di stabilità. Ho ripreso a cercare a tutti i costi un'indipendenza che avevo perso in modo così fallimentare e sono riuscita, distraendomi, a stare un po' meglio. Ho deciso di approfondire la diagnosi per gestirmi ancora meglio, da sola. Ho trovato una specializzanda che mi ha aggredito a freddo, presumo dopo aver visto il risultato dei test ed essersi resa conto che con la mia diagnosi poteva permettersi di vessarmi un pochino, tanto nessuno mi avrebbe creduto.
Ho avuto una crisi durissima, che ancora perdura. Stava aspettando solo me, presumo. Mi ha detto che potevo chiamare il suo supervisore, se non mi stava bene, ma sappiamo già chi ha ragione no?
Non vedo proprio il senso di vivere viste le circostanze, a meno di non diventare esattamente come questa donna si attendeva da me, priva di scrupoli e di sentimenti. Se solo provassi un qualche diletto in qualsiasi cosa, ma appena tocco un libro, un disco, un dolce, un film...Sembrano acqua, inutili.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.6k 993 248
Purtroppo finché non comprende che questo sentire e l'atteggiamento che ha sono un tutt'uno, e non conseguenza l'uno dell'altro, le mancherà di comprendere il filo della questione.
"ma sappiamo già chi ha ragione no?". Lei sì, lo sa. Io non mi interesso di questo problema, sta di fatto che nella mia esperienza, quando inspiegabilmente si verificano sistematicamente interazioni del genere, c'è una spiegazione. E menomale, perché altrimenti non ci sarebbe modo di risolvere, mentre invece essendoci una spiegazione, il modo c'è.
Che ancora non sia riuscita a trovare una cura efficace può essere una questione di prove. Che rifiuti di adeguare le dosi invece è una scelta poco comprensibile.

Dr.Matteo Pacini
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Disturbi di personalità

I disturbi di personalità si verificano in caso di alterazioni di pensiero e di comportamento nei tratti della persona: classificazione e caratteristiche dei vari disturbi.

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