Gravidanza persa e da lì persa anch'io
Vorrei un consulto perché ancora oggi mi sento persa.
Cerco di farla breve, esattamente 3 mesi fa (a quasi 6 mesi di gravidanza) ho dovuto abortire per gravi malformazioni a livello neurale e fisico.
3 mesi fa, ogni giorno piangevo, ero disperata, mi sentivo in colpa e chiedevo perdono al cielo, ho sofferto anche tanto perché sono stata ricoverata una settimana per tutto l'iter e induzione al parto.
Ho visto,, insieme a mio marito, mia figlia non in vita tra le mia braccia... e la sua immagine è sempre nella mia testa e molte volte piango perché non doveva andare così eppure non potevo fare nulla per risolvere e soprattutto non c'erano prospettive di vita per la mia piccola.
Oltre a ciò, ho perso anche il lavoro perché dopo la maternita e dopo ciò che è successo sono stata in malattia e per questo il datore di lavoro non mi ha rinnovata.
Adesso a distanza di 3 mesi mi sento persa.
Non ho voglia di lavorare e non ho nemmeno voglia e stimoli di entrare in intimità con mio marito.
Quello che mi va di fare è di starmene a casa, o comunque trascorrere tutto il tempo con le mie due figlie.
Mi sento anche sempre molto stanca e stressata eppure non lavoro, non ho impegni stabiliti.
Certo, "lavoro" in casa tra le faccende casalinghe, cucina e famiglia ma il fatto è che ho timore ora ad intraprendere o candidarmi per un nuovo lavoro.
Anche se penso anche il fatto che lavorando solo mio marito, a stento riusciamo ad arrivare a fine mese... sono in una situazione di stanby ma non ne parlo con nessuno
Cerco di farla breve, esattamente 3 mesi fa (a quasi 6 mesi di gravidanza) ho dovuto abortire per gravi malformazioni a livello neurale e fisico.
3 mesi fa, ogni giorno piangevo, ero disperata, mi sentivo in colpa e chiedevo perdono al cielo, ho sofferto anche tanto perché sono stata ricoverata una settimana per tutto l'iter e induzione al parto.
Ho visto,, insieme a mio marito, mia figlia non in vita tra le mia braccia... e la sua immagine è sempre nella mia testa e molte volte piango perché non doveva andare così eppure non potevo fare nulla per risolvere e soprattutto non c'erano prospettive di vita per la mia piccola.
Oltre a ciò, ho perso anche il lavoro perché dopo la maternita e dopo ciò che è successo sono stata in malattia e per questo il datore di lavoro non mi ha rinnovata.
Adesso a distanza di 3 mesi mi sento persa.
Non ho voglia di lavorare e non ho nemmeno voglia e stimoli di entrare in intimità con mio marito.
Quello che mi va di fare è di starmene a casa, o comunque trascorrere tutto il tempo con le mie due figlie.
Mi sento anche sempre molto stanca e stressata eppure non lavoro, non ho impegni stabiliti.
Certo, "lavoro" in casa tra le faccende casalinghe, cucina e famiglia ma il fatto è che ho timore ora ad intraprendere o candidarmi per un nuovo lavoro.
Anche se penso anche il fatto che lavorando solo mio marito, a stento riusciamo ad arrivare a fine mese... sono in una situazione di stanby ma non ne parlo con nessuno
Gentile Utente,
innanzitutto grazie per aver condiviso con tanta sincerità e profondità quello che sta vivendo.
Quello che ha attraversato è un trauma. Un evento che irrompe nella vita e la divide in un prima e un dopo . La perdita di una figlia in gravidanza avanzata non è solo un lutto, è anche uno strappo all’immagine di sé come madre, come donna, come essere umano che cerca di dare un senso a ciò che non ne ha.
E accanto a questo, si è sommata un’altra perdita: quella del lavoro. Un'altra frattura, più silenziosa ma non meno impattante, che va a toccare il senso di identità, di utilità, di autonomia.
In tutto questo, è rimasta in piedi: anche se si sente immobile, sta tenendo insieme la sua famiglia, sta accudendo le sue figlie, sta cercando di ricominciare a respirare.
Lei ha scritto Mi sento persa . Mi colpisce la scelta delle parole: essere persi significa che c’è un punto da cui partire per ritrovarsi.
La invito a riflettere su alcune domande, senza fretta e senza la pretesa di trovare subito risposte.
Può darsi che alcune facciano più male di altre, che risuonino dentro. Provi ad accoglierle come voci che iniziano a cercare una direzione, non come compiti da svolgere.
- cosa significa per lei oggi ritrovarsi ? È una sensazione? Un gesto? Una parola che non riesce ancora a dire?
- cosa le sta chiedendo il suo corpo, quando si sente stanca e senza stimoli? Forse non è solo stanchezza fisica. Forse è il modo con cui il suo corpo sta dicendo che ha bisogno di essere ascoltato, non spinto.
- cosa rappresenta il lavoro per lei, oggi? È solo una necessità economica o anche un luogo dove poter tornare a sentirsi viva, capace, presente?
- se potesse dire ad alta voce ciò che sta evitando di raccontare, a chi lo direbbe? E cosa cambierebbe? Tenere tutto dentro protegge, ma isola. E l’isolamento alimenta il senso di smarrimento.
- in mezzo a tutto questo dolore, cosa non è andato perduto? Ci sono legami, piccoli momenti, frammenti di senso che resistono?
La sua storia merita ascolto, tempo e rispetto. Non c’è un tempo giusto per riprendersi da una ferita simile. Ma ogni giorno che si concede di sentire, anche se fa male, è un giorno in cui sta lentamente tornando a sé.
Non è sola, anche se a volte può sembrarlo. E il fatto che lei abbia scritto, oggi, è già un primo passo nella direzione della cura.
Spero che queste riflessioni possano esserle di supporto.
Un caro saluto
E.S.
innanzitutto grazie per aver condiviso con tanta sincerità e profondità quello che sta vivendo.
Quello che ha attraversato è un trauma. Un evento che irrompe nella vita e la divide in un prima e un dopo . La perdita di una figlia in gravidanza avanzata non è solo un lutto, è anche uno strappo all’immagine di sé come madre, come donna, come essere umano che cerca di dare un senso a ciò che non ne ha.
E accanto a questo, si è sommata un’altra perdita: quella del lavoro. Un'altra frattura, più silenziosa ma non meno impattante, che va a toccare il senso di identità, di utilità, di autonomia.
In tutto questo, è rimasta in piedi: anche se si sente immobile, sta tenendo insieme la sua famiglia, sta accudendo le sue figlie, sta cercando di ricominciare a respirare.
Lei ha scritto Mi sento persa . Mi colpisce la scelta delle parole: essere persi significa che c’è un punto da cui partire per ritrovarsi.
La invito a riflettere su alcune domande, senza fretta e senza la pretesa di trovare subito risposte.
Può darsi che alcune facciano più male di altre, che risuonino dentro. Provi ad accoglierle come voci che iniziano a cercare una direzione, non come compiti da svolgere.
- cosa significa per lei oggi ritrovarsi ? È una sensazione? Un gesto? Una parola che non riesce ancora a dire?
- cosa le sta chiedendo il suo corpo, quando si sente stanca e senza stimoli? Forse non è solo stanchezza fisica. Forse è il modo con cui il suo corpo sta dicendo che ha bisogno di essere ascoltato, non spinto.
- cosa rappresenta il lavoro per lei, oggi? È solo una necessità economica o anche un luogo dove poter tornare a sentirsi viva, capace, presente?
- se potesse dire ad alta voce ciò che sta evitando di raccontare, a chi lo direbbe? E cosa cambierebbe? Tenere tutto dentro protegge, ma isola. E l’isolamento alimenta il senso di smarrimento.
- in mezzo a tutto questo dolore, cosa non è andato perduto? Ci sono legami, piccoli momenti, frammenti di senso che resistono?
La sua storia merita ascolto, tempo e rispetto. Non c’è un tempo giusto per riprendersi da una ferita simile. Ma ogni giorno che si concede di sentire, anche se fa male, è un giorno in cui sta lentamente tornando a sé.
Non è sola, anche se a volte può sembrarlo. E il fatto che lei abbia scritto, oggi, è già un primo passo nella direzione della cura.
Spero che queste riflessioni possano esserle di supporto.
Un caro saluto
E.S.
Dott.ssa Elisa Scuderi
Psicologa | A Genova e online
📧 elisascuderi.ge@gmail.com
3774810243
www.psicologoagenova.wordpress.com
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 381 visite dal 04/06/2025.
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