La mia psicologa si annoia con me? Quando cambiare terapia?
Gentili Dottori,
Da circa 4 anni sono in cura con una psicologa cognitivo comportamentale.
Il problema è che ultimamente ho l'impressione che si senta annoiata e infastidita dal fatto che il problema per cui mi sono rivolta a lei non si risolve.
Parliamo praticamente in tutte le sedute della stessa cosa e ho notato frasi che mi fanno sentire un po' rimproverata della situazione come "posso solo ripeterle che" o " se smettesse di comportarsi a questo modo... ".
Inoltre ho l'impressione che si volti in maniera un po' giudicante rimarcando che io temo il conflitto e talvolta sbadigliando mentre racconto.
Ho provato a dirle che mi sentivo a disagio, ma mi ha fatto notare che mi esprimeva dei dati di fatto.
Vorrei sapere se si tratta di dinamiche normali in una relazione terapeutica o se dovrei iniziare a valutare di interromperla.
Infine ho l'impressione che lei abbia una visione un po' per compartimenti stagni di me e come se avesse una visione un po' parziale della mia persona, più che altro tesa a confermare le sue teorie su quello che è il mio problema.
Grazie
Da circa 4 anni sono in cura con una psicologa cognitivo comportamentale.
Il problema è che ultimamente ho l'impressione che si senta annoiata e infastidita dal fatto che il problema per cui mi sono rivolta a lei non si risolve.
Parliamo praticamente in tutte le sedute della stessa cosa e ho notato frasi che mi fanno sentire un po' rimproverata della situazione come "posso solo ripeterle che" o " se smettesse di comportarsi a questo modo... ".
Inoltre ho l'impressione che si volti in maniera un po' giudicante rimarcando che io temo il conflitto e talvolta sbadigliando mentre racconto.
Ho provato a dirle che mi sentivo a disagio, ma mi ha fatto notare che mi esprimeva dei dati di fatto.
Vorrei sapere se si tratta di dinamiche normali in una relazione terapeutica o se dovrei iniziare a valutare di interromperla.
Infine ho l'impressione che lei abbia una visione un po' per compartimenti stagni di me e come se avesse una visione un po' parziale della mia persona, più che altro tesa a confermare le sue teorie su quello che è il mio problema.
Grazie
Gentile Signora,
nel percorso terapeutico è importante che ci sia una buona relazione tra paziente e terapeuta, basata sulla fiducia e un clima aperto e non giudicante. Questo però non significa che gli interventi del* terapeuta debbano essere "comodi" per il paziente, o che non gli si debba far notare quando resta bloccato in uno stallo di immobilità - il che (in base alle sensibilità personali) può far sentire un po' "rimproverata".
D'altra parte, se la sua sensazione è di non riuscire più a far fruttare questo percorso e, avendone parlato con la terapeuta, non avete fatto degli aggiustamenti che le permettano di rimettersi in movimento, può essere sensato pensare di fare un altro pezzo di strada con una guida diversa.
nel percorso terapeutico è importante che ci sia una buona relazione tra paziente e terapeuta, basata sulla fiducia e un clima aperto e non giudicante. Questo però non significa che gli interventi del* terapeuta debbano essere "comodi" per il paziente, o che non gli si debba far notare quando resta bloccato in uno stallo di immobilità - il che (in base alle sensibilità personali) può far sentire un po' "rimproverata".
D'altra parte, se la sua sensazione è di non riuscire più a far fruttare questo percorso e, avendone parlato con la terapeuta, non avete fatto degli aggiustamenti che le permettano di rimettersi in movimento, può essere sensato pensare di fare un altro pezzo di strada con una guida diversa.
Dr.ssa Paola Cattelan
psicoterapeuta Torino
pg.cattelan@hotmail.it
Gentile utente,
il primo elemento per la riuscita di un percorso terapeutico è una efficace relazione con il terapeuta.
Personalmente, pur non conoscendo i motivi che l'hanno portata ad intraprendere il percorso, anche in virtù dell'orientamento della collega, 4 anni mi sembrano un tempo eccessivo per non ottenere risultati apprezzabili.
Sarebbe utile che lei si interrogasse su suoi eventuali meccanismi di difesa, se ha queste percezioni perchè alza delle barriere/resistenze a ciò che la terapeuta le restituisce.
Oppure se è proprio la relazione terapeutica in discussione.
Inoltre, frasi che ci riferisce quali " se smettesse di comportarsi a questo modo... " non dovrebbero far parte del linguaggio di un terapeuta e comprendo possano metterla a disagio, così come gli sbadigli (possono capitare per stanchezza, ma non per noia, e ci si scusa con il paziente).
Le suggerisco in primis di fare un punto della situazione con la sua terapeuta, esprimendole in modo chiaro ciò che ci ha riportato in questa sua richiesta, e le sue perplessità.
Dopodichè, o è il terapeuta stesso, come da codice deontologico, che riconosce di non poterle essere d'aiuto e la rinvia ad altro professionista o fa il passo lei e cerca un nuovo terapeuta che le dia fiducia, che la ascolti con empatia e che le prospetti un piano di intervento, tenuto debito conto che gli elementi che emergono durante un percorso possono richiederne un riorientamento ma sempre comunicandolo al paziente con chiarezza.
Spero di esserle stata utile.
Ci tenga aggiornati sul prosieguo.
Cordialità
il primo elemento per la riuscita di un percorso terapeutico è una efficace relazione con il terapeuta.
Personalmente, pur non conoscendo i motivi che l'hanno portata ad intraprendere il percorso, anche in virtù dell'orientamento della collega, 4 anni mi sembrano un tempo eccessivo per non ottenere risultati apprezzabili.
Sarebbe utile che lei si interrogasse su suoi eventuali meccanismi di difesa, se ha queste percezioni perchè alza delle barriere/resistenze a ciò che la terapeuta le restituisce.
Oppure se è proprio la relazione terapeutica in discussione.
Inoltre, frasi che ci riferisce quali " se smettesse di comportarsi a questo modo... " non dovrebbero far parte del linguaggio di un terapeuta e comprendo possano metterla a disagio, così come gli sbadigli (possono capitare per stanchezza, ma non per noia, e ci si scusa con il paziente).
Le suggerisco in primis di fare un punto della situazione con la sua terapeuta, esprimendole in modo chiaro ciò che ci ha riportato in questa sua richiesta, e le sue perplessità.
Dopodichè, o è il terapeuta stesso, come da codice deontologico, che riconosce di non poterle essere d'aiuto e la rinvia ad altro professionista o fa il passo lei e cerca un nuovo terapeuta che le dia fiducia, che la ascolti con empatia e che le prospetti un piano di intervento, tenuto debito conto che gli elementi che emergono durante un percorso possono richiederne un riorientamento ma sempre comunicandolo al paziente con chiarezza.
Spero di esserle stata utile.
Ci tenga aggiornati sul prosieguo.
Cordialità
Utente
Gentili Dottoresse,
Ringrazio per le risposte.
Ho iniziato la terapia perché mi trovavo bloccata in un incastro relazionale molto doloroso con una persona, che secondo quanto mi ha indicato la mia terapeuta, non è capace di relazioni paritarie, a fronte di una mia intensa paura dell'abbandono e del rifiuto, che mi impediscono di distaccarmi. All'inizio la terapeuta mi ha detto che avevo atteggiamenti nevrotici e che il mio non voler accettare che questa persona non avesse sentimenti di amore per me, nonostante me lo avesse detto chiaramente, sfiorava la psicosi.
Nel corso di questi quattro anni, però ci sono stati dei miglioramenti: i miei rapporti con questa persona si sono modificati in un senso di maggior autonomia per me e sicuramente oltre a tante cose negative (come la perdita di una persona cara), ci sono state anche esperienze nuove e positive (come l'inizio di un'attività lavorativa in proprio).
Per converso l'ansia rimane una forte costante, così come il forte senso di inadeguatezza che talvolta mi coglie e il fatto che dopo una sparizione improvvisa, l'uomo con cui ho questa relazione difficile è ritornato, ritrovandomi di fatto disponibile, anche se non come prima
Nelle ultime sedute però, ho avuto l'impressione che la terapeuta mi consideri in modo paternalistico, mi tratti (e consideri come una bambina) e non mi restituisca una visione dignitosa di me, quanto più una visione accondiscendente e debole.
Può essere che siano meccanismi di difesa, ma come distinguere il percepito dal reale?
A volte ho l'impressione che mi vengano fatte domande alle quali devo dare la risposta coerente con la diagnosi e che ogni altra risposta sia sbagliata, cioè quella di una paziente che non ha capito nulla di sè.
Ringrazio per le risposte.
Ho iniziato la terapia perché mi trovavo bloccata in un incastro relazionale molto doloroso con una persona, che secondo quanto mi ha indicato la mia terapeuta, non è capace di relazioni paritarie, a fronte di una mia intensa paura dell'abbandono e del rifiuto, che mi impediscono di distaccarmi. All'inizio la terapeuta mi ha detto che avevo atteggiamenti nevrotici e che il mio non voler accettare che questa persona non avesse sentimenti di amore per me, nonostante me lo avesse detto chiaramente, sfiorava la psicosi.
Nel corso di questi quattro anni, però ci sono stati dei miglioramenti: i miei rapporti con questa persona si sono modificati in un senso di maggior autonomia per me e sicuramente oltre a tante cose negative (come la perdita di una persona cara), ci sono state anche esperienze nuove e positive (come l'inizio di un'attività lavorativa in proprio).
Per converso l'ansia rimane una forte costante, così come il forte senso di inadeguatezza che talvolta mi coglie e il fatto che dopo una sparizione improvvisa, l'uomo con cui ho questa relazione difficile è ritornato, ritrovandomi di fatto disponibile, anche se non come prima
Nelle ultime sedute però, ho avuto l'impressione che la terapeuta mi consideri in modo paternalistico, mi tratti (e consideri come una bambina) e non mi restituisca una visione dignitosa di me, quanto più una visione accondiscendente e debole.
Può essere che siano meccanismi di difesa, ma come distinguere il percepito dal reale?
A volte ho l'impressione che mi vengano fatte domande alle quali devo dare la risposta coerente con la diagnosi e che ogni altra risposta sia sbagliata, cioè quella di una paziente che non ha capito nulla di sè.
Gentile utente,
grazie per le sue integrazioni, utili a darci un quadro più esaustivo. Personalmente le etichette non sono affini al mio modo di relazionarmi: nevrosi, psicosi...anche perchè sono termini che un professionista può padroneggiare ma l'utenza può interpretare come una gabbia, una sentenza, o attribuirgli un peso maggiore di quanto è nella realtà.
Bene invece quanto dice riguardo l'autonomia, da codice deontologico è ciò che la nostra professione deve promuovere nel rapporto con l'utenza. Bene che abbia affrontato eventi negativi, e positivi. Si chieda, come sta affrontando l'ansia? La terapeuta sta adoperando delle tecniche specifiche per aiutarmi a gestirla? Funzionano? Attenuano i sintomi? Stiamo lavorando a fondo per capirne l'origine?
Per il senso di inadeguatezza, state lavorando sui suoi livelli di autostima? C'è un lavoro molto profondo da fare anche riguardo la dipendenza affettiva, la paura dell'abbandono, hanno radici molto profonde che vanno indagate in un percorso.
Se la relazione con il terapeuta si è incrinata, se non si sente più a suo agio, se non siete più allineate e non vi è più fiducia, credo che la soluzione sia cercare un'alternativa, ma non prima di un confronto con l'attuale terapeuta esponendo in modo chiaro come ci si sente e in riferimento a che cosa.
Provi a parlare con la sua terapeuta e poi ascolti se stessa e agisca di conseguenza secondo ciò che la fa sentire meglio, cercando di fare chiarezza dentro di lei se ha ancora o meno fiducia nella persona che ha di fronte e se ritiene possa continuare ad aiutarla, oppure se per qualche ragione ciò non è più possibile, ciò implica intraprendere una nuova terapia. Ci sarà uno sforzo iniziale nel dover ricominciare da capo, ma può essere una risorsa avere un altro punto di vista, o incontrare qualcuno che, in un dato momento della nostra vita, sentiamo empaticamente più in connessione.
Cordialità e le auguro il meglio.
grazie per le sue integrazioni, utili a darci un quadro più esaustivo. Personalmente le etichette non sono affini al mio modo di relazionarmi: nevrosi, psicosi...anche perchè sono termini che un professionista può padroneggiare ma l'utenza può interpretare come una gabbia, una sentenza, o attribuirgli un peso maggiore di quanto è nella realtà.
Bene invece quanto dice riguardo l'autonomia, da codice deontologico è ciò che la nostra professione deve promuovere nel rapporto con l'utenza. Bene che abbia affrontato eventi negativi, e positivi. Si chieda, come sta affrontando l'ansia? La terapeuta sta adoperando delle tecniche specifiche per aiutarmi a gestirla? Funzionano? Attenuano i sintomi? Stiamo lavorando a fondo per capirne l'origine?
Per il senso di inadeguatezza, state lavorando sui suoi livelli di autostima? C'è un lavoro molto profondo da fare anche riguardo la dipendenza affettiva, la paura dell'abbandono, hanno radici molto profonde che vanno indagate in un percorso.
Se la relazione con il terapeuta si è incrinata, se non si sente più a suo agio, se non siete più allineate e non vi è più fiducia, credo che la soluzione sia cercare un'alternativa, ma non prima di un confronto con l'attuale terapeuta esponendo in modo chiaro come ci si sente e in riferimento a che cosa.
Provi a parlare con la sua terapeuta e poi ascolti se stessa e agisca di conseguenza secondo ciò che la fa sentire meglio, cercando di fare chiarezza dentro di lei se ha ancora o meno fiducia nella persona che ha di fronte e se ritiene possa continuare ad aiutarla, oppure se per qualche ragione ciò non è più possibile, ciò implica intraprendere una nuova terapia. Ci sarà uno sforzo iniziale nel dover ricominciare da capo, ma può essere una risorsa avere un altro punto di vista, o incontrare qualcuno che, in un dato momento della nostra vita, sentiamo empaticamente più in connessione.
Cordialità e le auguro il meglio.
Utente
Grazie per i preziosi consigli Dottoressa.
Proverò a parlare con la mia terapeuta in modo più chiaro e più esteso di questi miei dubbi e poi proverò a capire come mi sento al riguardo e se sento ancora fiducia nei suoi confronti.
Proverò a parlare con la mia terapeuta in modo più chiaro e più esteso di questi miei dubbi e poi proverò a capire come mi sento al riguardo e se sento ancora fiducia nei suoi confronti.
Questo consulto ha ricevuto 5 risposte e 404 visite dal 23/09/2025.
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