In mezzo tra la mia ansia e il mio fidanzato

Gentili dottori,
Prima di arrivare al punto principale vorrei introdurvi a quella che è la mia situazione attuale per farmi capire al meglio.
Ho 24 anni e 4 anni fa iniziai a soffrire di ansia, attacchi di panico che poi sono riuscita a superare nel giro di pochi mesi andando in terapia da una piscoterapeuta. Dopo circa un anno conosco quello che è il mio attuale ragazzo. Iniziamo quindi questa storia a distanza in cui ci vediamo una volta ogni 3 settimane. Una relazione molto differente rispetto a quella avuta in passato. Lui si è sempre presentato come poco empatico, un po’ sulle sue e che difficilmente da attenzioni (Non solo nei miei confronti ma con tutti, il che è l’unica cosa che mi fa accettare comunque a malincuore questo suo lato).
Passa un anno che tra alti e bassi va tutto relativamente normale, nel quale nel frattempo litigo pesantemente con la mia unica amica che si era rivelata una stronza. In sostanza rimango sola.
Arriviamo quindi a giugno scorso quando mi ricominciano a tornare attacchi di panico e ansia che poi da poco sono riuscita a classificare come emetofobia.
Sperando di superarla in poco tempo, ritorno dalla mia psicoterapeuta dalla quale sono tutt’ora in cura.
Questa fobia mi ha inziato a limitare tantissimo. Già vivevo una vita poco stimolante per via che ero rimasta senza alcun amico e ora anche le cose basiche come andare in università, prendere un treno o fare palestra sono diventare impossibili.
In tutto questo, come credo sia normale, ho mille crolli in cui penso di non uscirne mai e di essere condannata a una vita fondamentalmente di merda perché ho paura e evito di fare tutto.
Le poche volte in cui mi sforzo a stare bene è quando sto con il mio ragazzo per evitare di appesantirlo.
Ecco, in questi momenti bui, tra l’altro vissuti sempre quando siamo distanti, io non lo sento MAI veramente comprensivo e vicino a me.
Ho sempre fatto fatica ad aprirmi anche con le persone più strette e di conseguenza quando gli dico che mi sento scoraggiata e soffocata da questo mio problema lui non mi considera per niente e cambia discorso facendo battute fuori luogo quando in realtà io vorrei solo avere almeno qualcuno con cui parlare al di fuori della psicoterapeuta.
Anche le volte che mi prende la paura quando siamo insieme mi sembra sempre che ne sia scocciato.
Gliel’ho gia fatto notare piu volte ma mi ha sempre rassicurata dicendomi che non è cosi. Ma i fatti dimostrano altro.
Io so che è difficile starmi vicina e che sicuramente lui non ha la bacchetta magica da farmi passare tutto. Ma credo che sia il minimo aspettarsi un po di conforto dal partner.
Cosa dovrei fare?
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 183
Intanto, gentile utente, credo sia evidente che un partner lo scegliamo perché ci fa stare bene. I primi mesi servono a garantirci proprio questo: dopo che ad avvicinarci è stata la scoperta di una buona armonia seguono i piccoli adattamenti che nascono dal desiderio di tutti e due di migliorare e mantenere la relazione.
Se invece va male da subito e il partner in nessun modo l'ascolta, non cerca di venirle incontro, non la fa sentire amata e protetta, al punto che lei, come dice, è costretta ad accettare "a malincuore" il fatto che lui "difficilmente dà attenzioni", mi sembra che la risposta se la sia già data.
Ma sorge la domanda fondamentale: cosa dice di questo la sua psicoterapeuta? Risulta difficile capire perché lei, avendo a disposizione una persona che la segue e con la quale sta facendo un percorso per il suo benessere, chieda invece un parere a persone che non la conoscono.
Sembra un parallelo con la vicenda del partner: lei sceglie un compagno che dovrebbe, per ruolo, darle attenzioni e affetto, e non li trova; sceglie una terapeuta con cui dovrebbe intraprendere un lavoro verso la conquista del suo benessere, e chiede ad altri come trovarlo!
Sembra quasi che la difficoltà a formulare con chiarezza le richieste sia in lei stessa.
Il mio consiglio è quello di far leggere alla sua terapeuta questa lettera, perché molte persone ansiose non riescono ad esprimere a voce i loro disagi, e lo fanno meglio per scritto. Proponga alla sua psicologa di prendere in considerazione, durante il suo percorso terapeutico, anche la tecnica della Scrittura Espressiva, e si affidi comunque a ciò che le dirà.
Potrebbe però darsi che lei non affronti con determinazione le sue paure: all'università, in treno, in palestra, secondo me dovrebbe andarci lo stesso. In quest'ottica, anche l'atteggiamento del partner, che sminuisce anziché enfatizzare un suo stato di "malattia", potrebbe essere terapeutico. Purché però questa fermezza sia accompagnata da empatia, e non da indifferenza.
Con molti auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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dopo
Utente
Utente
Gentile Dottoressa,
innanzitutto la ringrazio per la sua risposta.

In realtà il mio ragazzo è migliorato parecchio in questi due anni.
Ha concluso anche lui da poco un breve percorso di psicoterapia proprio perché non stava bene con se stesso e di conseguenza condizionava anche il rapporto con gli altri, me compresa.
Ovviamente la sua natura ad essere distaccato e come privo di interesse non è svanita nel nulla.
Ma a tal proposito speravo che almeno nella situazione delicata che sto affrontando non avesse bisogno di grandi sforzi o suggerimenti su come farmi sentire compresa. Per questo mi chiedo: sono io ad aspettarmi troppo? Dovrei essere più esplicita nel fargli capire che ho bisogno di lui? Come dovrei affrontarlo visto che non sembra comprendere questa sua mancanza? E se dovessi continuare a sentirmi poco appoggiata, questo dovrebbe farmi riflettere sull’intera relazione?
Diciamo che per il resto il nostro rapporto è ok e cerchiamo continuamente di migliorarci, ma questo fatto delle attenzioni è una cosa che mi manca tanto.

Comprendo anche quando Lei mi dice che minimizzare il problema può essere terapeutico. Infatti quando magari sono nel pieno del panico è capitato che mi facesse distrarre cercando di ignorare l’ansia ed è stata una buona mossa. Ma ci sono volte in cui lui pare seccato, come se questo gli pesasse (cosa che potrebbe essere comprensibile ma che io non faccio sicuramente per cattiveria, pesa più a me che a lui).
Oltre a questo, la mia perplessità sorge quando ci sono i momenti in cui non mi serve che lui mi distragga dall’emetofobia ma anche che ne parlassimo, che mi rassicurasse o semplicemente che stia ad ascoltare i miei sfoghi.

Alla mia psicoterapeuta di lui ne parliamo molto poco. Sono talmente stremata dalla mia situazione con l’emetofobia che ogni seduta cerco di concentrarmi solo su quello, sperando di accelerare i tempi e tornare a stare bene il prima possibile.
E diciamo che considero questo come un problema secondario .
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