Difficoltà relazionali con un collega sul lavoro
Buona sera, vorrei raccontare un problema che sto vivendo sul posto di lavoro, nella speranza di ricevere un consiglio su come affrontarlo.
Sono stato assunto da alcuni mesi in un ufficio pubblico tramite la Legge 68/99, con il profilo di "operatore tecnico addetto all’immissione dei dati".
È il mio primo impiego e non svolgo le attività principali dell’ufficio in autonomia, ma mi occupo di varie mansioni di supporto, come l’identificazione e l’aggiornamento delle cartelle dei pazienti tramite scrittura del nominativo e applicazione dell’etichetta, l’archiviazione delle cartelle fisiche nei raccoglitori e negli scaffali, la fotocopiatura e la scansione dei documenti, l’accoglienza del pubblico e la spiegazione delle informazioni di base per orientarli nei servizi, oltre a piccole commissioni interne tra gli uffici della ASL.
Mi occupo anche di rispondere alle chiamate in entrata, ma in questo caso mi trovo spesso in difficoltà e passo la chiamata ai colleghi presenti nell'ufficio, tranne in alcune situazioni semplici.
Il problema principale riguarda il rapporto con un collega.
Fin dall’inizio ho percepito freddezza e mancanza di fiducia.
A volte mi chiama con un nome sbagliato, blocca le mie domande con un aspetta, aspetta e poi non mi risponde.
Quando siamo da soli e l’altra collega è in ferie, risponde al telefono dicendo che è da solo, come se io non fossi presente.
Non mi affida neanche compiti semplici e ho la sensazione di non essere considerato tanto utile.
Inoltre, mentre parla al telefono dell’ufficio, spesso si appoggia con il piede sulla base della mia sedia, mentre io sono seduto (anche se non sulla parte dove mi siedo).
Vorrei sapere il vostro parere: è un comportamento normale o può essere visto come invadente o poco rispettoso?
In un’occasione, mentre era al telefono, ha iniziato a muovere una penna nell’aria vicino al mio volto, poi l’ha avvicinata, quasi come a puntarla verso gli occhi.
Ho reagito allontanandogli la mano e lui ha risposto: fai il buono.
Ho trovato il gesto e la frase fuori luogo.
Io sono sempre stato educato ed evito il conflitto diretto.
Ieri ho parlato con due dirigenti medici spiegando che il lavoro per me è un pò difficile e che forse sarebbe meglio un trasferimento in un ufficio più semplice.
Un signore che conosco dove lavoro si è offerto di riferire la mia situazione a un responsabile, per chiedere l’accesso di sola lettura al registro UVM e alla posta elettronica dell'ufficio.
Vorrei almeno sentirmi un po’ più utile, anche perché credo sia ciò che desidera anche il mio collega, nei limiti di ciò che riesco a fare.
Secondo me dovrei avere questi accessi, oppure essere spostato in un ufficio più adatto, purché compatibile con le mie mansioni.
Inoltre, nel mio attuale ufficio non posso restare da solo: due colleghi si alternano per supportarmi, ma nelle ultime due giornate sono rimasto completamente da solo.
Come posso affrontare questi atteggiamenti?
Cosa ne pensate di questa situazione?
Sono stato assunto da alcuni mesi in un ufficio pubblico tramite la Legge 68/99, con il profilo di "operatore tecnico addetto all’immissione dei dati".
È il mio primo impiego e non svolgo le attività principali dell’ufficio in autonomia, ma mi occupo di varie mansioni di supporto, come l’identificazione e l’aggiornamento delle cartelle dei pazienti tramite scrittura del nominativo e applicazione dell’etichetta, l’archiviazione delle cartelle fisiche nei raccoglitori e negli scaffali, la fotocopiatura e la scansione dei documenti, l’accoglienza del pubblico e la spiegazione delle informazioni di base per orientarli nei servizi, oltre a piccole commissioni interne tra gli uffici della ASL.
Mi occupo anche di rispondere alle chiamate in entrata, ma in questo caso mi trovo spesso in difficoltà e passo la chiamata ai colleghi presenti nell'ufficio, tranne in alcune situazioni semplici.
Il problema principale riguarda il rapporto con un collega.
Fin dall’inizio ho percepito freddezza e mancanza di fiducia.
A volte mi chiama con un nome sbagliato, blocca le mie domande con un aspetta, aspetta e poi non mi risponde.
Quando siamo da soli e l’altra collega è in ferie, risponde al telefono dicendo che è da solo, come se io non fossi presente.
Non mi affida neanche compiti semplici e ho la sensazione di non essere considerato tanto utile.
Inoltre, mentre parla al telefono dell’ufficio, spesso si appoggia con il piede sulla base della mia sedia, mentre io sono seduto (anche se non sulla parte dove mi siedo).
Vorrei sapere il vostro parere: è un comportamento normale o può essere visto come invadente o poco rispettoso?
In un’occasione, mentre era al telefono, ha iniziato a muovere una penna nell’aria vicino al mio volto, poi l’ha avvicinata, quasi come a puntarla verso gli occhi.
Ho reagito allontanandogli la mano e lui ha risposto: fai il buono.
Ho trovato il gesto e la frase fuori luogo.
Io sono sempre stato educato ed evito il conflitto diretto.
Ieri ho parlato con due dirigenti medici spiegando che il lavoro per me è un pò difficile e che forse sarebbe meglio un trasferimento in un ufficio più semplice.
Un signore che conosco dove lavoro si è offerto di riferire la mia situazione a un responsabile, per chiedere l’accesso di sola lettura al registro UVM e alla posta elettronica dell'ufficio.
Vorrei almeno sentirmi un po’ più utile, anche perché credo sia ciò che desidera anche il mio collega, nei limiti di ciò che riesco a fare.
Secondo me dovrei avere questi accessi, oppure essere spostato in un ufficio più adatto, purché compatibile con le mie mansioni.
Inoltre, nel mio attuale ufficio non posso restare da solo: due colleghi si alternano per supportarmi, ma nelle ultime due giornate sono rimasto completamente da solo.
Come posso affrontare questi atteggiamenti?
Cosa ne pensate di questa situazione?
Buongiorno,
La situazione che descrive è delicata e merita attenzione. Comprendo il suo disagio e l’amarezza che si avverte tra le righe, soprattutto considerando che si tratta del suo primo impiego e che ha espresso il desiderio sincero di essere utile e rispettato nel contesto lavorativo.
Il comportamento del collega che riferisce, se corrisponde a quanto descritto, appare effettivamente poco rispettoso e, in certi momenti, anche invadente. Episodi come l’uso di un nome sbagliato ripetutamente, l’ignorare la sua presenza o il gesto con la penna vicino al volto non sono compatibili con un ambiente sereno e professionale. Anche la frase fai il buono può suonare paternalistica e poco rispettosa della sua dignità personale.
La Legge 68/99 tutela non solo l’inserimento lavorativo, ma anche la permanenza e l’integrazione in un ambiente rispettoso e adeguato alle competenze e alle caratteristiche individuali. È molto positivo che lei abbia già cercato di comunicare le sue difficoltà a figure dirigenziali e che ci sia stato qualcuno disponibile ad aiutarla a valorizzare il suo ruolo.
Se ritiene che la sua postazione non sia adeguata, è del tutto legittimo chiedere un trasferimento, purché compatibile con il suo profilo. Allo stesso tempo, chiedere strumenti di lavoro che le consentano maggiore autonomia (come l’accesso in sola lettura ai registri e alla posta) è un modo per dimostrare la sua volontà di contribuire e di crescere professionalmente.
Le suggerirei di continuare a muoversi come sta facendo, con lucidità, rispetto e fermezza. Il lavoro è anche un luogo di dignità, non di stress aggiuntivo o di esclusione. Continui a cercare un confronto con le figure di riferimento e non si colpevolizzi per le difficoltà: il suo desiderio di partecipare attivamente e di far bene è già un segnale forte del suo impegno.
Un caro saluto,
La situazione che descrive è delicata e merita attenzione. Comprendo il suo disagio e l’amarezza che si avverte tra le righe, soprattutto considerando che si tratta del suo primo impiego e che ha espresso il desiderio sincero di essere utile e rispettato nel contesto lavorativo.
Il comportamento del collega che riferisce, se corrisponde a quanto descritto, appare effettivamente poco rispettoso e, in certi momenti, anche invadente. Episodi come l’uso di un nome sbagliato ripetutamente, l’ignorare la sua presenza o il gesto con la penna vicino al volto non sono compatibili con un ambiente sereno e professionale. Anche la frase fai il buono può suonare paternalistica e poco rispettosa della sua dignità personale.
La Legge 68/99 tutela non solo l’inserimento lavorativo, ma anche la permanenza e l’integrazione in un ambiente rispettoso e adeguato alle competenze e alle caratteristiche individuali. È molto positivo che lei abbia già cercato di comunicare le sue difficoltà a figure dirigenziali e che ci sia stato qualcuno disponibile ad aiutarla a valorizzare il suo ruolo.
Se ritiene che la sua postazione non sia adeguata, è del tutto legittimo chiedere un trasferimento, purché compatibile con il suo profilo. Allo stesso tempo, chiedere strumenti di lavoro che le consentano maggiore autonomia (come l’accesso in sola lettura ai registri e alla posta) è un modo per dimostrare la sua volontà di contribuire e di crescere professionalmente.
Le suggerirei di continuare a muoversi come sta facendo, con lucidità, rispetto e fermezza. Il lavoro è anche un luogo di dignità, non di stress aggiuntivo o di esclusione. Continui a cercare un confronto con le figure di riferimento e non si colpevolizzi per le difficoltà: il suo desiderio di partecipare attivamente e di far bene è già un segnale forte del suo impegno.
Un caro saluto,
Dott.ssa Elisabetta Carbone
Psicologa sistemico relazionale | Sessuologa clinica |
psicologa@elisabettacarbone.it | 351.777.9483
Utente
Dr.ssa Carbone la ringrazio per la sua risposta. Vorrei spiegarle meglio la situazione che sto vivendo. Quando sono entrato per la prima volta nell'ufficio e il mio collega mi ha visto, mi ha detto "Ti possiamo già coinvolgere", lasciandomi intendere una certa apertura e disponibilità. Lo stesso giorno mi ha anche aggiunto su Facebook, cosa che inizialmente mi aveva fatto pensare a un atteggiamento cordiale e amichevole. Tuttavia, dopo alcuni giorni, forse ha notato che ho delle difficoltà a parlare con il pubblico e a comunicare in modo fluido, e da allora ha iniziato a trattarmi in modo diverso. Ad esempio, a volte mi chiama con un nome sbagliato e, quando glielo faccio notare, risponde dicendo che sta scherzando. Ma io non sempre riesco a capire se si tratti davvero di una battuta o meno. Il mio collega ha tre lauree, mentre io ho solo un attestato di credito formativo al posto del diploma di scuola superiore, a causa di problemi di apprendimento. Questa cosa gliel'ho detta fin dall'inizio, quando mi ha visto per la prima volta. Nonostante questo, cerco ogni giorno di dare il massimo e svolgere con impegno le mansioni che mi vengono affidate, nei limiti delle mie capacità. In alcune situazioni il collega mi coinvolge, come fa anche l’altra collega con cui mi trovo bene, ma ho l’impressione che si aspetti da me qualcosa in più. Forse desidera che io sia più autonomo, ma non sempre riesco a capire come comportarmi in pubblico. Vorrei capire come posso affrontare questa situazione, come gestire il rapporto con questo collega in modo positivo, e soprattutto se, secondo lei, il suo comportamento può essere legato a delle aspettative nei miei confronti o ad altro. Non sto cercando di lamentarmi, ma solo di trovare un modo per sentirmi più utile, crescere professionalmente e integrarmi meglio. Desidero trovare un equilibrio che mi permetta di lavorare con più serenità, senza rinunciare al mio valore e al mio impegno. Aggiungo che il mio collega ha otto anni più di me, e forse anche la differenza d’età influisce nel modo in cui si relaziona con me. Inoltre, vorrei raccontarle un episodio accaduto qualche settimana fa, prima di uscire dal lavoro. Era terminato il mio turno e non dovevo rientrare nel pomeriggio. Poco prima di andare via, il collega è arrivato (quella mattina non era venuto perché aveva altri impegni) e io mi trovavo ancora in ufficio perché dovevo recuperare alcuni minuti di assenza dei giorni precedenti. Mi ha detto che aveva dimenticato la cesta del pranzo nella sua macchina. Mi ha chiesto se poteva avere il mio numero di telefono per chiamarmi, ma gli ho risposto che non porto il cellulare, ed era vero. Poi mi ha fatto vedere una foto della sua macchina (mi sembra una Punto), mi ha dato le chiavi con il pulsante e mi ha indicato dove l’aveva parcheggiata. Gli ho detto che ci sarei andato quando me ne sarei andato. Così, uscendo, sono andato a cercare l’auto, l’ho trovata, ho aperto con le sue chiavi e ho controllato bene sia davanti che dietro, ma la cesta non c’era. Tornato in ufficio, gli ho riconsegnato le chiavi mentre lui era al telefono. Gli ho detto che la cesta non lo trovata, e lui mi ha fatto solo un cenno con la mano, come per dire "ok". Poi sono uscito dal lavoro, perchè il mio turno era finito. Aggiungo che sono invalido civile all’80% e, prima di essere assunto, percepivo la pensione di invalidità civile e l’assegno unico. Quest’ultimo lo sto ancora ricevendo. Secondo lei, gli episodi che le ho raccontato fanno pensare che il mio collega tenda a ignorarmi o a non considerarmi pienamente? Cosa ne pensa? Se mi venisse concesso l’accesso al registro UVM, anche solo in modalità di sola lettura, e alla posta elettronica dell’ufficio, potrei svolgere le attività che riesco a gestire in autonomia. Secondo lei, questo potrebbe migliorare il rapporto con il collega?
Questo consulto ha ricevuto 2 risposte e 578 visite dal 02/08/2025.
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