Meglio chiudere con una famiglia disfunzionale ?
Salve a tutti, sono qui perché ormai da anni vivo in una famiglia disfunzionale, con padre presente economicamente ma sempre emotivamente instabile, una madre che pensa sempre hai suoi bisogni e mai a quelli dei figli come del resto anche mio padre, vi lascio immaginare senza scendere troppo nel dettaglio.
Oggi sono qui perché vorrei chiedervi un consiglio, sono un ragazzo di 22 anni che come ogni ragazzo della mia età vorrebbe l’amore e la comprensione dei propri genitori, cosa che sento solo se faccio quello che dicono e se non li contraddico, ormai sono anni che subisco i loro abusi emotivi e mancanze di rispetto e sono stanco, vorrei cercare la mia indipendenza sia economica che emotiva.
però da una parte mi sento in colpa, perché ho anche 4 fratelli 3 femmine e un altro mio fratello che purtroppo all’età di 7 anni ora ne ha 29 ha avuto un incidente domestico causandogli una lesione cerebrale permanente portandolo così ad essere disabile e con una emiparesi al braccio.
Ahimè so che già solo scrivendo determinate cose mi rendo già conto da solo la difficoltà di certe dinamiche in una famiglia e non voglio giudicare i miei genitori insegnandogli cosa sia la cosa più giusta o sbagliata ma per lo meno cosa una persona possa provare e invece di essere giudicante essere accogliente e capire i bisogni dei propri figli.
Tutto queste dinamiche tralasciando il lato familiare e spostando l’attenzione sulla mia persona, ha causato molti problemi di fiducia verso me e appunto di autostima.
Portando problemi nella relazioni quotidiane, problemi di dipendenza affettiva nella relazioni amorose e così via dicendo.
Vorrei domandarvi a voi se sia meglio che io me
Ne vada e chiuda tutti i ponti o rimanere e cercare di sistemare le cose.
Anche se sono più propenso ad andarmene e affrontare le cose a distanza solo così riuscirò a trovare la mia individualità e ciò che mi piace senza essere giudicato e maltrattato.
Cordiali saluti.
Oggi sono qui perché vorrei chiedervi un consiglio, sono un ragazzo di 22 anni che come ogni ragazzo della mia età vorrebbe l’amore e la comprensione dei propri genitori, cosa che sento solo se faccio quello che dicono e se non li contraddico, ormai sono anni che subisco i loro abusi emotivi e mancanze di rispetto e sono stanco, vorrei cercare la mia indipendenza sia economica che emotiva.
però da una parte mi sento in colpa, perché ho anche 4 fratelli 3 femmine e un altro mio fratello che purtroppo all’età di 7 anni ora ne ha 29 ha avuto un incidente domestico causandogli una lesione cerebrale permanente portandolo così ad essere disabile e con una emiparesi al braccio.
Ahimè so che già solo scrivendo determinate cose mi rendo già conto da solo la difficoltà di certe dinamiche in una famiglia e non voglio giudicare i miei genitori insegnandogli cosa sia la cosa più giusta o sbagliata ma per lo meno cosa una persona possa provare e invece di essere giudicante essere accogliente e capire i bisogni dei propri figli.
Tutto queste dinamiche tralasciando il lato familiare e spostando l’attenzione sulla mia persona, ha causato molti problemi di fiducia verso me e appunto di autostima.
Portando problemi nella relazioni quotidiane, problemi di dipendenza affettiva nella relazioni amorose e così via dicendo.
Vorrei domandarvi a voi se sia meglio che io me
Ne vada e chiuda tutti i ponti o rimanere e cercare di sistemare le cose.
Anche se sono più propenso ad andarmene e affrontare le cose a distanza solo così riuscirò a trovare la mia individualità e ciò che mi piace senza essere giudicato e maltrattato.
Cordiali saluti.
Buongiorno,
la sua riflessione è lucida, sentita e mostra una consapevolezza profonda del proprio vissuto e delle dinamiche familiari che sta affrontando. Non è affatto semplice crescere in un contesto in cui l’amore e la comprensione sembrano essere condizionati, dove per essere accettati è necessario rinunciare alla propria autenticità.
Il senso di colpa che prova nel desiderare di prendere le distanze è umano, specie quando nella famiglia ci sono responsabilità complesse come la presenza di un fratello con disabilità e il carico emotivo che ne consegue. Tuttavia, voler uscire da una relazione familiare disfunzionale non significa abbandonare o tradire, ma prendersi cura di sé e cercare di costruire una vita in cui poter respirare, crescere e ritrovare il proprio valore. La colpa spesso è solo l’altra faccia del bisogno di libertà.
Lei ha già intuito che la distanza fisica ma soprattutto emotiva, può essere l’unico spazio possibile per iniziare a conoscersi davvero, fuori dal giudizio, dalla paura, dalla richiesta implicita di dover funzionare solo se conforme alle aspettative altrui. Non è detto che i rapporti debbano essere chiusi per sempre, ma forse messi in pausa, ridefiniti, protetti. Lo si fa non per egoismo, ma per rispetto verso se stessi.
L’autostima, la fiducia in sé e la capacità di costruire relazioni sane non si conquistano restando nel luogo in cui sono state messe in discussione. Il suo desiderio di cambiare rotta è già un primo, importantissimo passo. Le suggerisco di iniziare un percorso individuale che possa accompagnarla nel dare forma concreta a questa scelta, aiutandola a distinguere tra ciò che le appartiene e ciò che invece può finalmente essere lasciato andare.
Resto a disposizione,
la sua riflessione è lucida, sentita e mostra una consapevolezza profonda del proprio vissuto e delle dinamiche familiari che sta affrontando. Non è affatto semplice crescere in un contesto in cui l’amore e la comprensione sembrano essere condizionati, dove per essere accettati è necessario rinunciare alla propria autenticità.
Il senso di colpa che prova nel desiderare di prendere le distanze è umano, specie quando nella famiglia ci sono responsabilità complesse come la presenza di un fratello con disabilità e il carico emotivo che ne consegue. Tuttavia, voler uscire da una relazione familiare disfunzionale non significa abbandonare o tradire, ma prendersi cura di sé e cercare di costruire una vita in cui poter respirare, crescere e ritrovare il proprio valore. La colpa spesso è solo l’altra faccia del bisogno di libertà.
Lei ha già intuito che la distanza fisica ma soprattutto emotiva, può essere l’unico spazio possibile per iniziare a conoscersi davvero, fuori dal giudizio, dalla paura, dalla richiesta implicita di dover funzionare solo se conforme alle aspettative altrui. Non è detto che i rapporti debbano essere chiusi per sempre, ma forse messi in pausa, ridefiniti, protetti. Lo si fa non per egoismo, ma per rispetto verso se stessi.
L’autostima, la fiducia in sé e la capacità di costruire relazioni sane non si conquistano restando nel luogo in cui sono state messe in discussione. Il suo desiderio di cambiare rotta è già un primo, importantissimo passo. Le suggerisco di iniziare un percorso individuale che possa accompagnarla nel dare forma concreta a questa scelta, aiutandola a distinguere tra ciò che le appartiene e ciò che invece può finalmente essere lasciato andare.
Resto a disposizione,
Dott.ssa Elisabetta Carbone
Psicologa sistemico relazionale | Sessuologa clinica |
psicologa@elisabettacarbone.it | 351.777.9483
Utente
Buongiorno dottoressa,grazie intanto per la risposta data da lei lo apprezzo molto.
Come da lei risposto ha colto benissimo il significato di quello che volevo dirle, purtroppo vivere in un contesto del genere oltre che non farti crescere come individuo ti fa vivere in un loop di eventi che ti portano a credere di vivere in un incubo costante, ansia preoccupazioni non vanno bene. La possibilità di andare via e crescere sia come persona che come individuo è molto più di quella di restare ma guardando l’altra faccia della medaglia anche lei sa bene che vivere da solo o spostandosi in un altro alloggio richiede coraggio e anche una posizione economica stabile e tante altre cose, sicuramente farò quello che è giusto per me e per la mia salute mentale, che è la cosa più importante che possa esserci e liberarmi dal senso di colpa di andarmene e sentirmi come se abbandonassi qualcosa di importante e prezioso cosa che al momento non è più o magari non lo è mai stato così infondo.
Anche perché credo che tutto ciò uccida la mia creatività e credo anche come ogni individuo che noi siamo vincenti quando seguiamo le nostre inclinazioni e così non lo è mai stato.
Aspetto sue notizie grazie ancora per la risposta.
Come da lei risposto ha colto benissimo il significato di quello che volevo dirle, purtroppo vivere in un contesto del genere oltre che non farti crescere come individuo ti fa vivere in un loop di eventi che ti portano a credere di vivere in un incubo costante, ansia preoccupazioni non vanno bene. La possibilità di andare via e crescere sia come persona che come individuo è molto più di quella di restare ma guardando l’altra faccia della medaglia anche lei sa bene che vivere da solo o spostandosi in un altro alloggio richiede coraggio e anche una posizione economica stabile e tante altre cose, sicuramente farò quello che è giusto per me e per la mia salute mentale, che è la cosa più importante che possa esserci e liberarmi dal senso di colpa di andarmene e sentirmi come se abbandonassi qualcosa di importante e prezioso cosa che al momento non è più o magari non lo è mai stato così infondo.
Anche perché credo che tutto ciò uccida la mia creatività e credo anche come ogni individuo che noi siamo vincenti quando seguiamo le nostre inclinazioni e così non lo è mai stato.
Aspetto sue notizie grazie ancora per la risposta.
Grazie a lei per aver scritto con una riflessione così profonda e sentita.
Le sue parole restituiscono molto bene il senso di prigionia emotiva che si prova quando si vive in un contesto che soffoca invece di nutrire.
Come giustamente ha scritto, andarsene non è mai solo una scelta pratica, logistica o economica. È una separazione simbolica, profonda, che spesso implica il doversi autorizzare a mettere al primo posto il proprio benessere, anche se questo significa deludere le aspettative altrui o spezzare dinamiche consolidate. Ma preservare la propria salute e dare spazio alla propria creatività non è egoismo, è responsabilità verso se stessi e verso la propria vita.
Quel senso di colpa di cui parla, e che spesso si attiva nei processi di separazione, può essere compreso meglio proprio all’interno di un percorso psicologico, per imparare a distinguere i legami d’amore da quelli fondati sul bisogno o sulla colpa e per iniziare a costruire una nuova narrazione di sé, in cui non ci si senta sbagliati per desiderare di essere felici.
Mi auguro che possa ascoltarsi fino in fondo e fare di questo momento così difficile un passaggio evolutivo.
Resto a disposizione per qualsiasi altra riflessione.
Un caro saluto,
Le sue parole restituiscono molto bene il senso di prigionia emotiva che si prova quando si vive in un contesto che soffoca invece di nutrire.
Come giustamente ha scritto, andarsene non è mai solo una scelta pratica, logistica o economica. È una separazione simbolica, profonda, che spesso implica il doversi autorizzare a mettere al primo posto il proprio benessere, anche se questo significa deludere le aspettative altrui o spezzare dinamiche consolidate. Ma preservare la propria salute e dare spazio alla propria creatività non è egoismo, è responsabilità verso se stessi e verso la propria vita.
Quel senso di colpa di cui parla, e che spesso si attiva nei processi di separazione, può essere compreso meglio proprio all’interno di un percorso psicologico, per imparare a distinguere i legami d’amore da quelli fondati sul bisogno o sulla colpa e per iniziare a costruire una nuova narrazione di sé, in cui non ci si senta sbagliati per desiderare di essere felici.
Mi auguro che possa ascoltarsi fino in fondo e fare di questo momento così difficile un passaggio evolutivo.
Resto a disposizione per qualsiasi altra riflessione.
Un caro saluto,
Dott.ssa Elisabetta Carbone
Psicologa sistemico relazionale | Sessuologa clinica |
psicologa@elisabettacarbone.it | 351.777.9483
Utente
Buonasera dottoressa ho letto ora la sua risposta.
Sono d’accordo con quello che lei ha detto, è un processo doloroso ma come una caria da togliere, necessaria.
Volevo anche aggiornarla sulla mia situazione familiare attuale un po’ più nello specifico.
Dal 24/9/24 mio padre è stato arrestato per una denuncia esposta da mia madre per maltrattamenti familiari nel dicembre 2017 che è andata per le lunghe fino a quest’ultima cioè la sua carcerazione. Ormai è un anno che è quasi detenuto, all’inizio pensavo che questa dinamica gli potessi far cambiare idea su cosa sia veramente l’amore che si provi per un figlio o la mancanza stessa. Ahimè purtroppo solo all’inizio dava cenni di pentimento poi dopo qualche mese di adattamento a questa situazione anche a distanza è rimasta la solita persona arrogante e poco empatica di sempre, mostrando malumore o malessere se io o mia sorella più grande ci dimentichiamo qualcosa che lui ci aveva detto di portargli alla visita successiva. Ogni colloquio per me è come se fosse una coltellata, da lui sento solo odio nei confronti di mia madre e poca auto consapevolezza del motivo per cui è carcerato. Le parole carine genitoriali che mi dice ogni volta, non so sarà il mio sesto senso ma sento come se fossero di circostanza e non di amore paterno verso un figlio, come fosse per dire va bene grazie per quello che fai .
Mia madre al detto di ciò invece di fregarsene di quello che può dire o meno mio padre quando glie lo racconto si infuria insultandolo a sua volta invece magari di consolarmi e chiedermi come mi sento, dato che tutto il contesto del genere non è facile è pur sempre un carcere.
Al netto di ciò sono arrivato alla conclusione che per poter salvarmi anche se al costo di remare contro tutti io debba comunque accettarlo e trovare il mio posto nel mondo.
E ritrovare me stesso e persone anche situazioni che rivalutino il mio vivere e la mia felicità.
Grazie ancora dottoressa per il suo tempo a presto.
Sono d’accordo con quello che lei ha detto, è un processo doloroso ma come una caria da togliere, necessaria.
Volevo anche aggiornarla sulla mia situazione familiare attuale un po’ più nello specifico.
Dal 24/9/24 mio padre è stato arrestato per una denuncia esposta da mia madre per maltrattamenti familiari nel dicembre 2017 che è andata per le lunghe fino a quest’ultima cioè la sua carcerazione. Ormai è un anno che è quasi detenuto, all’inizio pensavo che questa dinamica gli potessi far cambiare idea su cosa sia veramente l’amore che si provi per un figlio o la mancanza stessa. Ahimè purtroppo solo all’inizio dava cenni di pentimento poi dopo qualche mese di adattamento a questa situazione anche a distanza è rimasta la solita persona arrogante e poco empatica di sempre, mostrando malumore o malessere se io o mia sorella più grande ci dimentichiamo qualcosa che lui ci aveva detto di portargli alla visita successiva. Ogni colloquio per me è come se fosse una coltellata, da lui sento solo odio nei confronti di mia madre e poca auto consapevolezza del motivo per cui è carcerato. Le parole carine genitoriali che mi dice ogni volta, non so sarà il mio sesto senso ma sento come se fossero di circostanza e non di amore paterno verso un figlio, come fosse per dire va bene grazie per quello che fai .
Mia madre al detto di ciò invece di fregarsene di quello che può dire o meno mio padre quando glie lo racconto si infuria insultandolo a sua volta invece magari di consolarmi e chiedermi come mi sento, dato che tutto il contesto del genere non è facile è pur sempre un carcere.
Al netto di ciò sono arrivato alla conclusione che per poter salvarmi anche se al costo di remare contro tutti io debba comunque accettarlo e trovare il mio posto nel mondo.
E ritrovare me stesso e persone anche situazioni che rivalutino il mio vivere e la mia felicità.
Grazie ancora dottoressa per il suo tempo a presto.
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 604 visite dal 04/08/2025.
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