Anginofobia

Gent.mi,
vi scrivo in merito ad un lungo percorso avuto inizio nel 2005, possibilmente a seguito di un incidente stratale, di lieve entità, a cui è seguito un mancato soccorso e successivamente, dopo alcune ore, del panico generalizzato collegabile ad un colpo di frusta poi curato tramite collare ortopedico.
In quel periodo, collateralmente, ero molto stressata da affanni di studio e lavoro che hanno provocato il primo reale attacco di panico poi reiterato in diversi contesti. A seguire mi sono rivolta ad un consultorio rionale per una consulenza specialistica da psicoterapeuta la quale mi ha guidata nel training autogeno e dopo qualche mese ho dovuto abbandonare per rivolgermi ad un collega specialista in psichiatria considerando che quel che era stata considerata fobia sociale era poi sfociata in attacchi di panico notturni legati all'assunzione di cibi solidi, non deglutibili che provocavano un diffuso senso di angoscia seguito a blocco intestinale. Superato il timore di poter morire "soffocando", "non deglutendo" neanche acqua, in un andirivieni di passaggi ospedalieri da pronto soccorso, ho iniziato dal 2006 ad assumere tramite terapia psichiatrica e farmacologia, gocce di EN al bisogno e dopo un anno a provare il daparox, paroxetina in gocce una volta al giorno. Gli attacchi di panico sono diminuiti, se non radi ma sono rimasta sempre dipendente dai farmaci che non ho mai smesso contrariamente alla terapia. Vivere con una dipendenza seppur non importante, temere di non deglutire cibi oprattutto solidi, carne nello specifico, soffrire nel silenzio di una problematica che nomino autonomamente anginofobia non è certo facile ma ultimamente ho lamentato anche problemi di reflusso gastroesofageo ed il mio medico di base mi ha prescritto una terapia adeguata. Il problema comunque non è arginato, bensì resta irrisolto. Continuo con EN già dal primo mattino, per due volte al giorno da 20 a 30 gocce serali. La paroxetina mi accompagna ovunque vada, perchè comunque non posso rinunciare ad una vita socialmente accettabile, piena e vitale palesando calma apparente. Vivo un disagio quotidiano, con fasi alterne ma non per questo meno invalidanti dal punto di vista psicologico. Ho un regime alimentare semi-vegetariano con continue oscillazioni di peso, dovute ad assunzioni di dolci più rassicuranti e compensativi dei pasti. Questo problema legato alla deglutizione, al senso di soffocamento pur consapevole che non rischio alcun pericolo è diventato negli anni invalidante. Vorrei sapere se sarebbe il caso di iniziare a diminuire i farmaci, farne un uso opulato o seguitare con questa terapia che si è dimostrata efficace ma non curativa del problema. Ringrazio per l'attenzione.
[#1]
Dr. Alex Aleksey Gukov Psichiatra 2.8k 119 6
Gentile utente,
da quello che scrive mi sembra di capire che la Sua malattia psichica non è compensata e che non si può nemmeno dire che la Sua attuale terapia sia "efficace" per mantenere il compenso. Non mi è chiara la modalità di assunzione della Paroxetina. Lei scrive che la paroxetina La "accompagna ovunque Lei vada": significa che la assume nei momenti del bisogno? (sarebbe un uso scorretto). Inoltre, se prosegue ad assumere l'ansiolitico (l'En), è probabile che l'antidepressivo (paroxetina) non funziona a sufficienza o/e che si è sviluppata la dipendenza dall'ansiolitico. Questa farmacoterapia è monitorata da uno specialista? Quando si è fatta vedere dallo psichiatra l'ultima volta?

Vorrei anche capire perché ha dovuto abbandonare il training autogeno. Questa tecnica l'ha aiutato?

(farmaco-terapia e psicoterapia possono essere anche associate, rinforzando così l'efficacia curativa; ovviamente sia una che l'altra devono essere fatte in modo corretto).

Dr. Alex Aleksey Gukov

[#2]
dopo
Attivo dal 2012 al 2012
Ex utente
Gent.mo Dr. Gukov,
quest'ultima fase acuta di reflusso e difficoltà nella deglutizione è stata dal mio medico di base associata a problematiche gastroesofagee, senza però aver eseguito alcun esame specifico, ascoltando solo la sintomatologia. Per quel che concerne invece la sensazione che mi è stata associata da psicoterapeuta e psichiatra ad una fobia sociale o traumi post-accidentali se non al mio contesto famigliare "asfisiante" e "pressante", o comunque molto performativo, il training autogeno mi è servito per poter gestire l'emotività in situazioni dove la calma e la tensione lo richiedevano. Mi son per esempio ritrovata a prendere treni, a trovarmi fuori città e non sapere a chi richiedere aiuto portandomi progressivamente ad arginare il sociale nel quotidiano, diventando molto selettiva e scegliendo anche di viaggiare sola come la mia professione e volontà ha richiesto. In questo mio percorso che ho dovuto proseguire in autonomia, facendo appello a quanto mi è stato consigliato in psicoterapia, sono riuscita a prendere decisioni complesse, quali quella di vivere sola, evitando di supportarmi in modo automatico a persone che mi infondano sicurezza o contrariamente mi facciano venir meno le fondamenta. Ecco che quando parlo di paroxetina sempre con me, è perchè ogni qual volta viaggio, mi allontano non dimentico di assumere una volta al giorno, dopo i pasti la paroxetina che sin dal principio il medico specialista in psichiatria mi ha associato ad EN gocce primariamente tre volte al giorno e poi solo al bisogno. E' evidente che la paroxetina abbia arginato gli attacchi di panico ma non l'ansietà che la "fame d'aria", il "nodo in gola", la sensazione di soffocamento con conseguente blocco intestinale che invece riesce a tamponare l'EN. Ovviamente so bene che si tratta di un pagliativo. Il problema non lo si argina "cammuffandolo". E' questa consapevolezza che mi porta a rifiutare tali dipendenze e voler una volta per tutte trovare una soluzione che sia realmente definitiva. La terapia prescritta dal medico di base, esperto in gastroenterologia, mi ha dato la speranza che questi anni siano in realtà stati tracciati da una problematica, ereditaria, quella del reflusso gastroesofageo, sinora non compresa. A due settimane della terapia, mi rendo però conto che non posso comunque sottrarmi agli psicofarmaci perchè il timore di un attacco di panico è sempre in agguato. La psicoterapia l'ho interrotta perchè la psicoterapeuta voleva che mi aggregassi ad un gruppo per condividere le mie difficoltà cosa per me inaccettabile. La terapia psichiatrica non ha sortito alcun risultato considerando che i miei monologhi erano intervallati da frasi che evidenziavano la cronicità del problema, addebitabile come già accennato a problematiche di cui la stessa persona era a conoscenza per vie traverse. Ecco che il mio medico di base monitora da allora i farmaci e li prescrive sulla base di quanto avviato dallo psichiatra nel 2008-2009. Mi dia lei un consiglio sul da farsi, anch'io ho creduto nell'abbinamento terapeutico ma adesso, dopo più tentativi e consulenze da esperti di un certo prestigio a livello locale posso dire di aver perso la speranza e sono quasi rassegnata ad adeguarmi a questo disagio che come ho già scritto, spesso diventa invalidante come lo è stato specie nella sfera sentimentale. Grazie per l'attenzione.
[#3]
Dr. Alex Aleksey Gukov Psichiatra 2.8k 119 6
Gentile utente,
Lei scrive
<<..Mi dia lei un consiglio sul da farsi ..>>

ecco il mio consiglio:
farsi seguire da uno Psichiatra (dal vivo, non in internet). La cura della Sua malattia psichica e la prescrizione dei rispettivi farmaci (paroxetina, en) non può essere fatta dal Medico di famiglia in base alle indicazioni di qualche anno fa.

Non deve rassegnarsi ! Ho capito che Lei ha già cercato gli ppsichiatri, però forse lo ha fatto in modo non ottimale. Non deve cercare "un esperto di prestigio" per chiederlo "una consulenza" che cambia il decorso di tutto. No. Un consulto isolato, come cercano di fare molti, serve a poco. Lo psichiatra serve per le visite fatte con una certa regolarità: visite di monitoraggio della terapia e del decorso della malattia. Ed è meglio mantenere lo stesso specialista che La conosce già (come nel caso del medico di base).

Non deve essere scontato che la paroxetina non ha potuto "arginare" una serie di sintomi importanti e che lo debba tamponare l'En. Questo poteva essere raggionevole nella fase iniziale della terapia con paroxetina, quando si stava ancora aspettando che la paroxetina dia l'effetto pieno (e per tamponare temporaneamente si è utilizzato l'En). Però tale assetto non doveva durare a lungo, come se fosse normale. Adesso ormai tale schema di terapia è molto verosimilmente scorretta.

La Sua terapia va cambiata gradualmente, sotto controllo di specialista psichiatra, ottimizzando le dosi della terapia antidepressiva ed evitando di sviluppare la dipendenza dall'En.

un saluto,
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