Bipolarismo e genitorialità

Salve,
da circa un anno ho lasciato il mio compagno, portando via mio figlio che ora ha tre anni, compiuti in Aprile scorso.
L'ho fatto dopo aver trovato il mio ex, mentre tentava di recidersi la carotide, comodamente seduto sulla panchina di quello che era il nostro giardino.
Il bambino era ovviamente in casa, e solo grazie al fatto che dormiva, non ha assistito alla scena. Questo era già il secondo tentativo di suicidio, la prima volta aveva optato per la defenestrazione, per fortuna bloccato in tempo.
Il primo attacco psicotico, lo ha avuto a distanza di un mese dalla nascita di nostro figlio e da allora in media uno ogni sei mesi. Pacchetto compreso di allucinazioni uditive/visive, forti manie di persecuzione. Premetto che nei 5 anni di convivenza, non ho mai assistito ad eventi tali che potessero farmi pensare ad un esordio così drammatico.
Ho resistito per due anni, in cui spesso, durante i suoi attacchi, io ero la mira preferita, alla fine ho deciso di sottrarre mio figlio e me da quella angoscia e paura quotidiana. Ciò non toglie che può vedere il bimbo quando vuole, con l'unica mia richiesta inderogabile, che ciò avvenga alla mia presenza, non mi fido a lasciare il bimbo da solo con lui.
La diagnosi è di Bipolarismo I, curato con diversi psicofarmaci, litio compreso.
1° Domanda: pensate che abbia fatto bene ad andarmene, evitando così ad un bimbo un vissuto di ansie, paure, pericoli, o era preferibile resistere nella stessa casa per il suo stesso bene e non farlo separare fisicamente dal padre? (tenete presente che vista la condizione psichiatrica descritta, i rapporti del padre col figlio erano pressochè nulli)
2° Domanda: mio figlio nel frattempo cresce, in che maniera posso spiegargli quello che succede al padre quando ad esempio può accadere che sta di nuovo male? Da tener presente che dopo un duro lavoro di dialogo avuto col bimbo e col padre, adesso un rapporto tra loro c'è.
3° Domanda: quali influenze possono avere su un figlio, disagi genitoriali simili? E' preferibile che non incontri il padre quando questi non sta bene?
Domandone: io come madre in che modo devo interagire e come devo collocarmi?
Insomma, avrei bisogno di queste risposte. Vi ringrazio in anticipo e vi chiedo la cortesia di rispondere a tutte le domande.
Grazie, Mariarosaria
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Dr. Piergiorgio Biondani Psichiatra, Medico di base, Perfezionato in medicine non convenzionali, Psicoterapeuta 1.6k 51
Gentile utente,
premesso che è piuttosto difficile rispondere puntualmente ai quesiti da lei posti,data la complessità della sua storia,che lei riassume per sommi capi.
In linea generale penso che in situazioni simili sia corretta la scelta di allontanare il figlio dal genitore disturbato,quando,come nel suo caso,la patologia è scarsamente controllata dalla terapia.Nel contempo vanno facilitati i rapporti nei periodi di remissione(cosa che lei già sta facendo).
A mano a mano che il figlio porrà quesiti circa la particolare situazione famigliare cerchi di rispondergli nel modo più piano e semplice possibile.Si tratta di esplicitare con parole a lui comprensibili che alcune scelte sono state cpndizionate da gravi problemi di salute.
L'influenza sia ambientale che genetica di situazioni simili non e predittibile a priori.Credo sia molto importante che lei possa far crescere il figlio in un ambiente sereno e privo di gravi conflitti.Sarebbe quanto di meglio lei possa fare per minimizzare ogni eventuale conseguenza della attuale situazione.
All'ultima domanda,mi sembra,lei sta già rispondendo con il suo attuale comportamento che,a quanto descrive nella sua lettera,appare impostato a un buon equilibrio,pur con tutti i dubbi e le incertezze umanamente comprensibili in una situazione come quella che sta vivendo.
Cordiali saluti
Piergiorgio Biondani.

[#2]
dopo
Attivo dal 2009 al 2012
Ex utente
La ringrazio per la risposta,
mi scuso per la perentorietà con cui ho chiesto di rispondere a tutte le domande, il fatto è che sono stata lasciata sola in questa storia, la parte medica che ha seguito e segue lui, non ha mai tenuto conto di me e di mio figlio. Le dirò di più, durante il ricovero l'equipe psichiatrica, vista la mia intenzione di porre fine alla nostra "relazione", ha tentato di innescare sensi di colpa in me, paventanto l'idea che se lo avessi lasciato, avrei peggiorato le sue condizioni e forse avrebbe tentato di nuovo il suicidio. Nessuno si è mai posto il ben che minimo problema verso mio figlio e perchè no, anche verso me.
Ci vorrebbero 10.0000000 di caratteri per evitare di spegare gli eventi, le sensazioni le paure e i dubbi per sommi capi.
Durante gli oltre 2 anni che gli sono stata accanto, ho provato anche a spingerlo verso una psicoterapia di tipo cognitivo, cosa che ha fatto ma con scarsissmi risultati, dal momento che anche in questo approccio non si è mai aperto e spinto oltre quelle che sono le SUE regole interiori. Ho passato ore, giorni, settimane, mesi, anni a misurare le arole; a stare attenta a quello che dicevo, a quello che guardavo a come lo guardavo, perchè qualunque mio respiro veniva da lui interpretato come un 'segnale' di qualche mio complotto contro di lui. Ci sono stati momenti di pausa, lo ammetto, ma dentro di me ormai si era innescato il terrore. Consideriamo che tutto ciò accadeva mentre avevo un bimbo piccolissimo tra le braccia da crescere, che aveva ed ha tutto il diritto di richiedere e pretendere almeno un genitore capace di sorridergli e offrirgli la meritata serenità. Non ha chiesto lui di essere al mondo, lo abbiamo voluto noi ed è una mia precisa volonta e dovere dargli tutto quello che posso. Io sono malata di Lupus e la mia gravidanza è stata difficile, alla fine ce l'ho fatta, e dopo tutti questi sforzi, credo sia corretto dare a mio figlio il massimo dela serenità che posso.
Non so se sono riuscita a spiegarmi meglio...
[#3]
Dr. Piergiorgio Biondani Psichiatra, Medico di base, Perfezionato in medicine non convenzionali, Psicoterapeuta 1.6k 51
Gentile signora,
purtroppo la vita delle persono che stanno vicino a coloro che,per loro sfortuna,soffrono di patologie psichiche importanti e durature nel tempo è spesso molto difficile e complessa.
Ogni scelta fatta per salvaguardare se stessi e la propria integrità psichica è gravata da sensi di colpa e ripensamenti.
Lei ha compiuto dei passi più che giustificabili da punto di vista umano per il bene suo e del figlio.
Forse,a mio parere,sarebbe opportuno che,se possibile,potesse essere supportata da una figura professionale esterna(psicoterapeuta o psicologo)con cui confrontarsi senza alcun timore di valutazioni o giudizi.Potrebbe così essere meglio aiutata a sviluppare quel dialogo e confronto interiore che lei sta già portando avanti da sola,al fine di poter vivere con maggiore serenità le decisioni che ha preso e che vorrà prendere in futuro.
Cordiali saluti
Piergiorguio Biondani.
[#4]
Dr. Francesco Botti Psichiatra 46 1
Gent utente,

la cosa più importante rimane il fatto che suo marito deve seguire una terapia adeguata per le sue problematiche di salute; se suo marito è compensato il rapporto con suo figlio non sarà gravemente compromesso, al bambino, tenendo conto dell'eta, naturalmente, deve spiegare che il padre soffre di una malattia, come ad esempio l'epilessia o il diabete, che gli comporta dei periodi di assenza e le cure del caso, senza ne drammatizzazioni ne troppe reticenze.
Se è il caso si puo far supportare da uno specialista del settore.
Cordiali saluti

Dr. Francesco Botti
Spec. in Psichiatria

[#5]
dopo
Attivo dal 2009 al 2012
Ex utente
Salve,
sono sempre io, mi chiedevo e per questo vi giro la domanda, cosa può significare il fatto che pur seguito da uno specialista e con le cure farmaceutiche del caso, ciclicamente le crisi psicotiche si riaffacciano puntulamente? La terapia farmacologica, non dovrebbe in qualche modo frenare questi episodi? Tenete presente che la cura è stata più volte aggiustata, integrata, aumenta e diminuita a seconda dei momenti. Sono stati cambiati farmaci e fatte prove...Come si comporta di solito un paziente affetto da bipolarismo con attacchi depressivi e maniacali, con manie di persecuzioni molto serie e tendenza al suicidio? Quello che voglio dire, le crisi dovrebbero tendere a diminuire negli anni o si accentueranno sempre più? In linea di massima cosa ci si deve aspettare?
Aspetto una vostra risposta.
Grazie M.
[#6]
Dr. Piergiorgio Biondani Psichiatra, Medico di base, Perfezionato in medicine non convenzionali, Psicoterapeuta 1.6k 51
Gentile utente,
purtroppo lr forme bipolari sono piuttosto difficili da trattare,e non sempre si riesce ad ottenere un equilibrio psichico accettabile.Generalmente se si trova la giusta combinazione di farmaci la situazione,nel tempo,dovrebbe perdere di acuzie.Tenga comunque presente che quando si parla di giusta cura non si deve tenere conto solo del fatto di usare farmaci con le corrette indicazioni,ma anche della loro interazione con gli aspetti genetici e biochimici del singolo soggetto.Vi possono quindi essere persone scarsamente responsive ad alcuni farmaci,ed è praticamente impossibile valutare a priori tale esito.Per questo motivo,penso,sono state effettuate,come lei riferisce,molteplici prove.La consiglierei di non perdere la fiducia,e di proseguire nelle cure.Con pazienza credo che si riuscirà ad individuare la strada più idonea per il suo compagno.
Cordiali saluti
Piergiorgio Biondani.
[#7]
dopo
Attivo dal 2009 al 2012
Ex utente
Mi scusi dottore,
mi può meglio spiegare cosa intende quando dice: "Tenga comunque presente che quando si parla di giusta cura non si deve tenere conto solo del fatto di usare farmaci con le corrette indicazioni,ma anche della loro interazione con gli aspetti genetici e biochimici del singolo soggetto."?
Per caso significa che qualunque cura può non essere efficace perchè il soggetto è farmaco-resistente? E per questi pazienti non si può fare nulla?
Preciso che è il mio ex compagno, e che mi preoccupo della sua salute, oltre che per l'affetto che comunque nutro per lui, soprattutto perchè ha rapporti con nostro figlio...e vorrei capire dove mi 'trovo', il più possibile.
Ho riguardato ultimamente a beautiful mind, ho trovato impressionanti certe coincidenze con la mia storia, ma quell' uomo aveva sviluppato una consapevolezza della sua malattia, che gli ha insegnato a gestire le allucinazioni e i momenti psicotici. Crede che sia possibile che un altro uomo possa riuscirci? E come si può raggiungere una tale consapevolezza? Voglio dire il mio ex compagno, quando è convinto di qualcosa, per lui quella rappresenta la verità, ed è, com'è ovvio, impossibile convincerlo del contrario. Come si può sviluppare in lui la capacità che sviluppò il protagoista del film? Che pure si riferiva ad una storima vera.
A presto
[#8]
Dr. Piergiorgio Biondani Psichiatra, Medico di base, Perfezionato in medicine non convenzionali, Psicoterapeuta 1.6k 51
Gentile utente,
con ciò che ho scritto intendevo principalmente esortarla a non perdere fiducia nelle cure,anche se,talvolta i risultati possono apparire lenti a manifestarsi,oppure si devono effettuare frequenti cambiamenti di farmaco o di posologia.Generalmente,con il tempo e l'applicazione. si finisce con il trovare il giusto mix per ogni paziente.
Per quanto concerne la consapevolezza di malattia,e quindi la possibilità del soggetto di poter aderire alle terapie in maniera più consapevole e collaborativa è,a mia esperienza,una evoluzione non prevedibile,e,anche se rara non impossibile.
Cordiali saluti
Piergiorgio Biondani.
[#9]
dopo
Attivo dal 2009 al 2012
Ex utente
grazie mille
[#10]
Dr. Francesco Botti Psichiatra 46 1
Gent. utente,

il repertorio di farmaci a disposizione dello psichiatra è molto ampio, i soggetti veramente farmaco resistenti non sono poi cosi frequenti; la cosa importante è non solo trovare i farmaci, i tempi e le dosi efficaci, ma anche seguire le terapie; molti pazienti non prendono semplicemente le medicine.
Cordiali saluti
[#11]
dopo
Attivo dal 2009 al 2012
Ex utente
Dr. Francesco Botti,
è vero che spesso può accadere che questi pazienti semplicemente non prendano i farmaci, ed è accaduto anche nel caso del mio ex compagno, ma solo una volta è successo, e a distanza di un paio di settimane è infatti riaffiorata la crisi profonda. Ma è veramente seguitissimo da questo punto di vista, e dopo quella volta li prende regolarmente. E' proprio per questo che a volte mi stupisco di come siano precise e puntuali le ricadute: ogni sei mesi una crisi. Sta molto male per un mese e più circa, poi ci vogliono almeno altri due mesi per riprendersi ma nemmeno del tutto. I motivi che spesso mi scoraggiano sono propiro questi: nonostante le cure da tre anni e mezzo, ormai, accade puntualmente che stia male. Ed anche quando sembra in ripresa, io non lo vedo mai con la mente completamente sgombra, intravedo sempre un' ombra, sembra che i mostri li metta solo in un angolo, ma che ci siano sempre, pronti a divorarlo appena abbassa la guardia. Ma è possible che debba vivere tutta la sua vita così? Possibile che i farmaci non riescano a farlo stare veramente bene? Io avevo provato anche a indirizzarlo verso una psicoterapia di tipo cognitivo, da fare ovviamente nei momenti di ripresa, ma è valso a poco. Prima di tutto perchè non è un soggetto molto incline a questo tipo di terapia e poi, devo dire, la dottoressa che lo ha avuto in cura, si limitava a chiedere: "come va? col bimbo come va? con la tua compagna come va?" e veniva più o meno preso per buono tutto quello che diceva. (lo so perchè diverse volte ho partecipato alle sedute). Doveva esserci, a mio avviso, un medico veramente in gamba per aiutarlo davvero...qualcuno forte, duro, che appunto applicasse l'aspetto "cognitivo" della psicoterapia. Perchè io credo che il mio ex, non abbia ancora ben chiaro che quello che gli accade quando sta male, è solo generato dalla sua mente, e mai nessuno gli ha spiegato che ciò che lo fa soffrire è solo frutto della sua immaginazione e malattia. Lui crede che quello che vede, la percezione della realtà che ha, sia proprio LA realtà. E non parlo di quando soffre, non dico naturalmente che certe cose gli vadano spiegate nel momento della crisi, ma almeno quando sta meglio, forse si. Siamo in alto mare...
[#12]
Dr. Francesco Botti Psichiatra 46 1
Gent. utente,

se suo marito segue le terapie prescritte, è molto probabile che vada riformulata la terapia medesima per quanto riguarda o la posologia o la scelta del farmaco o dei farmaci; la psicologia centra poco.
Cordiali saluti
[#13]
dopo
Attivo dal 2009 al 2012
Ex utente
Lei dottore, mi getta nello sconforto...
Lo psichiatra che lo segue è considerato un luminare, (la qual cosa devo dire mi ha sempre lasciata un pò perplessa, visto l'atteggiamento non curante che ha avuto per le persone che girano intorno il suo paziente, a partire dal figlio piccolissimo e me che ero la sua compagna), si rivolgono a lui da molte parti di Italia e ha in cura qualche personaggio pubblico molto noto.
Se non riesce lui a impostare una terapia adeguata, mi devo solo rassegnare al fatto che mio figlio avrà sempre un padre a metà o 'atipico', e che, quindi, potrebbe sempre correre qualche rischio stando con lui. Questo condanna tutti.

"La psicologia c'entra poco", dice lei...su questo non saprei, forse mi permetto di dissentire. In parte credo che un eccezionale psicoterapeuta, di quelli con le p.... potrebbe aiutarlo, nei momenti di remissione, a saper gestire le sue crisi.
La saluto e la ringrazio.
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