Terapia disturbi d’ansia

Gentili specialisti, scrivo a scopo puramente informativo per avere le idee più chiare su un disturbo che mi affligge.
Breve anamnesi.
5 anni fa circa cambiai posto in cui vivevo, nel mese di settembre.Inizialmente non fui contentissimo della scelta presa, provando un po’ di nostalgia e pentimento, ma tutto normale.A febbraio,a distanza di svariati mesi, una notte mi addormento serenamente ma mi sveglio nel cuore della notte con sensazione d’ansia. Pensavo per colpa dell’esame, mi alzo, comincio a ripassare e vado in sede d’esame.
In sede d’esame mi prende un attacco di panico e vado via.
Da quell’attacco di panico mi è poi rimasta un ansia fuori dal normale, che non mi permetteva di riposare la notte, mi toglieva l’appetito, mi sfiancava, mi faceva tremare, un ansia mai provata prima nella mia vita, un qualcosa al di fuori dal normale accompagnata da ossessività, perchè in quello stato di forte malessere riflettevo sempre su cosa potesse essere stato a scatenare il problema è cercavo di trovargli una spiegazione psicologica e in tutto ciò non riuscivo a trovargliela.
Con il tempo e qualche ansiolitico passò, però da quel giorno mi sono sempre portato dietro delle sequele, mi accorgo che ad oggi, sono molto più sensibile agli stimoli, ad uno stimolo ansiogeno qualsiasi, provo un ansia molto più forte del normale che con l’esperienza ho imparato a gestire, ma che sicuramente non è normale e inficia la qualità della mia vita.
Noto che i miei processi cognitivi di base, per affrontare un problema sono gli stessi del periodo “pre ansia”, se non migliorati, razionalmente ho un buon problem solving, ma nella pratica prima provavo un ansia fisiologica, oggi la provo patologica.
Sono più sensibile anche al caffè, che nn riesco più a bere e prima lo bevevo normalmente.

Terapia:
Recatomi da uno psichiatra mi ha prescritto cipralex 10mg e ho avuto grandi miglioramenti, la qualità della mia vita era migliorata parecchio. In determinate situazioni provavo ancora ansia patologica ma la smaltivo in poco tempo grazie alla terapia. Ero quasi guarito ma non del tutto.
Pensando invece di essere io ad aver imparato a mandare via questa ansia e dopo 1 anno e 4 mesi ho deciso, in accordo con lo psichiatra di staccare gradualmente il farmaco ma il problema si è ripresentato e lo psichiatra mi ha detto di tornare a 10mg, e in un futuro, se verrò la affronterò sotto il punto di vista psicoterapico.

Domanda:
Purtroppo faccio confusione io, oppure c’è una confusione generale.
Il disturbo ha una base biologica e va curato con i farmaci, però la psicologia dice che si cura anche senza. Come fa la psicologia a curare un disturbo che ha un substrato biologico?
In questo caso i farmaci allora sarebbero solo dei sintomatici?

Scusate se mi sono dilungato ma sono fortemente motivato a risolvere il problema è molto positivo visto che con la cura di cipralex stavo quasi benissimo, quindi vorrei informazioni a riguardo per intraprendere la strada più giusta.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 988 248
Sì, credo che ci sia un po' di confusione, peraltro originata credo da questo discorso

"e lo psichiatra mi ha detto di tornare a 10mg, e in un futuro, se verrò la affronterò sotto il punto di vista psicoterapico."

Una base biologica evidentemente c'è in tutto, essendo fatti di materia organica. La psicologia non fa affermazioni su come si debbano curare le malattie, né i metodi psicologici cadono fuori dalla biologia, sono metodi biologici che utilizzano un canale psicologico.

Non è ben chiaro perché dovrebbe affrontare la cosa dal punto di vista psicoterapico "in un futuro", se la soluzione è stata ed è ancora il cipralex 10 mg..

Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini

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dopo
Utente
Utente
Grazie della risposta

Scusi la domanda, che intende per “sono metodi biologici che utilizzano un canale psicologico?”
Come se il lavoro psicologico possa avere un beneficio biologico simile al farmaco?

Comunque per chiarezza, lo psichiatra a cui mi sono rivolto mi ha detto “il farmaco sicuramente ti fará stare bene, ti riequilibrerà chimicamente, ma per conoscere le cause devi affidarti alla psicoterapia, quindi se vorrai e quando vorrai affrontarai la situazione sotto il punto di vista psicoterapico.”
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 988 248
Che il lavoro dello psicologo riguarda il cervello. Se uno cambia per via psicologica, è cambiato biologicamente, su che altro piano se no ?

Ecco, il discorso che segue invece è il classico equivoco per cui i farmaci curano in superficie e la psicologia nel profondo. Non saprei neanche che possa voler dire una cosa del genere, è un equivoco maturato sui primissimi farmaci sintomatici, come i tranquillanti, su cui poteva anche avere un senso, e portato avanti semplicemente per sostenere una separazione dei due metodi come se fossero su due obiettivi diversi.
I dati mostrano che i due metodi possono coesistere e produrre effetti migliori se associati, per quanto riguarda le poche tecniche scientificamente studiate.
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Utente
Utente
Infatti le mie domande sono puramente a scopo conoscitivo su un sito di professionisti , visto e considerato che pensare di informarmi su google è impossibile, perchè si trovano solamente informazioni che demonizzano gli psicofarmaci e spingono verso le psicoterapie.

Quindi se capisco bene, un vero motivo del perchè si instauri una malattia, che possa essere un disturbo d’ansia, o uno dell’umore, non sempre si trova, però si sa come curarlo.

Per quanto riguarda i miei sintomi, se posso chiederle un parere, la terapia di cipralex li ha migliorati tantissimo, però davanti certi stimoli ansiogeni anche sotto terapia provo un ansia maligna che anni fa, per gli stessi stimoli, non provavo affatto, e poi vavia, lasciandomi un po’ stanco.
Io accetto che ci sia questo problema e lo gestisco come posso, ma per risolverlo potrebbe essere una strategia aumentare il dosaggio oppure aumentare il tempo della terapia secondo lei ?
Magari se al posto di staccarla dopo un anno e quattro mesi avessi continuato avrei avuto altri miglioramenti?

Eventualmente ne parlerei con il mio medico, non farei di testa mia.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 988 248
Questo vale in generale per tutta la medicina, che parte dall'idea di "come curare", e spesso per farlo arriva a ricostruire i meccanismi di una malattia. Il "perché" spesso non esiste nel senso che è conseguenza di una serie di fattori, di cui uno genetico, uno ambientale, uno relativo all'usura del sistema etc.
Non è vero che non si sappia come funzionino certe malattie, è che spesso si confonde il perché con la conseguenza. La malattia origina da fattori interattivi magari, ma nasce dentro il cervello, e non senza il cervello. Poi si traduce in sintomi, comportamenti e produce interazioni e conseguenze nella vita.

Un anno e quattro mesi sono un tempo che può essere ragionevole per ridurre la dose, ma non è detto che vada bene, anche perché varia la predisposizione alla recidiva, e non si può stabilire prima.
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dopo
Utente
Utente
La ringrazio dott. Pacini, le sue risposte mi sono veramente servite per avere più chiarezza sul disturbo di cui sto soffrendo.
L’’idea di curarlo “al buio” senza avere le idee chiare sul disturbo non mi piaceva tanto.
Tra l’altro il medico a cui mi sono affidato non mi ha dato molte informazioni sul disturbo, magari perchè non è semplicissimo da spiegare, prescrivendomi la terapia che ha comunque funzionato, ed inoltre non è della mia cittá quindi dopo questa lieve ricaduta la chiamata è stata molto sintetica, mi ha semplicemente detto di riprendere la cura e condurre la vita normalmente per risentirci più in là.
Però sinceramente volevo saperne più io per un motivo di curiosità personale visto che interessa me come prima persona.

Grazie ancora del consulto.
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dopo
Utente
Utente
Mi sorge spontanea un altra domanda.
Se si parla del disturbo d’ansia o di altri disturbi nevrotici come di malattie dove vi è anche una predisposizione genetica di base, che per interazione con l’ambiente poi si manifesta,questo significa che la malattia si può mandare in remissione ma non si può guarire del tutto?

Perchè se pensiamo ad altre malattie con componente genetica, tipo il diabete, tipo la sarcoidosi, magari con le adeguate cure si possono mandare in remissione ma non guarire.
Ecco, è lo stesso per una nevrosi?
Oppure essa si può guarire pur rimanendo la predisposizione genetica in assenza di malattia ?
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 988 248
Vale a dire che la predisposizione genetica, o strutturale che dir si voglia, non tende a cambiare molto, anzi con le ricadute aumenta. La remissione clinica può anche essere stabile, il rischio rimane sempre maggiore che per una persona x. Tra l'altro anche le cosiddette forme "reattive" a eventi, in realtà hanno una base genetica che rende ragione di questa reattività, vale a dire che bastano meno eventi, meno pesanti, e soprattutto ogni volta ne bastano di meno come "peso scatenante":
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Utente
Utente
Capisco, quindi non c’è un modo invece per migliorare questa predisposizione strutturale, considerando che il cervello è un organo plastico ?

Detto questo, visto e considerato che i più recenti studi ruotano intorno ad un substrato neurochimico che sostiene questi disturbi, le teorie dei conflitti inconsci tra super io, es ecc lasciano il tempo che trovano in pratica.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 988 248
La terapia è un modo per migliorarla, non a livello di DNA direttamente, ma a livello di fasi intermedie dell'espressione di questa tendenza.
L'effetto curativo è ad esempio evidente nella latenza di ricaduta alla sospensione delle cure, e nel fatto che una cura lunga porta a stato "dormiente" malattie che altrimenti procedono per ricadute.

I Super io, es e se etc sono eventualmente "manifestazioni", non interagiscono tra di loro, gli elementi della psiche non interagiscono l'uno con l'altro, sono espressioni. I substrati interagiscono. Sarebbe come dire che la digestione interagisce con la masticazione, si sottointende che lo stomaco e l'intestino interagiscono con la bocca. Non che esista una digestione la quale ragiona interamente a se stessa su come poi far accedere le cose nel corpo.
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Utente
Utente
Nella realtà dei fatti la mia domanda era molto più pratica di quello che sembra.
Se parliamo di dna, di struttura, di sistemi neurochimici e se la terapia è un farmaco, le teorie sui conflitti incosci che validità hanno? Perchè è chiaro che un farmaco non può risolvere un eventuale conflitto inconscio.
C’è una tale confusione su questo argomento per noi pazienti, credetemi. Forse solo in questa branca della medicina.
Uno si chiede, ho un problema psicologico o chimico?
E se è psicologico è conscio o inconscio? Perchè se è conscio allora si può risolvere usando bene il ragionamento, magari anche facendosi aiutare a ragionare da figure specializzate.
Se è inconscio invece non puoi avere accesso a quel problema,perchè non ne sei cosciente, lo dice la stessa parola. Ma siamo sicuri che l’incoscio esista? E perché in me dovrebbe esserci un conflitto inconscio?
E poi ancora, un farmaco può curare un problema biologico, chiaro, ma può curare un problema psicologico conscio o inconscio ?
Da parte mia c’è confusione a riguardo.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 988 248
"le teorie sui conflitti incosci che validità hanno?"

Appunto.
Tenga presente che per laurearsi in medicina e specializzarsi in psichiatria non necessariamente se ne sente parlare.

"Uno si chiede, ho un problema psicologico o chimico?"

Che è una domanda malposta, è come chiedersi: ho un problema gastroenterologico o digestivo ?

"Se è inconscio invece non puoi avere accesso a quel problema,perchè non ne sei cosciente, lo dice la stessa parola. "

Appunto, ma non si può avere accesso alla mente inconscia, se mai al cervello inconscio, che non è psiche, è cervello, se mai si esprime come elementi della psiche. Ma questo si è sempre saputo, che esistono meccanismi non consapevoli o -per meglio dire- che sono appresi in maniera tale da non essere più "visibili" ad un esame grossolano. Se non lo dice il paziente, evidentemente più che inconscio l'elemento psichico è assente o "non dichiarato", mentre il funzionamento del cervello non cosciente esiste, è anche visualizzabile, e si traduce probabilmente in atti, pensieri o sentimenti poi in gran parte consci. Intendo dire, non è che ci sia un cervello che lavora sottotraccia e poi si esprime sottotraccia. Se si esprime, qualcuno deve averlo visto. Altrimenti dove si esprime ? Nel mondo della fantasia.

Giustamente Lei ci vede confusione, è più strano che non ce la vedano i tecnici del settore, che purtroppo a volte recepiscono i concetti passati come fossero assodati e comunque da conservare, anche se biologicamente mai definiti, sperimentalmente mai indagati.
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Utente
Utente
Gentile dottore, la discussione per quel che mi riguarda si sta facendo appassionante, soprattutto per me che sono uno studente di medicina è un utilissimo dialogo per chiarificare quello che per me è un campo poco chiaro.
Perchè intendo poco chiaro, faccio un esempio, ad esempio il Doc, mi sono sempre chiesto, ma è una malattia o è una sorta di circolo vizioso? Perchè si ipotizza un substrato biologico, infatti risponde a determinate classi di farmaci, ma una spiegazione logica si può apparentemente dare.
Nel senso, magari una persona fa un pensiero che gli genera ansia e l’ansia lo riporta al pensiero, più lui tenta di scacciare un pensiero, più il pensiero resta e si impone.
Se invece di ingaggiare una lotta con quel pensiero e averne paura lo si ignorasse senza dargli peso e svilupparlo magari andrebbe via nei soggetti definiti con doc, ma magari non lo ignorano perchè credono che il contenuto sia vero.
Ho fatto l’esempio Del doc perchè io in prima persona quando sono più ansioso divento più ossessivo, magari sto 2 ore a riflettere su una cosa che mi ha generato ansia, o sul perchè si è generata così forte, poi però se mi “impegno” ad ignorare quel pensiero, a non rispondergli, egli va via, si dissolve. Quindi dimostro a me stesso che era un circolo vizioso, più riflettevo su quel pensiero più mi generava ansia, più mi generava ansia, più ci riflettevo.

E questo può essere un chiaro dubbio per il paziente, che si chiede,ma sono io che sto usando male la testa? O è la mia testa che sta funzionando male?
Chiaro che se ne parli con i familiari ti dicono che sei tu che stai usando la testa nel modo sbagliato senza alcun dubbio.
Se ne parli con lo psichiatra magari ti dice che invece è la testa che sta funzionando male.

O la verità sta nel mezzo?

Nella sua ultima frase se non erro si riferisce a teorie psicologiche X, teorizzate ma mai dimostrate?
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 988 248
Il punto è questo. L'ansia non genera, l'ansia è una manifestazione. Quando viene l'infarto non è per la palpitazione, ma per la tachicardia se mai, per fare un parallelo. Quindi l'ansia non genera pensieri, né i pensieri generano ansia, questo è un modo per dire retoricamente cosa succede in sequenza, ma è il cervello che si muove in un certo modo, e secondo sue logiche interne produce effetti. Certo, spesso sono anche logiche che si capiscono da fuori, ma ancor prima sono quello che il cervello fa essendo costruito in un certo modo.
Nel doc ad esempio cerca di risolvere cose per via razionale, incastrandosi in questo meccanismo.
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Utente
Utente
“l'ansia non genera pensieri, né i pensieri generano ansia”

Ho capito che un pensiero non genera direttamente l’ansia, è chiaro, intendevo dire che un pensiero stimola il cervello a generare ansia, pensavo fosse chiaro.

Quindi vuole dire che un pensiero ansiogeno non genera ansia ?
Strano, cioè non capisco, è un esperienza esperita da tutti quelli di provare ansia se si fa un pensiero ansiogeno, del tipo pensare di non superare un esame, per uno studente o perdere un figlio in un incidente per un padre o una madre.
Non riesco a capire.

Per il resto non è la stessa cosa chiedersi “ho un problema gastrenterologico o digestivo oppure ho un problema psicologico o chimico, perchè nell’esperienza comune il cervello ci da la sensazione di un organo che possiamo gestire e controllare noi, la digestione invece è un processo involontario.
Questo è uno dei motivi pe il quale il paziente medio non comprende il senso della malattia mentale, proprio perchè finché si sta bene il cervello sembra proprio che si possa controllare.
La domanda è, siamo noi a controllare la nostra mente? O la mente controlla noi ?
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Utente
Utente
Commento nullo. Ho aggiunto nel commento sopra per completezza.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 988 248
la digestione invece è un processo involontario.

Anche la volontà, tanto per fare un gioco di parole.

Non controlliamo la nostra mente, siamo la nostra mente. La mente è un'espressione, non controlla nulla. Sarebbe come dire che i personaggi di un film scrivono la sceneggiatura.
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Utente
Utente
“Quindi vuole dire che un pensiero ansiogeno non genera ansia ?
Strano, cioè non capisco, è un esperienza esperita da tutti quelli di provare ansia se si fa un pensiero ansiogeno, del tipo pensare di non superare un esame, per uno studente o perdere un figlio in un incidente per un padre o una madre.
Non riesco a capire.”

Io credo di aver capito il suo messaggio, la mente è il prodotto di un nostro organo, cioè il cervello.
Nel gergo però si dice spesso, “usa bene la testa” non si dice usa bene il fegato o l’intestino.
Quindi sembrerebbe, stando al detto, che in teoria usarla bene o male sta a noi.

O forse è più corretto dire che finché il cervello è sano darà un prodotto sano, quando si ammala non darà più un prodotto sano ?

La sensazione è quella di poter gestire la nostra mente secondo la nostra volontá, come se fosse composta da due parti, una automatica e una parte gestibile da noi, stessi, tramite la quale possiamo gestire la porzione automatica.

Ad esempio, il pensiero della morte è un prodotto della nostra mente, un pensiero che può sorgere in automatico, perô possiamo attuare una gestione di questo pensiero, ignorandolo, o ragionandoci su, averne paura oppure capire che è una cosa inevitabile è naturale e fa parte della vita.
In un modo sembra che abbiamo una gestione volontaria della cosa
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 988 248
Un pensiero non genera nulla, è una generazione.

Certo, ma invece anche usare bene il fegato e l'intestino non è male come idea. Si dice di usare la testa perché a partire dalla nostra volontà, abbiamo a disposizione una dotazione che permette di risolvere vari problemi. Non che però sia una dotazione immutabile, scontata o non soggetta a problemi. In ultimo, la parte del cervello che produce la volontà è soggetta a problemi.


"Ad esempio, il pensiero della morte è un prodotto della nostra mente, "

No, è un prodotto del cervello, è parte della nostra mente.
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dopo
Utente
Utente
Ok, quindi in ultima analisi, per chiudere il discorso se ho ben capito in sostanza lei vuole dire che il cervello è un organo come altri e come gli altri organi anche lui si può ammalare e dare manifestazioni di malattia attraverso il pensiero, le emozioni e i comportamenti.
Quindi una visione dei disturbi mentali che si incentra molto sull’organo piuttosto che sull’ “Anima”.

Sbaglio?
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 988 248
Se non fosse incentrata sull'organo e sulle sue espressioni, tra le quali rientra l'anima, di cosa staremmo parlando ?
[#22]
dopo
Utente
Utente
Io le do ragione, nel senso, condivido il suo punto di vista, è convincente e più logico di molte teorie.
Ad esempio, riguardo il mio disturbo d’ansia, nella ricerca di spiegazioni per capire a cosa potesse essere dovuto, lo psichiatra a cui mi sono rivolto mi ha vagamente detto che questo dipende dai miei meccanismi di difesa e che ognuno ha i suoi.
Questo invece é molto meno convincente.
[#23]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 988 248
I meccanismi di difesa esistono, e sono appunto una possibile espressione del cervello, appresa o innata.
Ora, che ognuno abbia i suoi mettiamo che sia vero, ma allora non sono oggetto di grande interesse scientifico, anzi neanche si può stabilire che esistano e siano meccanismi di difesa, se per ognuno sono fenomeni a se stanti e particolari.
[#24]
dopo
Utente
Utente
Si riferiva certamente a meccanismi di difesa inconsci e nel momento in cui io ho chiesto, come posso far per modificarli, cambiarli, mi ha risposto che ognuno ha i suoi.
Come la pensa lei a riguardo ?
Allora possiamo dire che l’ansia insorge veramente a causa di un meccanismo di difesa non adattivo ?
[#25]
dopo
Utente
Utente
A questo punto quello che nn mi è chiaro è, se il disturbo d’ansia insorge a causa di un meccanismo di difesa inconscio messo in atto, disadattivo e disfunzionale, come fa il farmaco a guarire il disturbo ?
Agisce sul meccanismo di difesa ?
Ma il disturbo non avevamo detto che era causato da un interazione gene ambiente e si configurava come strutturale, esprimendosi sotto forma di pensieri emozioni e comportamenti ?

Può essere un po’ più chiaro, come se stesse parlando ad un ignorante in materia, che è quello che sono infatti.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 988 248
I meccanismi inconsci derivano da un concetto non biologico. Se esistono meccanismi inconsci, devono comunque essere definiti su qualche piano, cioè neurobiologico.

Per quanto riguarda il concetto di meccanismo non adattivo, il cervello non funziona cercando di produrre adattamenti, ma funziona in maniera da tendere a produrre adattamenti, per fortuna. Il che significa che non sempre è così, non per tutto è così. Lo è per le condizioni in cui è stato selezionato geneticamente.
Più che meccanismi non adattativi a priori, ci sono limiti di adattamento naturali o acquisiti.
Ma non è detto che questo sia il tipo di problema che ha in origine un disturbo d'ansia, il quale magari si sviluppa non come meccanismo d'adattamento, ma se mai come problema a cui il cervello cerca di adattarsi, senza poi riuscirci oltre un certo limite, o esaurendo le capacità di adattamento nel tempo.
[#27]
dopo
Utente
Utente
Da quello che mi ha detto capisco che la sua visione dell disturbo mentale è una visione biologica, organicistica, che tra l’altro è esaustiva e convincente.
Mi corregga se sbaglio, perchè potrei sbagliare.
Ma non si può negare, a mio avviso, che molte delle confusioni o equivoci sulle cure farmacologiche, psicoterapeutiche, dei pazienti nascano anche da una diversa visione dei disturbi mentali da parte della classe dei medici psichiatri.
È noto che ci sono psichiatri che sostengono che il rimedio farmacologico non sia del tutto risolutivo, ma sintomatico e che bisogna passare dalla psicoterapia per risolvere veramente i problemi, che stanno nella mente del paziente, mentre per altri psichiatri il problema sta nel cervello e quindi è più logico che il farmaco non sia sintomatico ma risolutivo per questi altri.
Come riportato in precedenza, lo psichiatra stesso che mi sta curando mi ha detto, prendi il cipralex e fai la tua vita normale, quando vorrai affronterai sotto il punto di vista psicoterapico perchè solo in questo modo potrai conoscerne le cause di questo disturbo d’ansia.

Comunque sia mi ha fatto piacere questo scambio di messaggi con lei essendo un professionista nel campo psichiatrico, mi ha sicuramente chiarito certi punti, ma con più piacere le dico che mi ha fatto appassionare a questa branca specialistica.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 988 248
A mio avviso non esiste l'organicismo, è un termine inventato da chi propone che la realtà biologica debba essere letta su altri piani, e che questo dia una visione completa. Non si tratta di piani, ma di linguaggi. Possono descrivere un disturbo secondo la sua neurochimica o le sue manifestazioni, posso utilizzare entrambi i criteri per far diagnosi, posso fare una ricostruzione di eventuali dinamiche sociali che lo producono, ma alla fine ho descritto cosa succede in un cervello umano. Che ne è comunque il presupposto e il termine su cui poi si realizza il tutto.

Il discorso sulle "cause" è un equivoco. Le cause, più si scende nel "profondo", e più corrispondono a degli elementi semplici. Quello che si intende con questo concetto fantasmatico di causa prima nascosta sotto una coltre di sintomi che la mascherano, è che ci sia una psiche che lavora mascherando se stessa con l'organo, ma questa è fantabiologia. I meccanismi neurologici inconsci esisteranno, ma non sono psicologici nel profondo, in superficie lo sono. Un esempio sono le dipendenze.
[#29]
dopo
Utente
Utente
Riesco più o meno a starle dietro nei suoi discorsi, e mi sembra appunto di capire che lei sostiene che un disturbo, con manifestazioni psicologiche ha alla base, nel suo profondo una base neurobiologica, ergo organica, ergo vuole dire che è una malattia del cervello.
Mi sembra proprio di capire che per lei una malattia mentale si configura come malattia del cervello
Quindi come tale secondo lei la terapia che sto facendo io con cipralex 10mg è risolutiva, non semplicemente sintomatica ?
[#30]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 988 248
Il discorso è questo. D'altra parte, più che una teoria è una descrizione di una situazione di fondo, è come descrivere il funzionamento di un'auto spiegando come è costruita, senza nessuna implicazione teorica.

Non c'è nessuna implicazione sulle terapie. Si possono avere terapie sintomatiche, terapie curative, terapie eradicanti.
Il vero effetto. Il cipralex è una terapia che non manda via "il sintomo" preso isolatamente e in tempo reale, ma manda via il complesso dei sintomi agendo su una radice comune. Per radice non si intende "la causa", ma un meccanismo da cui dipende l'insieme dei sintomi, il loro emergere e progredire.
[#31]
dopo
Utente
Utente
“Il cipralex è una terapia che non manda via "il sintomo" preso isolatamente e in tempo reale, ma manda via il complesso dei sintomi agendo su una radice comune. ”

Manda via i sintomi è una cosa, che è risolutivo del problema è un altra cosa.
Il cipralex nella terapia del disturbo d’ansia è risolutiva ? O da affiancare a psicoterapia o altro ?

Cioè una persona affetta da disturbo d’ansia se lo vuole curare, basta la terapia farmacologica ? O solo con quella non si può pensare di risolverlo ? E quindi una volta staccato si è per forza nella stessa situazione di prima?
Le domande sono ispirate al mio caso, che appunto dopo una dismissione graduale si è ripresentato il problema.
[#32]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 988 248
No, non sono due cose diverse. Se è risolutivo ovviamente manda via anche i sintomi, dire "sintomatico" significa dire che è mirato sul sintomo, e che lo manda via subito, in maniera diretta. Altrimenti si tratta di cure che agiscono su meccanismi che generano il sintomo, ma non volta per volta, di fondo. Queste cure spesso sono anche migliorative del disturbo se tenute nel tempo. In teoria si potrebbe certamente anche avere una cura che all'inizio non modifica i sintomi, e poi invece è risolutiva, come ad esempio l'antibiotico.

Certo, in un disturbo d'ansia può bastare la terapia farmacologica, però vedo che ancora fa una distinzione in base a farmaci/non farmaci, che non riguarda la natura della malattia.
[#33]
dopo
Utente
Utente
Ma insomma, seguirò questa cura nel tempo, giá una volta mi ha fatto stare molto bene, dopo un periodo d’ansia molto spesso immotivata, e sproporzionata, risvegli mattutini con ansia e Somatizzazioni.
Il fatto che mi ha fatto stare bene mi fa ben sperare che riprendendolo faccia il suo effetto.
Grazie delle delucidazioni e della disponibilità.
[#34]
dopo
Utente
Utente
Dottore avrei un altra domanda per lei:

Capito l’assunto che le malattie mentali sono malattie del cervello, capisco bene ovviamente che i farmaci fanno effetto e curano il disturbo.
Perchè immagino un substrato organico su cui agisce il farmaco.

Mi può gentilmente spiegare la sua frase “le psicoterapie sono metodi biologici che utilizzano canali psicologici”

Nel senso, come può un metodo psicologico avere effetti biologici, strutturali sul cervello?

Ad esempio l’alzheimer e il Parkinson sono pure malattie del cervello, ma su non credo che si possa agire psicologicamente su queste malattie.
[#35]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.4k 988 248
Nel senso che tecniche psicologico producono degli effetti sul cervello, temporanei o duraturi, graduali o immediati, e quindi agiscono sul cervello utilizzando i canali comunicativi, o l'effetto di azioni che il soggetto stesso mette in atto come esercizio o reazione.
E' molto più difficile standardizzare un intervento psicologico rispetto a un farmaco, ma non sono concettualmente dissimili da interventi di tipo farmacologico.
Anche perché non esiste questa distinzione, altrimenti esiste come ne esistono anche altre, tra farmaci e terapie "fisiche" per esempio, come quella elettrica o magnetica.

Cos'è l'ansia? Tipologie dei disturbi d'ansia, sintomi fisici, cognitivi e comportamentali, prevenzione, diagnosi e cure possibili con psicoterapia o farmaci.

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